IL bilancio 2015 di Banca CARIGE si era chiuso in rosso per il quarto anno consecutivo, Una perdita di 101,7 milioni a livello consolidato ma una di 164,9 milioni in carico alla capogruppo Banca CARIGE. Dopo l’approvazione dei conti, l’assemblea degli azionisti aveva eletto il nuovo consiglio di amministrazione e i vertici che avevano contribuito al risultato del bilancio approvato in quell’assemblea, lasciarono il posto di presidente a Giuseppe Tesauro, quello di vicepresidente a Vittorio Malacalza e quello di amministratore delegato a Paolo Fiorentino. L’amministratore delegato Piero Montani, ancora in carica sino all’elezione del nuovo CDA, non era presente perché ammalato. La stretta di mano tra il presidente uscente Cesare Castelbarco e Vittorio Malacalza e le critiche rilevabili nella relazione del socio di maggioranza relativa, lasciarono intendere quale fosse la figura di vertice ritenuta responsabile dei risultati ancora deludenti.
Il piano industriale previsto per gli esercizi dal 2016 al 2020, che il nuovo CDA aveva presentato a fine giugno alla BCE, dopo la concessione di una proroga, era stato votato all’unanimità e prevedeva la riduzione di 1,8 miliardi di NPL, entro il 2018, di cui 900 milioni entro il 2016. Era altresì previsto un utile di bilancio pari a 163 milioni nel 2020 e un ritorno all’utile per un controvalore di 68 milioni già nel 2018. Si precisava che nel piano non era previsto alcun aumento di capitale e che questa eventualità sarebbe stata considerata solo in caso di effettiva necessità.
Da fine giugno al termine di settembre 2016 si era parlato spesso del piano industriale presentato da CARIGE, delle nuove regole bancarie che la vigilanza BCE voleva introdurre, del punto di vista del ministro delle finanze tedesco che metteva in guardia dall’introduzione di norme troppo severe per le banche europee, che avrebbero potuto mettere a rischio la competitività internazionale dei nostri istituti di credito. Vari personaggi di spicco del panorama politico e finanziario europeo fecero interventi pubblici per esercitare pressioni che determinassero regole in grado di ridurre i rischi esistenti nel panorama bancario europeo, senza penalizzare nessuno. Dapprima espresse un’opinione Carmelo Barbagallo, responsabile della vigilanza bancaria e finanziaria di Banca d’Italia; dichiarò che, pur avendo un maggior livello di NPL e una bassa redditività, le banche italiane avevano una minor rischiosità rispetto alla media di quelle europee se si considerava il rischio di esposizione alla leva finanziaria. Quattro giorni dopo, nel corso di un seminario organizzato a Milano dall’università bocconi, l’amministratore delegato di Intesa San Paolo, Carlo Messina, buttò acqua sul fuoco della polemica che ipotizzava un trattamento non omogeneo tra le banche d’Europa, ma confermò la rischiosità cui era esposto il sistema bancario europeo per l’elevata leva finanziaria delle attività detenute. La risposta di Danièle Nouy, presente allo stesso convegno, è stata un esempio di comunicazione riservata alle orecchie di chi doveva intendere, in prima battuta aveva risposto all’accusa di avere favorito una banca tedesca, precisando che ci sono regole e la vigilanza le applica a tutti nello stesso modo. Poi ha introdotto un nuovo argomento, l’aumento di copertura di capitale per l’esposizione ai titoli di stato. Terminando con la frase: ” Non credo che aumentare la copertura di capitale per il possesso di titoli di stato sia una rivoluzione, piuttosto lo sarebbe se decidessimo di introdurre un tetto al loro possesso”
Nel periodo in cui avveniva quello scambio di opinioni, la vigilanza inviò una lettera a CARIGE, in cui chiedeva un nuovo piano per la cessione di NPL, con valutazione dalla riduzione patrimoniale che sarebbe stata una diretta conseguenza della loro cessione. Per considerare l’impatto della nuova comunicazione inviata dalla vigilanza BCE, bisogna considerare che si richiede una dismissione di 1,4 miliardi di NPL in più rispetto al piano industriale presentato poco più di tre mesi prima. Il braccio di ferro tra vigilanza europea e CDA di Carige si protrasse per settimane e sembrava che non ci fosse alcuna possibilità di ammorbidire la rigida posizione assunta dall’organismo di vigilanza. Nel frattempo gli analisti avevano iniziato a parlare di una nuova ricapitalizzazione e la quotazione del titolo CARIGE scendeva. Smentite, nuovi annunci, scambi di lettere tra la vigilanza e il CDA della Banca, si è andati avanti sino a fine settembre 2017, poi è stata resa nota la decisione di un rafforzamento patrimoniale da oltre 1 miliardo, composto da conversione di bond senior, cessione di immobili e aumento di capitale da 560 milioni.
