L’articolo pubblicato il 19 gennaio, era stato scritto per portare a conoscenza dei nostri lettori cosa potrebbe accadere a chi è azionista di una società che decide di emettere un prestito obbligazionario convertibile (POC), senza il riconoscimento del diritto di opzione ai propri azionisti. Considerato che il Consiglio Direttivo dell’Associazione Voce degli Azionisti ha ritenuto di fare un esposto a BCE, Banca d’Italia, Consob e Commissione UE Problemi economici e monetari, riteniamo utile per i nostri lettori, completare la descrizione dell’argomento con il dettaglio di quanto comunicato ufficialmente, nell’auspicio che qualcuno decida d’intervenire per definire i limiti all’uso di strumenti finanziari che consentono di espropriare gli azionisti che hanno investito parte dei propri risparmi in una società quotata.
ESPOSTO
Grati per l’attenzione che vorrete riservare a questo esposto, ci rivolgiamo a voi nella speranza che vogliate intervenire per porre rimedio ad una prassi che si sta consolidando da anni, senza che nessuno ne colga l’effettiva pericolosità che vorremmo evidenziare con questa segnalazione.
In allegato trasmettiamo una sintesi (argomenti trattati nel precedente articolo n.d.r.) che permette di avere consapevolezza dei rischi derivanti dall’uso di Prestiti obbligazionari convertibili (POC) non standard, con conseguente trasferimento di ricchezza dai risparmiatori a operatori di mercato senza scrupoli, in prevalenza extraeuropei.
Per evitare ogni possibile fraintendimento, nell’allegato facciamo riferimento a comunicazioni ufficiali e a una relazione illustrativa emessa da una società che non citiamo nella sintesi, perché il problema che vorremmo portare alla vostra attenzione è lo strumento finanziario, non un caso specifico. Per chi volesse prenderne visione alleghiamo anche la relazione illustrativa che ha generato in noi la determinazione per fare un esposto, nella speranza si decida di intervenire per bloccare lo sperpero dei risparmi dei cittadini europei.
Per definire un ordine di grandezza dei valori in gioco nell’emissione di un POC non standard, segnaliamo quanto accaduto a chi avesse aderito al collocamento di un titolo il 22 dicembre 2017, pagando un’azione 2,68 €. Il 10 marzo 2023 dopo l’emissione di un primo POC che aveva provocato un primo crollo del titolo, per consentire la permanenza in negoziazione delle azioni, si è effettuato un raggruppamento in una azione di nuova emissione di ogni 100 titoli posseduti dagli azionisti. Il 2 gennaio 2024 dopo l’emissione di un secondo POC e conseguente crollo, la società è stata costretta a fare un nuovo raggruppamento, questa volta una nuova azione per ogni 1.000 possedute.
Applicando i fattori di rettifica ufficiali, a oggi risulterebbe che per confrontare il prezzo del 2 gennaio 2024 con quello di collocamento, dovremmo applicare la formula 2,68x100x1.000 ottenendo un risultato di 268.000 €, da confrontare con la quotazione del titolo alla chiusura del 2 gennaio 2024 che risulta essere pari a € 0,1603. Quindi, per mantenere la qualifica di socio dopo i 2 raggruppamenti, un azionista avrebbe dovuto acquistare 100.000 azioni con un investimento di 268.000 € per ritrovarsi al 2 di gennaio 2024 con una sola azione con valore pari a 0,1603.
Poiché i risparmiatori disposti ad investire una simile somma su un unico titolo, possono contarsi sulle dita di una mano, è d’obbligo esporre cosa sarebbe accaduto a chi avesse deciso di investire meno di 268.000 €. Ipotizzando una somma ragionevole, alla portata di piccoli risparmiatori che credevano nel titolo, facciamo l’esempio di un’adesione al collocamento con l’acquisto di 8.000 azioni e un investimento di 21.440 €. Dividendo le azioni per 100 prima e per 1.000 poi, si sarebbe trovato con 0,08 azioni e un valore di 0,016 € derivante dal calcolo 80×0,0002 corrispondente al prezzo ufficiale del titolo al 29 dicembre 2023, moltiplicato per il numero di azioni possedute prima del raggruppamento in una nuova azione ogni 1.000 possedute. Il risultato corrisponde alla somma che avrebbe ricevuto in cambio della frazione di azione rimasta in suo possesso, per cancellare la sua qualifica di socio, 1 centesimo, o al massimo 2 in caso di arrotondamento per eccesso.
In assenza del diritto d’opzione, la tutela degli azionisti risiede nel mantenimento del diritto alla distribuzione degli utili futuri. Le nuove azioni sono state via via emesse con uno sconto sul patrimonio intorno al 90%, diluendo la massa dei vecchi azionisti sino alla cancellazione quasi integrale. Quanto descritto può accadere in molte società quotate, anche se con dettagli differenti tra loro, ed è estremamente grave, sia per chi ritiene normale escludere il diritto d’opzione ed emettere nuove azioni a forte sconto sul patrimonio, sia per chi dovrebbe vigilare e non interviene, sia per chi dovrebbe introdurre norme in grado di proteggere il risparmio e non agisce.
