Dal primo gennaio 2024, la vice presidente della Bundesbank Claudia Buch ha sostituito Andrea Enria alla presidenza del Consiglio di sorveglianza della Bce. Nel 2014, quando si era insediato il primo Consiglio di Vigilanza sulle maggiori banche europee, l’incarico di vertice fu assegnato alla francese Daniele Nouy, sostituita nel 2019 da Enria. L’organismo che dovrebbe prevenire le crisi che periodicamente generano turbolenze nel sistema bancario europeo, ha il compito di vigilare su 109 banche, che rappresentano circa ll’82 % dell’attività bancaria nell’Unione Europea.
A un decennio dall’introduzione, è possibile fare un consuntivo sugli interventi con cui l’organismo di vigilanza della BCE ha cercato di porre rimedio alle inefficienze dei sistemi di controllo nazionali. Dopo la crisi di Lehman Brothers, avevano preso consistenza i timori sulla sostenibilità dei debiti sovrani in Europa, e la BCE aveva dovuto intervenire a più riprese per evitare che il panico si diffondesse sui mercati finanziari. L’istituzione di una vigilanza sovranazionale era una soluzione indispensabile per evitare di trovare cattive sorprese nel sistema bancario europeo, e per imporre alle banche una valorizzazione omogenea delle voci di bilancio. Dalle ispezioni emersero volumi di crediti deteriorati inattesi, ed esposizioni a rischi su derivati. Furono prese decisioni rapide per impedire che le inefficienze dei controlli nazionali si trasformassero in rischi sistemici.
Le decisioni frettolose non sono mai le migliori possibili, e l’imposizione di vendere i crediti deteriorati (NPL acronimo inglese di Non Perfotming Loans) richiesta all’intero sistema bancario europeo, ha generato volumi di vendita che il mercato di riferimento non poteva assorbire. Ne conseguì il crollo dei prezzi, con elevata penalizzazione dei patrimoni bancari e susseguente richiesta di denaro fresco agli azionisti. L’imposizione di quelle vendite si è rivelata una medicina più dannosa della malattia ed è documentata dal caso che descriveremo, e dagli interventi resi noti dalla stampa:
- 15 06 2020 18:10 (MF-DJ) L’Autorità bancaria europea (Eba) ha pubblicato oggi un invito a fornire informazioni e contributi per comprendere la portata e i fattori di “de-risking” a livello Ue e l”impatto sui clienti. Questo invito, che fa parte del lavoro dell”Authority per guidare, coordinare e monitorare gli sforzi Aml/Cft del settore finanziario europeo, mira principalmente a capire perché gli istituti finanziari scelgano operazioni di de-risking invece di gestire i rischi associati a determinati settori o clienti. La richiesta di input, spiega una nota, è valida fino all”’11 settembre.
- 25 01 2023 Milano Finanza – Estesa la norma che elimina svantaggi per il patrimonio delle banche in caso di cessioni rilevanti di npl. La regola è nel testo del Parlamento Ue su Basilea 3.
Quando avevamo letto il primo articolo, avevamo presentato un esposto per segnalare che le banche vendevano NPL perché imposto dalla Vigilanza BCE e non perché ritenuto più vantaggioso della gestione del rischio. Il provvedimento descritto nel secondo articolo, riteniamo abbia voluto evitare il danno derivante dalla vendita forzata degli NPL, che era probabile emergessero in conseguenza della crisi innestata della pandemia.
Anziché esporre teorie che potrebbero essere considerate opinabili, come nostra abitudine, preferiamo descrivere un caso reale, che non esitiamo a definire da manuale, considerata la tempistica con cui si sono susseguite le decisioni. Da solo è in grado di dimostrare la concentrazione di tutti gli effetti negativi generati delle imposizioni della vigilanza. Se non bastasse, fa emergere come il sistema bancario abbia saputo approfittare a proprio vantaggio della situazione. La trascuratezza con cui sono stati considerati i diritti dei cittadini, non è meno grave, soprattutto perché reiteratamente evidenziata con esposti a chi avrebbe dovuto tutelare i diritti garantiti da quasi tutte le costituzioni degli stati della UE.
Ecco una sintesi di cosa è accaduto agli azionisti di Banca Carige, che sono certamente quelli che hanno pagato in modo più evidente e oneroso l’istituzione dell’Organismo di Vigilanza sulle banche europee.
- Il 16 giugno 2014, prese il via un primo aumento di capitale di Banca Carige da 800 milioni.
- Il 27 ottobre 2014, con un comunicato si ufficializzava che, a seguito del controllo della Banca Centrale Europea, Banca Carige avrebbe dovuto deliberare un nuovo aumento di capitale che prese il via l’8 giugno 2015 e fu di 840 milioni.
- Il 28 settembre 2016 l’assemblea straordinaria autorizzò un terzo rafforzamento patrimoniale, che prevedeva cessioni e iniezione di capitale fresco per circa 500 milioni. L’aumento di capitale iniziò il 22 novembre 2017 e prevedeva il diritto d’opzione, come i 2 che lo avevano preceduto.
- Una quarta richiesta di mezzi freschi doveva essere approvata il 22 dicembre 2018. Poiché la Vigilanza aveva richiesto che la copertura dei livelli regolamentari richiesti fosse raggiunta entro fine anno, Carige emise un’obbligazione subordinata che venne sottoscritta dallo Schema Volontario d’Intervento (SVI), una derivazione del Fondo Interbancario Tutela Depositi (FITD)
- Nell’assemblea del 22 dicembre 2018, consapevole che i requisiti richiesti da BCE fossero stati soddisfatti con l’emissione dell’obbligazione subordinata, l’azionista di riferimento, Malacalza Investimenti, chiese che prima dell’approvazione di un nuovo aumento di capitale, fosse presentato un piano industriale che fosse in grado di soddisfare i requisiti patrimoniali e le cessioni di NPL che la Vigilanza BCE avrebbe imposto per il 2019. Non ottenendo visibilità su valori indispensabili per l’approvazione consapevole di un investimento così elevato, il richiedente si astenne dal voto e la proposta non fu approvata per mancanza del quorum.
