Il grafico allegato a questo articolo, rappresenta le variazioni di valore del titolo Banca Carige dal 19 settembre 2018 (giorno precedente all’insediamento di Pietro Modiano e Fabio Innocenzi ai vertici di Banca Carige), all’apertura del titolo il 13 novembre (prima quotazione del titolo dopo comunicazione ufficiale che sarebbe stato necessario un nuovo aumento di Capitale). La linea azzurra rappresenta la quotazione giornaliera e quella rossa la media mobile a 200 giorni. Il grafico documenta che all’inizio di questa analisi, la quotazione del titolo era superiore al valore della media degli ultimi 200 giorni di circa il 2,5% e che, quindi, l’interesse sul titolo era superiore a quello del periodo precedente.
IL 10 Febbraio 2020 eravamo venuti a conoscenza che il Pm Paolo Filippini aveva aperto, a Milano, un’inchiesta sulla semestrale 2018 della Carige, presentata dall’amministratore delegato Paolo Fiorentino. L’inchiesta per aggiotaggio è stata avviata perché quella comunicazione al mercato non comprendeva l’informazione che sarebbe stato indispensabile vendere centinaia di milioni di NPL, che avrebbero generato nuove perdite per 219 milioni. Al mercato, quindi, non era possibile ipotizzare, nel periodo analizzato dal grafico, che sarebbe stato necessario un aumento di capitale. Informazione che gli azionisti e il Cda avrebbero conosciuto solo il 12 di novembre 2018, giorno in cui il titolo era stato sospeso, proprio in attesa di qell’annincio.
Come scritto in altri articoli, le dimissioni di molti consiglieri tra fine luglio e inizio agosto 2018, portarono all’elezione di nuovi organi sociali, Malacalza investimenti non ripresentò Paolo Fiorentino, che fu inserito nella lista presentata da Raffaele Mincione e, pur essendo eletto come consigliere, non ottenne l’incarico di Ad che fu conferito a Fabio Innocenzi, mentre Pietro Modiano assunse il ruolo di presidente della Banca Carige.
L’11 novembre 2020 sono state diffuse le trascrizioni di alcune intercettazioni tra il presidente della regione Liguria Giovanni Toti e Giovanni Castellucci, ai vertici di Autostrade per l’Italia, che parlavano di possibili interventi della società, a sostegno della Banca. Abbiamo approfondito i dettagli di quelle telefonate in precedenza. In quelle occasioni abbiamo preferito non esternare il profondo turbamento che ci avevano arrecato i dettagli di quelle conversazioni e l’accanimento mediatico che concentrava l’attenzione su Toti e Castellucci e non sulle gravi evidenze che, quanto stavano dicendo, avevano fatto emergere su ciò che era accaduto in Carige.
L’avevamo già citato in altra occasione, ma qui vogliamo complimentarci apertamente con Teodoro Chiarelli che il 13 novembre ha firmato l’articolo dal titolo “Quelle ombre sulle manovre attorno a Carige”, pubblicato dal quotidiano “La Stampa”, con cui coglieva appieno la gravità di ciò che fa venire i brividi, per i rischi di mercato che, sarà la magistratura a chiarirlo ed eventualmente confermarlo, potevano derivare dalla comunicazione ad operatori di mercato di notizie tenute nascoste ad azionisti e Cda, specialmente se messe in relazione con l’inchiesta già aperta presso la procura di Milano, che faceva riferimento allo stesso periodo. Quasi alla fine dell’articolo l’autore scrive testualmente: “Chissà se le Autorità di controllo e vigilanza, e la stessa procura avranno qualcosa da ridire”? Poi produce un lungo elenco delle giornate di borsa in cui il titolo ha perso valore in modo inspiegabile, nel caso in cui si osservasse l’accaduto tenendo presente solo le informazioni diffuse al mercato. Tutto, però, diventa spiegabile se, invece, si aggiunge un’operatività di mercato su cui sarà possibile conoscere la verità solo dopo un’eventuale inchiesta.
I nostri contatti ci hanno chiesto perché non evidenziavamo questo gravissima e probabile spiegazione sull’evoluzione del caso Carige, nella seconda metà del 2018. Lo facciamo oggi e non prima, perché non volevamo interferire con il lavoro della magistratura che rispettiamo e pensiamo sia necessario lasciare lavorare in serena concentrazione, senza il fastidio dei riflettori puntati addosso.