Quell’aumento di capitale avrebbe avuto caratteristiche uniche e, auspichiamo, non più ripetibili, né in Italia, né nel resto del mondo e dovrebbe essere annoverato tra i casi da studiare per spiegare cosa non dovrebbe mai accadere nel corso di una ricapitalizzazione. Un rimpallo di responsabilità tra banche che componevano il consorzio di garanzia e i principali azionisti, fece temere che l’aumento di capitale potesse fallire ancora prima del suo inizio. Soddisfatta la necessità che l’aumento fosse coperto da un impegno d’investitori istituzionali, fu ufficializzata la seconda anomalia: la ricapitalizzazione sarebbe partita, grazie alla deroga concessa da CONSOB, mercoledì 22 novembre e non, come di consueto, di lunedì. Come se non fossero ancora sufficienti le novità, fu annunciato che l’aumento di capitale CARIGE sarebbe stato il primo che dava la possibilità di ottenere la consegna immediata delle azioni, a chi avesse scelto di aderire al modello di ricapitalizzazione rolling, come descritto nella comunicazione CONSOB, numero 0088305 diffusa il 5 ottobre 2016. Ai più esperti questo nuovo modello di ricapitalizzazione era noto, perché sarebbe stato una vera opportunità per gli azionisti CARIGE, che avrebbero potuto trarre profitto dalla possibilità di fare arbitraggi tra la quotazione dell’azione e quella dei diritti.
Purtroppo, anche quella che doveva essere un’opportunità, si sarebbe trasformata in una trappola per gli azionisti che avessero provato a fare gli arbitraggi, perché la stragrande maggioranza delle banche non avrebbe consegnato le azioni immediatamente, come previsto dalla comunicazione Consob, ma al terzo giorno, danneggiando ulteriormente i già martoriati azionisti della banca. Le azioni avrebbero perso valore nel momento in cui tutti avrebbero avuto premura di venderle, perché consegnate contemporaneamente a investitori delusi dal mancato rispetto delle regole definite da CONSOB e che, si erano illusi di avere in mano un jolly che, invece, si era trasformato nell’ennesima carta perdente. Il rafforzamento patrimoniale, anche se tra ostacoli imprevedibili, era andato a buon fine e aveva consentito svalutazioni per 738 milioni, una chiusura del bilancio 2017 con una perdita di 380,5 milioni, mantenendo il patrimonio sopra i livelli imposti dalla vigilanza BCE.