- In conseguenza di quella decisione, la maggioranza dei Consiglieri si dimise, anche se non erano stati sfiduciati in Assemblea, e la BCE, anziché attendere che fosse eletto un nuovo CDA, decise di sottoporre la banca all’amministrazione straordinaria, aggregando Presidente e AD nel ruolo di commissari. Una sentenza di primo grado, impugnata dalla BCE e in attesa di sentenza definitiva, ha deliberato che quella decisione non fosse legittima.
- Il commissariamento ha privato gli azionisti della possibilità di attuare qualsiasi intervento nella gestione della società. I commissari accettarono una cosiddetta Business Combination. Con una raccolta deleghe fatta dagli stessi impiegati della Carige, supportata da terrorizzanti minacce di chiusura della banca, fu approvato il quarto aumento di capitale, questa volta senza diritto d’opzione che, di fatto, espropriò gli azionisti che avevano versato più di 2,2 miliardi di liquidità nelle prime tre ricapitalizzazioni.
- Il progetto industriale che era servito da alibi per escludere i vecchi azionisti non fu mai realizzato. Intervenne un nuovo soggetto bancario che, soddisfacendo il tanto auspicato consolidamento bancario, avviò la realizzazione del terzo polo bancario nazionale e pochi giorni dopo la fusione, anche se in presenza di risultati propri in peggioramento, decise di raddoppiare il dividendo dei suoi azionisti, dopo avere escluso gli ex azionisti Carige da ogni possibilità di difendere il capitale investito.
Gli effetti generati dalle decisioni imposte dalla Vigilanza BCE erano: i) le vendite di NPL generavano perdite che insieme all’incremento dei requisiti patrimoniali, richiedevano un nuovo fabbisogno di mezzi freschi; ii) le perdite generavano nei bilanci un accumulo di imposte attive differite che avrebbero permesso alla società di fare utili senza pagare imposte per anni e gli azionisti, indotti a credere nella banca dalle tranquillizzanti dichiarazioni dei manager che promuovevano gli aumenti, avevano aderito alle ripetute ricapitalizzazioni, proprio per non perdere il recupero di quel valore differito nel tempo. La forzata esclusione dall’ultima ricapitalizzazione e le modalità con cui era stato acquisito il diritto allo squeeze out, hanno tolto agli investitori ogni fiducia nel sistema finanziario.
Le domande che si ponevano i piccoli azionisti coinvolti nell’esproprio di Banca Carige erano molteplici e, in mancanza di riscontri ai numerosi esposti presentati, si sono convinti che non esista alcuna tutela per chi immette risparmi nel sistema finanziario europeo.
- Come mai la necessità di rafforzamento patrimoniale è emersa a scaglioni e non in un’unica richiesta definita con chiarezza nel 2014?
- Come è possibile ritenere rispettati i diritti dei risparmiatori, se si pretende che approvino la quarta richiesta di liquidità senza sapere quali saranno i requisiti richiesti dall’autorità di vigilanza e il piano industriale con cui si intende portare una banca fuori dalla crisi?
- Se banca Carige aveva così bisogno di capitale fresco, come mai si è negato il diritto d’opzione, accettando una business combination priva di certezze?
- Come mai per stabilire il valore di emissione nuovi titoli nell’ultimo aumento di capitale, privo del diritto d’opzione, si è fatto ricorso ad una perizia che ha stabilito un valore della banca inferiore a quello della collezione di opere d’arte, anziché usare il patrimonio netto?
- Può essere considerato degno di uno stato di diritto il comportamento subito dagli azionisti di Banca Carige che avendo ricapitalizzato per ben tre volte la banca del territorio, hanno dovuto subire le forzature con cui sono stati esclusi dalla possibilità di un recupero del capitale investito consentendo loro un concambio equo con le azioni della società incorporante?
Il quesito più frustrante che si sono posti i risparmiatori che hanno subito le decisioni della vigilanza BCE è: “Un organismo nato per presidiare la sicurezza del sistema bancario europeo, può ritenere che il conseguimento degli obbiettivi assegnati al proprio ruolo possa prescindere dal rispetto dei diritti riconosciuti ai risparmiatori?
Se si ritiene la risposta scontata, bisognerebbe spiegare come mai i fatti hanno dimostrato l’esatto contrario ai risparmiatori coinvolti. Se gli investimenti nei fondi comuni dei cittadini europei privilegiano le imprese esterne alla UE e i risparmiatori italiani preferiscono tenere 1.500 miliardi nei conti correnti, è perché non si fidano del sistema finanziario. Le autorità che presidiano i mercati, dovrebbero smettere di vederli come un parco buoi, per considerarli cavalli capaci di trainare l’economia dei paesi europei. Forse è giunto il momento di incentivare i risparmi a restare disponibili per le nostre imprese e non dei nostri concorrenti internazionali.
Sarebbe auspicabile che, superate le gravi motivazioni che avevano stimolato i suoi primi interventi, la Vigilanza europea comprenda che la priorità è quella di ricostituire il patrimonio che fa da volano al sistema bancario: la fiducia dei cittadini. La nuova Presidente dovrebbe considerare prioritario dimostrare che l’organismo da lei presieduto è una risorsa anche per la tutela dei risparmi, non un paravento dietro cui nascondere il trasferimento di ricchezza dai cittadini al sistema bancario.