Il 16 agosto 2024, sul sito di Milano Finanza appariva l’articolo – Stellantis, class action negli Usa dopo i conti deludenti: gli azionisti portano il ceo Carlos Tavares in tribunale – Sulla stessa testata, il 26 agosto 2024 era possibile leggere: – Chip, class action contro Stmicroelectronics per «indicazioni fuorvianti» sui ricavi. Il titolo in ribasso a Piazza Affari e Wall Street – Non è nostra intenzione entrare nel merito giuridico delle azioni di classe, saranno i giudici a decidere. Riteniamo sia utile analizzare le differenze di comportamento tra gli attori che interagiscono a vario livello negli Stati Uniti e quelli che operano sui mercati in Europa, perché solo con approfondimenti oggettivi sarà possibile comprendere il perché i capitali prediligono investire su un mercato anziché su altri. La finanza si è globalizzata, gli emittenti si spostano dove i loro titoli ottengono una maggior valorizzazione e i capitali si posizionano dove percepiscono regole e comportamenti che favoriscono la tutela dei diritti.
Nell’articolo su Stellantis, il giornalista Andrea Boeris, citando quanto riporta Reuter, ,scrive – Secondo un documento pubblicato dallo studio legale Schall, che rappresenta gli investitori, il reclamo, che è stato presentato giovedì 15 agosto presso il tribunale federale di Manhattan, accusa Stellantis di aver artificialmente gonfiato il prezzo delle sue azioni per gran parte del 2024, facendo valutazioni «estremamente positive» riguardo alle scorte, al potere di determinazione dei prezzi, ai nuovi prodotti e al margine operativo. Tutte valutazioni poi smentite dai fatti quando, sostengono gli azionisti che fanno causa, Stellantis ha comunicato che l’utile operativo rettificato del primo semestre era diminuito del 40%, attestandosi a 8,46 miliardi di euro, al di sotto degli 8,85 miliardi previsti dagli analisti. L’articolo riporta anche la versione dell’emittente che, evidentemente, intende corretto il proprio operato. – «Questa causa è priva di fondamento e l’azienda intende difendersi con forza», ha spiegato la stessa Stellantis in una dichiarazione ufficiale inviata via email a Reuters. Ma il fatto è che la società ha anche affermato che il margine dell’utile operativo rettificato è sceso al di sotto dell’obiettivo a doppia cifra per l’intero anno. Motivo per il quale, pur confermando le stime per il 2024, le azioni di Stellantis quotate al Nyse sono scese del 9,9%, a 17,66 dollari, nei due giorni di negoziazione successivi all’annuncio.
Nell’articolo su Stmicroelectronics la giornalista Cecilia Emily Gadina scrive: – Stmicroelectronics è oggetto di una class action lanciata da alcuni studi legali statunitensi, che sostengono che la società avrebbe pubblicato previsioni fuorvianti rispetto all’andamento reale dei conti. La bufera si è scatenata dopo che il produttore di semiconduttori ha comunicato i risultati finanziari a fine luglio, che hanno rivisto al ribasso per la seconda volta quest’anno la guidance sui ricavi 2024. Alla notizia il titolo Stmicroelectronics cede lo 0,3% a 28,07 euro a Piazza Affari e lo 0,8% a Wall Street intorno alle ore 16 del 26 agosto. Poi aggiunge – In particolare, secondo lo studio legale Robbins Geller Rudman & Dowd, uno degli studi che portano avanti la causa contro Stm, la società «non aveva una visibilità adeguata per generare le indicazioni che presentava, non ha analizzato in modo appropriato le indicazioni che aveva, oppure non era semplicemente attrezzata per gestire le sfide».
Negli stati Uniti gli studi legali fanno a gara per arrivare per primi a proporre un’azione di classe contro gli emittenti, mentre in Europa nessuno ha assunto iniziative a tutela di azionisti che hanno patito identiche conseguenze dalle stesse dichiarazioni rilasciate dai vertici delle società. Uno o più motivi che giustifichino una simile differenza devono pure esserci, e l’argomento dovrebbe essere oggetto di ricerche approfondite, perché potrebbe essere una delle motivazioni che inducono gli investitori a preferire il mercato USA a quelli europei.
Entrando nel merito delle motivazioni che hanno spinto gli studi legali USA a promuovere una richiesta di risarcimento per gli investitori, ci accorgiamo che gli stessi comportamenti d’inerzia sistemica, in Italia si sono manifestati in occasioni in cui le ragioni di rivalsa potevano essere fatte valere con ben altre evidenze, per esempio: si veda come si è giunti all’esclusione degli azionisti di Banca Carige, descritta in più occasioni sul nostro sito, l’ultima delle quali è visibile al link https://vocedegliazionisti.it/fondo-indennizzo-risparmiatori-fir/ . Credendo alle dichiarazioni della società, gli azionisti hanno aderito a 3 aumenti di capitale e, alla fine, sono stati costretti a consegnare i titoli ad un prezzo vile e i miliardi di imposte attive differite sono stati trasferiti all’acquirente. Eppure l’unica azione giuridica intrapresa contro uno degli amministratori, è un processo penale della procura di Milano, in cui si sono costituiti come parti civili circa 200 ex azionisti, una percentuale ridottissima se confrontata con i 56.000 investitori che avevano sostenuto la banca prima di essere espropriati con il quarto aumento di capitale, con esclusione quasi integrale del diritto d’opzione.
