Se non fosse capitato a me, non avrei potuto credere che fosse una storia vera. Poco più di diciannove mesi fa, per la prima volta nella vita, avevo deciso di partecipare all’assemblea di una società quotata, per porre una domanda al presidente di Banca CARIGE. Era 22 dicembre 2018.
Avevo seri problemi di vista, da poco tempo avevo deciso di smettere di lavorare, dopo avere versato contributi per mezzo secolo. Da poco più di un anno, avevo smesso di guidare. Pensavo fosse il momento di dedicare il mio tempo a me stesso e, invece, mi stavo cacciando in un ginepraio finanziario, che avrebbe stravolto la mia vita. Non sapevo nemmeno da dove cominciare e alcuni componenti del direttivo Associazione piccoli azionisti di Banca CARIGE, mi hanno suggerito cosa fosse necessario fare per prenotare un intervento. Non conoscevo nessuno che potesse leggere per me e non avevo scritto nulla per l’impossibilità di leggerlo personalmente. Quando mi chiamarono, feci un intervento brevissimo a braccio:
- Considerato che in settimana, l’ex ministro delle finanze tedesco, ha reso pubblico il fatto che la vigilanza BCE abbia speso venti miliardi di euro in consulenze per i controlli sulle banche europee vigilate e che tra i consulenti c’erano anche fondi comuni d’investimento, vorremmo conoscere quante delle perdite, per cui si sta chiedendo l’autorizzazione ad una nuova ricapitalizzazione, siano riconducibili alla pressione esercitata dalla vigilanza BCE sulla cessione degli NPL. Ricordo che un fondo comune aveva fatto un’offerta per l’acquisto degli NPL della banca ed aveva richiesto una ricapitalizzazione riservata, che gli avrebbe permesso di assumere il controllo di CARIGE. Aggiungo che la vigilanza BCE aveva telefonato, mentre era in corso il consiglio di amministrazione della banca, per sollecitare l’adesione a quell’offerta. I dubbi sul probabile conflitto d’interesse ci appaiono più che leciti e auspichiamo che, prima o poi, qualcuno dia una risposta alla nostra domanda.
La non risposta che fu data a quel quesito, mi fece capire che fosse necessario intraprendere qualche iniziativa per la tutela del risparmio nazionale. Il 3 gennaio 2019 lessi un articolo che parlava del tesoretto reso intangibile per gli azionisti della banca ma che sarebbe ritornato tangibile per chi avesse saputo approfittare della gestione straordinaria. Pensai che la denuncia solitaria di un semplice cittadino, non sarebbe stata presa in considerazione e decisi di realizzare un sito internet per aggregare consensi dei risparmiatori sulla tutela dei diritti. Insieme avremmo potuto attirare l’attenzione sulla degenerazione della finanza, che sembrava avesse perso di vista i diritti garantiti dall’articolo 47 della costituzione. La mia vita è cambiata e, quasi senza accorgermene, sono stato costretto a impormi ritmi di lavoro che non avrei mai pensato di potere sostenere.
Mariano, il più attento dei contatti che interagiscono con il sito, ancora una volta ha scovato una notizia apparentemente marginale e mi ha suggerito di leggere quanto pubblicato da MF-DJ alle ore 18 e 10 del 16 giugno 2020. Quanto segnalato, diffondeva una richiesta dell’Autorità Bancaria Europea (EBA). Noi evidenziamo la parte con cui s’invitano le banche europee a fornire informazioni e contributi utili a comprendere l’impatto che le decisioni di riduzione dei rischi, prese dalle banche europee, hanno avuto sugli istituti bancari europei e sui clienti. In particolare si chiedono chiarimenti utili a comprendere perché le banche europee preferiscano cedere i crediti deteriorati, anziché gestire il rischio associato a determinati settori o clienti.