Se dopo avere letto la sintesi allegata, in cui si cerca di evidenziare il meccanismo con cui sarebbe possibile trasferire ricchezza, riteneste utile qualsiasi approfondimento, considerateci a completa disposizione.
Grati per il tempo che avete dedicato alla lettura della presente, auspichiamo vogliate finalmente iniziare con determinazione un deciso contrasto agli eccessi speculativi che favoriscono il trasferimento del risparmio europeo da chi lo ha accantonato a chi, con scaltrezza, se ne approfitta, per di più accampando giustificazioni insostenibili a supporto della negazione del diritto d’opzione, come documentato negli allegati. Il fatto che una perizia legale definisca l’operazione: “perfettamente legittima”, sposta solo la responsabilità di chi abusa della carenza normativa a chi avrebbe dovuto definire regole atte ad evitare una simile distruzione di ricchezza.
Riflessioni utili a comprendere come evitare i rischi descritti.
Gli investimenti finanziari, per loro natura, sono soggetti a rischi, e i risparmiatori, sino ad oggi, hanno cercato di difendersi dai problemi che generavano il dissolvimento dei loro risparmi, affidandosi all’unica soluzione che consentiva di ottenere un risarcimento: il ricorso in giudizio. La soluzione sarebbe valida, anche nel caso descritto, se quanto capitato dipendesse da scelte del management, che non si è attenuto alle norme di riferimento. Purtroppo, negli ultimi due decenni, però, le regole del gioco si sono evolute, allargando le maglie a favore degli emittenti e, progressivamente, sono stati ridotti i diritti dei piccoli azionisti, come descritto in molti degli articoli pubblicati su questo sito dal 1giugno 2023, in poi.
I rischi che stiamo evidenziando, sono sistemici e, per rimuoverli dai mercati finanziari, è necessaria una reazione attuata da una categoria mossa da intenti solidali, tesi ad evitarli a sé stessi e ad impedire che altri possano restare coinvolti nei meccanismi che, come idrovore, risucchiano i risparmi e ne cambiano la proprietà. Le azioni di rivalsa di piccoli gruppi non possono dissuadere emittenti ed operatori di mercato senza scrupoli e, anche nei rari casi in cui i risparmiatori ottengono risarcimenti, chi ha commesso abusi ne ha tratto profitto, considerato che il numero di azionisti che dispongono delle risorse e del coraggio per fare ricorso in giudizio, è una piccolissima percentuale di quelli che sono stati danneggiati.
La vera soluzione risiede nell’introduzione di norme chiare, incontrovertibili e severe. Che siano in grado di dissuadere gli emittenti più scaltri, perché introdotte per impedire che gli abusi generino profitti reali anche in caso di soccombenza in giudizio contro una piccola minoranza di azionisti.
Per ottenere il risultato, i risparmiatori dovrebbero organizzarsi come categoria e reagire per ottenere il rispetto dei diritti come regola assoluta. La pressione di una categoria in grado di condizionare la politica con il proprio peso elettorale, potrebbe invertire la tendenza in atto da anni favorendo l’affermazione del concetto che: attirare gli emittenti con la riduzione dei diritti che tutelano i risparmiatori, è un paradosso economico, che può portare solo all’allontanamento del risparmio dal sostegno all’economia, o al trasferimento della ricchezza di chi lo investe a chi se ne potrebbe appropriare grazie a norme che gli consentono di utilizzare gli strumenti finanziari descritti.
Se una perizia legale definisce “perfettamente legittimo” quanto descritto in questo articolo e in quello che lo ha preceduto, i risparmiatori possono solo decidere di non investire più su mercati finanziari che consentono l’utilizzo di certi strumenti, o reagire e muoversi nell’unica direzione che possa generare l’espulsione dal sistema delle figure che, ricoprendo ruoli che assegnavano loro il compito d’intervenire, non lo hanno fatto. Se i risparmiatori prendono coscienza che il vero potere forte sono loro, e trovano la determinazione per organizzarsi come categoria, convinta dei propri diritti, e determinata a pretenderne il rispetto, potrebbero generare il cambiamento. Sotto varie forme, un’altissima percentuale degli elettori possiede risparmi da tutelare e nessuno potrebbe assumere ruoli di potere senza il loro consenso, se espresso in modo coordinato.
Le ideologie politiche non hanno più una ragion d’essere in un contesto in cui le economie dei paesi più evoluti e la finanza si sono globalizzate. La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochissimi soggetti, ha indotto la politica al servilismo nei confronti di chi la possiede, facendo passare in secondo piano i diritti dei cittadini. Solo acquisendo la consapevolezza della loro forza i risparmiatori potranno contrastare la decadenza dei diritti che si sta consolidando da decenni, perché chiunque andasse al potere, dovrà fare i conti con il corpo elettorale, ma sarà felice di rispettare il suo volere, se in cambio otterrà una fiducia condizionata al mantenimento delle premesse che lo ha condotto ai vertici delle posizioni di comando. Solo una politica che ha il coraggio di globalizzare la tutela dei diritti, potrà invertire la tendenza in atto e garantire la qualità della vita a tutti, con il rispetto dei diritti che sono alla base di una civile convivenza.