L’introduzione del FIR è stato un tentativo di porre riparo ad un problema, offrendo un parziale ristoro a chi aveva subito le conseguenze dei problemi bancari esplosi un decennio fa. Descriviamo lo stato dell’arte, per dare evidenza alla diversità di trattamento tra azionisti coinvolti in problemi simili, ma gestiti con modalità differenti.
La legge 145 del 30 dicembre 2018, aveva istituito il FIR e quella 58 del 28 giugno 2019 aveva stanziato 525 milioni annui per gli anni 2019, 2020 e 2021, destinando un importo complessivo di 1 miliardo e 575 milioni, a favore degli investitori che avevano acquistato azioni o obbligazioni subordinate delle banche poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1° gennaio 2018. Le modalità di accesso e i limiti di reddito o di patrimonio per ottenere l’indennizzo, sono scaricabili con il link http://www.mef.gov.it/focus/article_0051.html
Gli ex azionisti e/o obbligazionisti di Banca Etruria, Banca delle Marche, Cassa di risparmio della Provincia di Chieti, Cassa di risparmio di Ferrara, Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca e delle loro controllate, potevano chiedere un risarcimento del 30 % del capitale investito in azioni e del 95 % se investito in obbligazioni subordinate, sino ad un importo massimo di 100.000 €.
Il primo giugno 2024, Il Fatto Quotidiano scriveva: I risparmiatori traditi dalle banche venete scrivono a Mattarella: “Siano distribuiti anche gli ultimi 200 milioni”. A scrivere al Presidente della Repubblica era stato Luigi Ugone, Presidente dell’Associazione Noi che credevamo. Nell’articolo citato è riportato un passaggio del suo scritto: “La nobiltà di questa norma è intuitiva. Ha il suo fondamento nell’articolo 47 della nostra Costituzione, che tutela il risparmio, e ha sempre avuto lo scopo non solo di indennizzare, ma anche di ridare la dignità ad un popolo di truffati dalla mala gestio di queste banche, che qualcuno addirittura chiamava speculatori. Sarebbe triste che tutti questi cittadini venissero traditi una seconda volta nelle loro aspettative e questa volta dallo Stato”.
Nell’articolo si riportava che a marzo 2024 il Ministero dell’economia aveva comunicato che i risarcimenti erogati a 129.899 investitori, ammontavano a 1 miliardo e 353 milioni di €, cifra che sottratta a quanto stanziato, documentava la correttezza delle aspettative evidenziate da Ugone. Non possiamo trascurare di attribuire il merito dovuto a chi ha saputo organizzarsi, fare massa critica per esercitare pressione su una politica che sembra essersi completamente dimenticata dell’articolo 47 della nostra Costituzione. Il merito va riconosciuto ai tre azionisti che hanno avviato l’Associazione nel 2015 e a tutti coloro che si sono uniti a loro per la tutela dei diritti di chi, troppo spesso, subisce e non ha la determinazione per organizzarsi come categoria, perché non possiede la consapevolezza che solo la forza dei numeri potrà indurre la politica ad interessarsi di una categoria in balia di un sistema finanziario senza regole.
Se quanto accaduto agli azionisti risarciti è esecrabile, descriviamo cosa hanno subito altri risparmiatori, per documentare che può capitare anche di peggio, con l’applicazione dei meccanismi con cui sono stati beffati gli azionisti di Banca Carige.
- Riprendendo la terminologia di Ugone: a causa della mala gestio di Banca Carige, nel 2014 Banca d’Italia bloccava la distribuzione di un dividendo deliberato dal Cda ed imponeva un aumento di capitale.
- La Vigilanza europea sulle banche, imponeva la svendita di Npl, e chiedeva un nuovo aumento di capitale nel 2015, per ripianare le perdite. Lo stesso schema veniva riproposto nel 2017, e generava la necessità di un terzo aumento. In più occasioni i vertici avevano dichiarato che gli aumenti sarebbero stati risolutivi dei problemi della banca.
- Nel 2018 l’Amministratore delegato Paolo Fiorentino, dopo avere dichiarato che l’esercizio si sarebbe chiuso in utile, aveva rilasciato una semestrale senza comunicare al mercato che un’ispezione di Bce aveva imposto una nuova svalutazione dei crediti deteriorati e conseguente necessità di aumentare il capitale.
- Per coprire la carenza di capitale fu emesso un prestito obbligazionario convertibile, senza diritto d’opzione, sottoscritto dallo Schema volontario d’Intervento (Svi), controllato dal Fondo interbancario tutela depositi (Fitd). Subito dopo fu convocata un’assemblea per l’approvazione di un quarto aumento di capitale, che non fu approvato a causa dell’astensione del socio di maggioranza relativa, che chiedeva un piano industriale credibile e sostenibile, prima di dare la propria approvazione. La mancata approvazione dell’aumento fece salire il tasso del prestito obbligazionario dal 13 al 16 % e, in una successiva assemblea, il Presidente Modiano, a domanda precisa, rispose che la maggiorazione era stata concordata per spingere gli azionisti ad approvare l’aumento.