A febbraio 2018, il finanziere Raffaele Mincuone, mediante Capital Investiment Trust, ha annunciato di avere acquistato il 5,42% di CARIGE. L’AD Fiorentino dichiara che è stata fatta pulizia nei conti e che ci si poteva concentrare sui ricavi. La chiusura del primo trimestre 2018 è annunciata con un utile di 6,4 milioni. Il nuovo socio chiede che gli sia assegnato un posto in CDA. Non vedendo accolta la sua richiesta, tenta di ottenere la revoca del CDA. L’amministratore delegato Fiorentino prova a spingere i soci verso una collaborazione costruttiva, la diffusione di notizie sui quotidiani, che parlavano di rapporti intercorsi tra lui e l’avvocato Lanzalone, poco prima che fosse arrestato per corruzione, ha provocato le dimissioni del presidente Giuseppe Tesauro. Sono seguite a raffica le dimissioni di altri due consiglieri. Anche Vittorio Malacalza annuncia la sua intenzione di uscire dal consiglio di amministrazione e giustifica la decisione con il comportamento di Paolo Fiorentino. Seguirono altre dimissioni e, a fine agosto, inizia la competizione per presentare le liste e per avere il maggior numero possibile di consensi nell’assemblea degli azionisti che si terrà il 20 settembre 2018 e creerà l’ennesimo terremoto ai vertici della banca dei liguri. Paolo Fiorentino lascerà il posto di amministratore delegato e non entrerà nel nuovo consiglio di amministrazione anche se presentato nella lista di Mincione
PROVIAMO A PORRE ALCUNE DOMANDE
- La crisi economica globale era iniziata con lo scoppio della bolla sui mutui subprime, la cui rischiosità non è rimasta circoscritta alle banche degli Stati Uniti, che li avevano concessi, ma era stata diffusa in tutto il mondo attraverso i derivati su quei mutui, incautamente acquistati da molti attori del panorama finanziario globalizzato. L’aumento degli NPL in carico alle banche, sono stati una conseguenza di quella crisi finanziaria, accentuata dall’effetto leva dei derivati e non una sua causa. Perché mai la vigilanza della BCE continuava a pretendere una svendita degli NPL posseduti dalle banche italiane, minacciando un nuovo aumento del capitale necessario a coprire l’esposizione al rischio titoli di stato, senza prendere alcun provvedimento nei confronti delle attività in pancia alle banche europee che, per la loro natura, erano assimilabili a quelle che avevano generato la crisi?
- Che peso ha avuto nell’inasprimento delle richieste della vigilanza BCE il rifiuto degli azionisti ad accettare l’offerta del fondo americano Apollo?
- L’atteggiamento psicologico positivo degli investitori nei confronti di un potenziale investimento, spessissimo ha impatti più incisivi dei fondamentali. Se così non fosse, come si potrebbe spiegare la sistematicità con cui si creano le bolle. Quale poteva essere lo stato d’animo con cui decidere di acquistare azioni CARIGE, in presenza di una vigilanza della BCE che continuava a chiedere parametri più restrittivi rispetto a quelli definiti in precedenza, specialmente quando decide di dimostrarsi ancora più rigida facendo intravvedere la possibilità di ulteriori inasprimenti normativi a copertura del l’esposizione del sistema bancario italiano ai titoli di stato?
- Sapendo che in Italia potrebbero servire quasi otto anni per un recupero crediti e che non esiste un mercato corretto degli NPL, mentre ci sono stati europei in cui per il recupero crediti servono moli anni in meno, può una funzione di controllo imporre regole che penalizzano uno stato, senza tenere in alcuna considerazione le cause che creano quelle disparità?
- Da chi potevano sentire tutelati i propri diritti, gli investitori che, dopo avere letto una comunicazione di CONSOB, speravano di potere trarre ristoro dall’introduzione delle nuove norme sulla base delle quali avevano investito parte dei propri risparmi e, a ricapitalizzazione ancora in corso, scoprono, attraverso una risposta data a un membro della commissione finanza alla camera, che il presidente Giuseppe Vegas non si è nemmeno accorto del comportamento scorretto tenuto da molte banche? La risposta data è: ”E’ stato applicato il nuovo modello di ricapitalizzazione rolling, che ha agevolato la partecipazione e risolto molti problemi, non abbiamo avuto notizia su complicazioni capitate agli investitori, prendiamo nota e indagheremo”. A distanza di sedici mesi, non abbiamo ancora sentito nulla. Ai lettori che si sono interessati agli articoli sui diamanti, segnaliamo che è la stessa risposta, che lo stesso presidente aveva dato a Milena Gabanelli quando aveva denunciato la truffa diamanti da investimento. Anche gli azionisti di Banca Carige hanno subito danni come chi ha acquistato diamanti, ma nessuno ne parla.