Abbiamo deciso di descrivere il caso SCI, perché è un’esperienza vissuta da noi ed è un chiaro esempio di come, in casi molto particolari, si possa interpretare ciò che accade sul mercato ed evitare di essere abbagliati dalle mosse distorsive dai furbi, trasformando una trappola in un’opportunità. In un secondo articolo racconteremo come abbia recuperato il danno chi non aveva intuito il trucco e, in buona fede, aveva pensato di fare un buon investimento. Il finale, che non ci era noto mentre accadevano i fatti che seguono, ci ha piacevolmente sorpreso nel momento in cui ne siamo venuti a conoscenza.
A inizio novantasei, un inconsueto caso di omonimia tra una società quotata alla borsa di Parigi e una a quella di Milano, attirò l’attenzione di uno del nostro gruppo, su una società che, senza quella casualità, non avremmo mai preso in considerazione. Pensando si trattasse della Societé Centrale d’Investissement (SCI), una società francese in cui Raul Gardini aveva acquisito una quota dopo l’estromissione dalla Serafino Ferruzzi, l’amico iniziò la lettura dell’articolo e si accorse che, invece, si parlava della Società di Costruzioni Italiana (SCI). Venimmo così a conoscenza che, nel novantacinque, l’azienda era ancora in difficoltà, a causa della crisi immobiliare scoppiata nel novantatré. Le banche che avevano finanziato l’indebitamento della società, appurato che non era riuscita a generare i profitti stimati nel piano industriale, avevano deciso di convertire i propri crediti in azioni e di sostenere la SCI con un nuovo aumento di capitale, per aiutarla a uscire dalla crisi di liquidità in cui era precipitata.
Appurato che l’insieme delle banche deteneva il settantotto percento del capitale sociale, ci convincemmo che, tenendo sotto controllo i volumi scambiati, avremmo avuto la possibilità di capire immediatamente se ci fosse stata qualche notizia riservata che potesse consigliare una rapida uscita dal titolo. Fino a quando le banche avessero mantenuto la loro esposizione sulla SCI, sarebbe stato lecito attendersi una soluzione dei problemi, in funzione della quale sarebbe stato logico ipotizzare che il valore dell’azione iniziasse a salire nel momento in cui il piano industriale avesse riportato la redditività nel bilancio della società.
Seguivamo con particolare attenzione le oscillazioni dei grafici SCI, che avevamo ricostruito e mantenevamo aggiornati, in una fase in cui si attendevano notizie sulla riuscita o sull’insuccesso del piano di ristrutturazione aziendale. Le oscillazioni dei volumi negoziati potevano assumere un’importanza maggiore di quelle del valore azionario, perché avrebbero evidenziato eventuali cessioni da parte delle banche che detenevano una quota inconsueta di un titolo azionario. I ragionamenti fatti e la consapevolezza di avere un indicatore che ci avrebbe preavvertito con sufficiente anticipo su un’eventuale crisi societaria, indussero tre di noi ad acquistare un’importante quantità di azioni SCI, di raccogliere e valutare quotidianamente tutte le informazioni su quel titolo.
A luglio le azioni SCI andarono soggette a qualche giornata di tensione con forti oscillazioni dei prezzi e alcune sedute di consistenti ribassi. Ne parlammo tra di noi, arrivando alla conclusione che un incremento della volatilità su un titolo come il nostro, sarebbe stata preoccupante solo se in presenza di un forte incremento del volume dei titoli negoziati. Salite e discese del valore potevano essere considerate abbastanza normali, mentre un serio segnale di pericolo, sarebbe arrivato da un’impennata dei volumi di vendita, con gli scambi giornalieri che si fossero improvvisamente alzati molto sopra la media degli ultimi mesi. Un paio di settimane dopo, il titolo iniziò a salire. Due di noi erano al mare in Liguria, mentre il terzo era rimasto a Milano perché doveva lavorare sino a dopo il venti di agosto, poi sarebbe andato in Malesia. Non eravamo preoccupati, stavamo maturando un’ottima plusvalenza e il titolo continuava a salire. Il rapporto tra volume degli scambi e capitalizzazione del titolo era tranquillizzante, considerando che il flottante era inferiore al ventidue percento. Unica nota stonata, nella positiva sequenza che ci confermava di avere azzeccato quell’investimento, era che qualcuno stesse comprando un’azione sottile nel mese di agosto, periodo in cui gli scambi sono molto rarefatti e inferiori rispetto alla media, a causa dell’assenza degli investitori cha erano in vacanza. Chiunque volesse acquistare quote importanti di un titolo, l’avrebbe fatto in luglio, oppure in settembre, mai in agosto, dove possono bastare pochi ordini per fare schizzare il valore di un titolo.
