Già dal 2011 avevamo osservato un progressivo susseguirsi di modifiche normative volte a ridurre sistematicamente i diritti degli azionisti, con un impatto particolarmente penalizzante per quelli retail. I quali spesso dispongono di una cultura finanziaria meno aggiornata e di risorse limitate per affrontare eventuali contenziosi legali. Per questa ragione, nei nostri articoli pubblicati negli ultimi mesi del 2024, avevamo ritenuto fondamentale segnalare come tale tendenza sia proseguita con l’introduzione della “legge capitali”, approvata in via definitiva il 5 marzo 2024.
Mentre i contributi pubblicati su questo sito mettevano in luce le ragioni del crescente malcontento tra i piccoli investitori, i media evidenziavano il dissenso manifestato anche dagli investitori istituzionali.
- Il 14 settembre 2024 La Repubblica scriveva: – l fondi globali contro la legge Capitali. Il Tesoro promette: li ascolteremo – Per i grandi investitori le nuove regole possono danneggiare la competitività del mercato italiano. Il sottosegretario al Mef Freni: “Il governo garantirà a tutti gli stakeholders tempo e spazi adeguati per essere ascoltati in Parlamento” -.
- Il 14 ottobre 2024 La Stampa titolava – Fondi USA contro Legge Capitali: meno investimenti con norme complesse e poco trasparenti – La lettera del Council of Institutional Investors (CII) a Federico Freni –.
- Il 21 novembre 2024 Milano Finanza evidenziava – Legge Capitali, piovono critiche – Gli operatori contestano la nuova versione della lista del cda perché non segue le best practice internazionali e può scoraggiare gli investimenti in Italia. Ma il Tesoro non apre a un rinvio –
- Il 23 novembre 2024 La Repubblica: – Legge Capitali, il governo mette una pietra sulle speranze dei fondi – L’Italia ha deciso di fare a meno della lista del cda e ha preferito che a presentare le liste dei consiglieri in assemblea siano solo i grandi azionisti oppure i patti di sindacato -.
Questi sono solo quattro esempi tra i molti che si potrebbero reperire online. Chi volesse approfondire, potrebbe trovarne numerosi altri. Ciò che emergerebbe con chiarezza è una costante perfettamente in linea con quanto da noi evidenziato nei nostri articoli: a sollevare critiche e a manifestare malcontento sono sempre e soltanto gli investitori, mai gli emittenti.
Il 7 maggio 2025 Borsa Italiana ha pubblicato un articolo, disponibile al seguente link: https://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/teleborsa/finanza/commissione-ue-contro-italia-su-rappresentante-designato-mina-liberta-degli-azionisti-171_2025-05-07_TLB.html?lang=it, da cui estraiamo alcuni passaggi.
– La Commissione europea ha invitato l’Italia a recepire correttamente la direttiva sui diritti degli azionisti di società quotate, puntando il dito contro la pratica del rappresentante designato, che ha preso piede durante la pandemia nella fase emergenziale, è poi confluita nella Legge Capitali e viene usata frequentemente anche nella stagione assembleare 2025. – La Commissione ha deciso di avviare una procedura di infrazione inviando una lettera di costituzione in mora all’Italia per il non corretto recepimento della direttiva sui diritti degli azionisti (direttiva 2007/36/CE), sottolineando che l’impegno nel lungo periodo degli azionisti nelle società in cui investono è essenziale per garantire che queste ultime siano ben amministrate e sostenibili.
Avevamo già segnalato in diverse occasioni la negazione del diritto di partecipare fisicamente alle assemblee. Per questo, abbiamo particolarmente apprezzato quanto affermato in seguito: – La direttiva tutela e responsabilizza gli azionisti promuovendo la trasparenza, la responsabilità e il buon governo societario nelle società quotate. Stabilisce una serie di norme e diritti per garantire che gli azionisti abbiano voce in capitolo nelle società in cui investono e che i loro interessi siano rappresentati e rispettati. – Poi la Commissione aggiunge che la legge italiana – “mina la libertà degli azionisti di scegliere senza limitazioni il proprio rappresentante per le assemblee generali, imponendo invece un rappresentante designato a livello di società…” -. Ci asteniamo dal riportare ulteriori dettagli tecnici, facilmente reperibili leggendo l’articolo completo pubblicato sul sito ufficiale di Borsa Italiana. Per offrire una visione più completa del contesto, riportiamo alcune dichiarazioni politiche.