Incredibile! Una sintonia così perfetta tra ciò che denunciavo da qualche tempo e i chiarimenti richiesti dall’EBA, non me la sarei mai attesa. Forse il trasferimento di valore dall’economia reale a chi, come un falco, artiglia con opportunismo le facili prede lasciate in balia della speculazione, nelle fasi critiche del ciclo economico, sta risvegliando il senso del dovere nelle istituzioni.
Attenzione! La nostra meraviglia non finisce qui perché il 9 luglio 2020, affaritaliani.lt pubblica una notizia che conferma la fondatezza dei dubbi da me espressi nell’assemblea del 22 dicembre 2018: l’ombudsman europeo ha aperto un’indagine su BlackRock per un elevato rischio che, come consulente incaricato dalla Vigilanza BCE per le verifiche sulle banche controllate da Francoforte, operasse in conflitto d’interesse.
Non ci meraviglia che si chiedano chiarimenti alle banche sulle decisioni di svendere gli NPL, perché quei comportamenti riducono il patrimonio degli istituti finanziari e penalizzano lo sviluppo economico. Impediscono alle imprese di superare i momenti di difficoltà generati dall’alternanza dei cicli economici. Chi acquista i crediti deteriorati, vuole rientrare immediatamente del capitale investito per il loro acquisto e auspica di guadagnare molto, in poco tempo. Chi compra gli NPL non ha alcuna considerazione per le potenzialità future dell’impresa, si occupa solo di recuperare il massimo possibile e non gli importa nulla se l’impresa chiuderà, perché la sua sopravvivenza non aggiungerebbe valore all’investimento in NPL. Anzi, se l’acquirente fosse straniero, avrebbe tutto l’interesse economico e politico a indebolire il tessuto produttivo di un paese con cui compete sui mercati globali.
Ci stupisce, invece, che quando si parla dei problemi relativi alla riduzione dei rischi, non si citino gli azionisti tra gli attori coinvolti. Non possono essere tenuti fuori dalle analisi dell’EBA, perché sono la categoria più penalizzata da quelle decisioni. L’affermazione è documentata dalla storia degli azionisti di Banca CARIGE. La sintetizziamo in tre semplici passaggi: hanno versato più di due miliardi in tre ricapitalizzazioni, rese necessarie dall’imposizione di cedere NPL sul mercato; quando, alla quarta richiesta di capitale fresco, hanno posto la domanda che implicitamente contiene la risposta al quesito che oggi pone l’EBA, non hanno più potuto negoziare i titoli, è stato loro negato il diritto d’opzione e hanno visto ridurre la propria quota di possesso dal 100 al 10%, per le decisioni imposte dai tre commissari, due dei quali, in precedenza, erano ai vertici di Banca CARIGE.
La risposta alla domanda dell’EBA è semplicissima: le banche scelgono operazioni di de-risking alla gestione del rischio, perché l’ha imposto la vigilanza BCE, che con quell’imposizione ha penalizzato lo sviluppo economico, favorito lo spostamento di ricchezza in aree esterne all’Unione Europea e impedito alle banche di svolgere il loro ruolo di cuscinetto che sostiene l’economia nei momenti in cui il ciclo economico entra in recessione.
Per sintetizzare il concetto, le banche non svolgono più il ruolo di sostegno alle imprese, ma assumono comportamenti che bloccano il loro sviluppo, come farebbero le pietre in una ruota idraulica.
Una semplicissima costatazione su cosa accade abitualmente sui mercati finanziari, potrebbe supportare, con efficacia, la necessità di approfondimento posta dall’EBA e dimostrare come dal quesito non possano essere esclusi gli azionisti delle banche: quando un istituto di credito decide autonomamente il tempo e il modo con cui cedere crediti deteriorati, il titolo aumenta considerevolmente la propria capitalizzazione di borsa; da quando la vigilanza BCE ha imposto la riduzione dei crediti deteriorati, la capitalizzazione del settore bancario ha raggiunto il minimo storico, nel rapporto con il proprio patrimonio netto.