- BCE impose il Commissariamento di Banca Carige con secretazione delle motivazioni. Da quel momento gli azionisti hanno perso ogni possibilità di intervento sulle decisioni della società e il titolo è stato sospeso dalla negoziazione a inizio 2019.
- I commissari accettarono un progetto industriale che, con un aumento di capitale con esclusione quasi integrale del diritto d’opzione, prevedeva la conversione del prestito obbligazionario sottoscritto dal Fitd, il quale avrebbe conferito il controllo di Banca Carige a Cassa Centrale Banca (Ccb), un istituto di credito privo della necessaria autorizzazione di BCE ad acquisire Banca Carige.
- L’approvazione dell’aumento di capitale che avrebbe espropriato gli azionisti, fu ottenuta con una raccolta deleghe fatta dai dipendenti, spinti a telefonare agli azionisti dalle minacce di chiusura della banca, nel caso in cui la proposta non avesse ricevuto il via libera.
- Come prevedibile, CCB non acquisì il controllo di Carige, e Bper fece una proposta inferiore all’offerta di Ccb (-50 milioni). Fitd l’accettò nonostante avesse ufficialmente rifiutata quella di CCB, con l’affermazione che fosse irricevibile.
- Le azioni di Banca Carige, che avevano già subito un primo raggruppamento a maggio 2015 (un’azione di nuova emissione ogni 100 possedute), ne subirono un secondo a luglio 2021 (un’azione di nuova emissione ogni 1.000 possedute), prima della riammissione del titolo alla negoziazione. La diluizione degli azionisti di Banca Carige che avessero posseduto 100.000 titoli dopo il primo aumento di capitale, è documentata dalla sola azione con cui si sarebbero trovati dopo il secondo raggruppamento; se, come fatto da moltissimi, avessero aderito ad altre ricapitalizzazioni, avrebbero diviso per 1.000 i titoli ricevuti quando avevano coperto le perdite generate dalle cessioni di Npl.
- Bper lanciò un’offerta pubblica d’acquisto obbligatoria (OPA). Con informazioni fuorvianti e la collaborazione dei dipendenti, riuscì a conseguire il diritto allo squeeze out, che consentiva l’acquisto di tutti i titoli degli azionisti che non li avevano conferiti in OPA, ritenendo che il concambio con le azioni Bper fosse molto più conveniente. La dimostrazione che avessero ragione nel ritenere vile il valore di acquisto proposto, giunse poche settimane dopo la fusione: infatti Bper raddoppiò il dividendo ai propri azionisti, anche se il proprio bilancio evidenziava risultati in peggioramento rispetto a quelli dell’esercizio precedente, se si escludevano i benefici derivanti dalla fusione con Carige.
Se gli azionisti di Banca Carige non avessero approvato l’aumento di capitale proposto nel 2017, il finale sarebbe stato ben diverso, e la sua evoluzione era facilmente deducibile da quanto riportato in un articolo pubblicato il 12 novembre 2018 da “Il Sole 24 Ore” nella sezione FINANZA & MERCATI, sotto il titolo: Carige, ok a ricapitalizzazione da 400 milioni con Fondo interbancario. «Ora possibili aggregazioni». Il motivo per cui il sistema bancario aveva interesse ad intervenire era facilmente deducibile dal capoverso che estraiamo: – L’intervento a favore di Carige viene proposto dal Consiglio del fondo presieduto da Salvatore Maccarone, in quanto un eventuale default di Carige costerebbe a tutte le banche italiane 8 miliardi, pari alla cifra dei depositi protetti della banca ligure. –
Il default era definito “eventuale” e il conflitto d’interesse di chi aveva deciso d’intervenire, a nostro avviso, era certo e palese. Inoltre è documentato dai fatti che sono accaduti in seguito ad una richiesta, più che legittima, di conoscere un piano industriale credibile e sostenibile, prima di approvare una quarta ricapitalizzazione, rimasta senza riposta. Poi le decisioni operative che si sono succedute, come un’onda anomala hanno risucchiato il denaro versato, nell’incredulità di chi, con fiducia, lo aveva messo a disposizione della banca del territorio.
Nel caso in cui gli azionisti di Banca Carige non avessero approvato l’aumento di capitale del 2017, quando non era stato ancora sottoscritto il prestito obbligazionario convertibile e senza diritto d’opzione, il sistema bancario avrebbe dovuto risarcire i correntisti, sostenendo il costo riportato nell’articolo citato. Mentre i risparmiatori che avevano investito i risparmi in Banca Carige, non avrebbero conferito il denaro richiesto con il terzo e la quota limitata consentita nel quarto aumento di capitale, e avrebbero avuto la possibilità di accedere al risarcimento definito con l’istituzione del Fondo indennizzo risparmiatori. Il generoso sostegno alla banca del territorio per la terza volta, e buona parte di loro anche la quarta, ha fatto subire agli azionisti quanto descritto nei punti dal 4 al 10, e la perdita quasi totale del capitale investito. Se non bastasse, a conclusione della loro esperienza di investitori, una banca entrava in possesso dei miliardi di imposte attive differite accumulate con la vendita forzata degli Npl e raddoppiava i dividendi ai propri azionisti, dopo avere escluso quelli che avevano versato molto più di 2 miliardi in aumenti di capitale.