La paura ad agire in giudizio degli investitori danneggiati, è cosa nota, e i furbi se ne approfittano, sapendo che, male che vada, è più conveniente commettere abusi e risarcire quei pochi a cui è rimasto il coraggio e i soldi per agire in giudizio. Il caso SCI lo documenta, è descritto sul nostro sito ed è visibile al link. https://www.vocedegliazionisti.it/sci-societa-costruzione-italiana-2/. Solo 20 azionisti hanno fatto ricorso contro un gruppo di banche che avevano venduto titoli ottenuti con la conversione di crediti incagliati, mentre erano in possesso d’informazioni che non erano note al mercato. I risparmiatori acquistavano azioni, convinti che sul titolo sarebbe stata lanciata un’offerta pubblica d’acquisto, mentre loro riducevano la quota di possesso dal 78 al 12 %. I 20 ricorrenti hanno ottenuto il risarcimento dopo 17 anni, 2 cause e 5 gradi di giudizio.
I costi dell’assistenza legale, i tempi dei ricorsi per il risarcimento danni e le difficoltà ad individuare uno studio legale in possesso delle competenze e della determinazione ad intervenire in un ricorso contro emittenti ed intermediari, sono motivazioni che possono facilmente dissuadere un danneggiato dal chiedere il risarcimento del danno subito. Ulteriori dubbi insorgono dalle consi derazioni sulla disponibilità economica e sul potere negoziale delle controparti, quando conferiscono il mandato ad uno studio legale, che non sono confrontabili con quelle della quasi totalità degli investitori medio/piccoli, i quali rinunciano a fare ricorso in Italia. Di soluzioni che potrebbero favorire i ricorsi, ce ne sarebbero; in altre occasioni abbiamo già parlato dell’efficacia di dissuasione agli abusi che avrebbe l’istituzione di una vera Class Action, che diventerebbe ancora più efficace se fosse consentito il patto di quota lite tra avvocati e ricorrenti. Incolliamo alcuni capoversi che descrivono l’evoluzione normativa sull’argomento e il link del blog da cui sono estratti per chi gradisse leggere l’intero articolo pubblicato dall’Avvocato Marco Ticozzi. http://www.avvocatoticozzi.it/it/blog/205/patto-quota-lite
Il patto di quota lite è un accordo tra avvocato e cliente in cui l’avvocato riceve, come compenso per il suo operato professionale, una quota dei beni o diritti oggetto del contenzioso. Questo tipo di accordo, secondo la Cassazione (sentenza n. 11485 del 19 novembre 1997), stabilisce che il compenso dell’avvocato sia calcolato in percentuale rispetto al risultato ottenuto dal cliente, anziché essere basato sull’importanza dell’opera professionale svolta.
Tuttavia, l’articolo 2233 del codice civile italiano stabiliva originariamente un divieto per questo tipo di accordi, sottolineando che non è permesso all’avvocato di stipulare un accordo che preveda la partecipazione agli interessi economici finali e esterni alla prestazione professionale derivanti dalla lite. Questo divieto era volto a prevenire che l’avvocato si interessasse direttamente al bene oggetto della lite, il che potrebbe compromettere l’obiettività e l’indipendenza necessarie nell’esercizio del suo mandato professionale.
Il divieto del patto di quota lite era stato abrogato dal D.L. n. 223/2006, convertito nella legge n. 248/2011, ma è stato successivamente ripristinato dall’articolo 13, comma 4, della legge n. 247 del 2012. La ragione di tale divieto risiede nella necessità di tutelare gli interessi del cliente e di mantenere la dignità e la moralità della professione forense, evitando che l’avvocato diventi parte interessata negli esiti economici del caso.
Quando abbiamo evidenziato le modifiche delle leggi in ambito finanziario che riducono i diritti degli investitori retail, ci eravamo fermati all’ultimo decennio. Ora scopriamo che nel 2012, proprio nel momento in cui stavano esplodendo le crisi di molte banche nazionali, veniva ripristinato il divieto di sottoscrivere patti di quota lite tra avvocati e assistiti. Lo sconforto ci impedisce di fare ulteriori considerazioni. Concludiamo ponendo tre domande:
- Davvero la politica pensa di rispettare l’articolo 47 della nostra Costituzione nel vietare ad un risparmiatore di chiedere un risarcimento, avvalendosi della disponibilità ad assisterlo di un legale che, credendo nelle proprie capacità e nei valori per cui aveva scelto la professione, è disposto ad assisterlo gratuitamente, in cambio di una percentuale sul risarcimento che è convinto di fargli ottenere, anche nei casi in cui, trattandosi di abusi finanziari, il ricorrente è stato privato dei propri risparmi, e della possibilità economica di pagare l’assistenza legale?
- Davvero dobbiamo credere che si tratti di una casualità che un divieto abrogato sei anni prima, sia stato ripristinato nel momento in cui stavano emergendo problemi bancari che avrebbero generato una reazione di massa se gli studi legali più competenti avessero trovato conveniente avvalersi di quella possibilità?
- Possibile che nessuno abbia ancora ipotizzato che nel continuare a cancellare i diritti degli investitori, si determina il declino italiano ed europeo, perché si perpetua il paradosso descritto dal Prof. Enrico Letta nell’intervista pubblicata da Milano Finanza il 7 settembre 2024: “Una quantità enorme di risparmio italiano ed europeo viene investito negli Stati Uniti, rafforza le imprese americane che poi comprano imprese europee con i nostri stessi soldi”?