- Un anno prima, pochi giorni dopo l’approvazione della legge capitali, 9 aprile 2024, Milano finanza citava la dichiarazione del Ministro del MEF Giancarlo Giorgetti all’apertura del convegno al salone del risparmio: – il risparmio privato sia messo a servizio della competitività italiana ed europea – Anche il numero due del MEF, il sottosegretario Federico Freni, era intervenuto nel giorno di chiusura del convegno e sempre MF l’11 aprile aveva riportato il suo pensiero – “Il nostro compito non è costringere gli investitori istituzionali a piazzare il loro denaro nell’economia reale italiana, ma creare un contesto in cui investire sia così conveniente che ci sia la fila per farlo” –
Quella frase descrive un mercato ideale, più volte auspicato anche da noi, e la sua realizzazione sarebbe motivo di grande soddisfazione. Purtroppo, come evidenziato negli articoli citati, gli investitori hanno preso le distanze dalle recenti modifiche normative. In questo contesto, l’invito a recepire in modo corretto la direttiva europea sui diritti degli azionisti delle società quotate potrebbe rappresentare la direzione da seguire: esattamente l’opposto di quanto la politica italiana sta mettendo in atto dal 2011.
Una conferma degli errori nelle decisioni politiche e della correttezza dell’intervento della commissione UE, può essere trovata nell’articolo pubblicato su questo sito il 10 maggio – Rapporto pubblicato da Consob -. Su tutti i dati analizzati ne emergeva uno di particolare rilevanza: il capitale investito sul mercato azionario italiano era equivalente al 38% del nostro PIL. Il più basso fra i principali paesi della UE e una piccola frazione del rapporto statunitense che era superiore al 200% e, guarda caso, quello è un paese dove è investita una parte significativa del risparmio italiano.
Se si continua a ritenere che il problema principale del nostro mercato sia la scarsità di emittenti e che la soluzione consista nel facilitarne l’ingresso riducendo i diritti degli investitori, si rischia di aggravare ulteriormente le criticità già esistenti. Le conseguenze sono infatti facilmente intuibili:
- se il numero di emittenti aumenta mentre il capitale investito diminuisce, il valore medio delle azioni si riduce e le società con maggiore potenziale preferiranno quotarsi su mercati in grado di valorizzarle meglio, alimentando un circolo vizioso di depauperamento del nostro sistema finanziario;
- mercati percepiti come poco tutelanti per gli investitori, diventano terreno fertile per emittenti opportunisti, che, con vari giochetti, si riappropriano dei titoli collocati, riconoscendo un valore più basso di quanto incassato al collocamento, o peggio, con una fusione in società non quotata;
- gli investitori, ormai sfiduciati, si allontanano dal mercato domestico e si orientano verso quello statunitense, che non solo attrae i nostri risparmi, ma spesso li impiega per acquisire le nostre aziende più promettenti, per poi delocalizzarne la produzione all’estero.
I territori viscidi e pericolosi sono praticabili da specialisti dotati delle caratteristiche indispensabili per proteggersi dalle insidie, che non sarebbero gestibili da chi ne fosse sprovvisto. Quando si aspira ad una presenza di massa, si dovrebbero predisporre contesti confortevoli che facciano sentire tutti sicuri e protetti. Fare affidamento sugli affabulatori per attrarre gli investitori, nel breve termine permette di far cadere in errore i più ingenui, ma nel medio periodo si generano i risultati che caratterizzano il nostro mercato finanziario. Chi continua a credere che con qualche dichiarazione si possano ottenere flussi di capitale durevoli, sarà travolto da un declino che avrà contribuito a determinare.