Il 19 settembre 2018, giorno precedente all’insediamento dei nuovi vertici di Banca Carige, il titolo aveva chiuso 0,0088 e la chiusura al 9 di novembre era stata a 0,0037. Il titolo aveva misteriosamente perso il 58% del suo valore in 34 giorni di negoziazione, arrecando danno ad azionisti totalmente ignari di cosa stesse accadendo. Il primo trimestre dell’esercizio si era chiuso in utile, l’amministratore delegato aveva in precedenza dichiarato che nel 2018 la banca sarebbe tornata in utile e nemmeno le dimissioni dei consiglieri e la sostituzione dei vertici, ampiamente scontata nelle settimane precedenti, aveva fatto scendere il titolo, che, con un movimento laterale, aveva addirittura incrociato, superandola e mantenendo quella posizione, la media mobile a 200 giorni.
L’unica spiegazione per ciò che sarebbe accaduto dal 20 settembre al 9 novembre 2018, poteva essere che qualcuno fosse a conoscenza d’informazioni non note al mercato e stesse vendendo allo scoperto. Tale ipotesi potrà apparire probabile il 12 novembre, quando con il titolo sospeso, sarà annunciata la necessità di un nuovo aumento di capitale da 400 milioni. L’apertura dell’inchiesta per aggiotaggio fa salire i sospetti e la pubblicazione delle intercettazioni conferma che alcuni operatori conoscevano informazioni molto prima degli azionisti.
Nascondere al mercato la necessità di coprire le perdite per nuove cessioni NPL, come potrebbe avere fatto Fiorentino, e conseguente esigenza di un aumento di capitale, comunicato a terzi da Modiano, hanno lo stesso effetto: penalizzano gli azionisti e favoriscono i bene informati.
A dimostrazione di quale fosse il potenziale speculativo derivante dal possesso anticipato dell’informazione sulla necessità di un aumento di capitale, segnaliamo che il primo giorno dopo la comunicazione dell’aumento di capitale, la quotazione di Banca Carige, in apertura, è stata 0,0016 con una perdita del 57 % rispetto al giorno precedente e dell’82% rispetto al giorno in cui era stato nominato il nuovo Cda. Quella mattina si poteva misurare anche la percezione dell’umore con cui i risparmiatori erano disposti ad investire sul titolo, la sua quotazione era passata da più 2,5%S a meno 79,5% rispetto alla media mobile degli ultimi 200 giorni, segno che nessuno aveva fiducia nelle prospettive del titolo. Se non bastasse, anche la risalita temporanea del titolo, potrebbe essere conseguenza della necessità di riacquistare titoli da parte di chi li aveva venduti allo scoperto, prima dell’annuncio che avrebbe provocato il crollo.
Ebbene, chi avesse venduto allo scoperto il giorno prima dell’insediamento dei nuovi vertici della banca e si fosse ricoperto in apertura, dopo l’annuncio dell’aumento, per ogni 100 € investiti ne avrebbe ottenuti 550 (risultato dell’operazione 100:0,0016×0,0088) cui si sarebbe dovuto togliere il costo per il prestito delle azioni, necessario a compiere l’operazione, che a noi non è noto perché siamo da sempre contrari alle vendite allo scoperto e, quindi, non siamo informati. Non male un simile guadagno in 49 giorni di calendario. L’investimento fatto dagli azionisti nello stesso periodo avrebbe perso l’82%. Esiste qualcuno che potrebbe affermare che tutto quanto esposto sia normale e possa accadere su un mercato regolamentato di una società evoluta come quella italiana?
Auspichiamo che, a tal proposito, la procura competente e Consob, abbiano aperto un’indagine per scoprire chi, eventualmente, avesse venduto allo scoperto tra il 20 settembre e il 9 novembre 2018 e si fosse ricoperto dal 13 novembre in poi, traendo profitto da un’informazione diffusa in modo riservato, come documentato dalle trascrizioni della procura di Genova, ma non nota al mercato e agli azionisti che ritenevano il titolo sottovalutato dopo la diffusione della semestrale a inizio agosto e le promesse di Fiorentino che Carige sarebbe tornata in utile per fine anno, mai rettificate.
Il finale della storia di Banca Carige è ancora tutto da definire, saranno gli approfondimenti degli inquirenti e le sentenze dei giudici a delinearlo e definirlo nei molteplici aspetti ancora da chiarire. Avevamo descritto in un precedente articolo quante funzioni, tutte pagate dagli investitori, avrebbero potuto evitare che fossero gli inquirenti o i giudici a svolgere il compito in loro vece. Auspichiamo che la politica possa trarre spunti di riflessione da quanto descritto, per porre rimedio definitivo ad una finanza che distrugge ricchezza, anziché generare qualità della vita.