Quanto stava accadendo, era ancora più sospetto, se si considerava che non fossero emerse notizie particolarmente positive da giustificare l’incremento di valore del titolo. Tutto assumeva un altro significato logico, se si osservava ciò che stava accadendo da un punto di vista che c’era ben noto: manipolare un titolo, facendo salire il suo valore, quando si ha un fine diverso dal suo acquisto, nel momento in cui ci sono volumi di scambio ridotti, è meno costoso che farlo nei momenti con scambi elevati. Al ventidue di agosto, uno dei due in vacanza in Liguria doveva tornare a Milano e se ne andò tranquillo per la ripresa del titolo che aveva fatto scomparire le preoccupazioni insorte a luglio. Chi era rimasto al mare, il più esperto tra i tre, controllava sempre le quotazioni del titolo su televideo, prima di uscire e appena rientrato. Il ventisei di agosto vide che lo scostamento tra minimo e massimo del titolo era inconsuetamente elevato, segnalando una particolare vivacità degli scambi e notò che anche i volumi si erano impennati. La mattina successiva si alzò presto e andò ad acquistare il giornale, lo sfogliò per verificare se vi fossero notizie sulla SCI. Non ne vide. Si convinse che fosse venuto il momento di cedere le azioni SCI senza esitazione, perché a vendere, erano le banche che avevano iniziato a liberarsi del loro 78 %.
Telefonò all’amico di Milano per dirgli che bisognava vendere il più in fretta possibile, lo pregò di avvertire anche chi era andato in Malesia. Alle otto e trenta telefonò in banca e ordinò di vendere tutte le SCI possedute, riuscì a cedere l’intero pacchetto, anche se particolarmente elevato, in apertura. L’amico a Milano non era potuto andare in banca subito, riuscì a venderle il giorno successivo al 3,5 % in meno rispetto a chi era riuscito a farlo il giorno precedente. Il terzo, sottovalutando l’allarme lanciato dal più esperto, non provò nemmeno a vendere telefonando dalla Malesia, preferì rimandare il tutto a dopo il suo rientro in Italia. Non riuscì più a farlo, quando tornò, si accorse che la SCI stava portando i libri in tribunale.
Riportiamo le stesse conclusioni e considerazioni che avevamo condiviso a fine 96 tra amici.
- Riassumendo i fatti, possiamo sintetizzare che le banche avevano crediti inesigibili, a causa dei problemi attraversati dal mercato immobiliare in quel periodo. Hanno deciso di trasformare i crediti in azioni e di aumentare il numero di azioni con una nuova ricapitalizzazione. “Casualmente!”, nel mese d’agosto, un’azione speculativa fa salire in modo considerevole il valore del titolo e le banche riescono a vendere circa l’ottanta percento delle azioni possedute, ricavando molto più del valore che aveva l’azione nel momento della ricapitalizzazione. Con questa mossa sono riuscite a recuperare i crediti inesigibili e a trasferire le perdite sugli investitori che avevano creduto di fare un buon investimento. Che cosa avesse indotto i piccoli investitori ad acquistare quel titolo, non c’era noto, ma lo scoprimmo anni dopo e lo descriveremo nel prossimo articolo.
- Quanto messo in atto dai tre amici, vi assicuriamo che è descritto con la massima precisione, e dimostra che se ci si avvicina alla finanza con prudenza, con la consapevolezza che nulla sia facile e scontato e ci s’impegna nel conoscere in modo approfondito il mercato, le sue regole e la logica dei comportamenti che assumono gli investitori, è possibile evitare certe trappole e sottrarre margini a chi fa il furbo per approfittarsi della buonafede dei risparmiatori.
- Dotarsi di tecniche di difesa dagli abusi, non significa assolutamente ritenere che siano leciti. Anzi, noi siamo convinti che vadano denunciati e che siano introdotte norme più severe, che puniscano chi si approfitta della buonafede dei risparmiatori. Complicare la vita a chi ci prova, con l’introduzione di norme dissuasive, può aiutare a ridurre i tentativi dei furbi.
Ci siamo sentiti in dovere di dare evidenza a quanto descritto in quest’articolo, perché la diffusione della cultura finanziaria e la proposta di norme a tutela dei risparmiatori, appartengono alla lista di ciò che abbiamo dichiarato di volere fare.