Il 24 giugno 2024, il Corriere della sera – Economia – affrontava un argomento che è ben noto agli investitori retail, a causa delle molteplici motivazioni e dei vari metodi con cui possono avvenire i delisting (rimozione volontaria di un titolo dalla negoziazione di borsa). Gli approfondimenti sul tema attirano l’attenzione degli investitori che, in alcuni casi, hanno visto dissolversi il capitale investito e auspicano l’introduzione di regole che tutelino il risparmio. Titolo e sottotitolo tratteggiavano fatti che in altri mercati accadono con minor frequenza: Borsa, pioggia di delisting: 22 aziende pronte a dire addio a Piazza Affari, addio a 21 miliardi di capitalizzazione.
Nel corpo dell’articolo si faceva cenno ad una criticità nota – Come gli altri listini europei, Milano stenta ad attrarre in quotazione aziende di dimensioni medio-grandi – e si elencavano alcune motivazioni in grado di spiegare le scelte degli emittenti (società che colloca i propri titoli su un mercato ufficiale) – il rialzo dei tassi d’interesse, la concorrenza dei fondi di private equity, la mancanza di un mercato unico dei capitali, la logica di brevissimo termine ormai prevalente in Borsa – Se si esclude la mancanza di un mercato unico europeo, le altre ragioni sono comuni a tutti i mercati, e se si vogliono individuare le vere cause che allontanano gli emittenti, sarebbe saggio cercarle in ciò che differenzia i mercati europei da quelli che li attraggono; considerazione da tenere presente anche quando si legge – Più degli altri listini europei, però, Milano fatica anche a trattenere in Borsa le società già quotate – la cui gravità e rilevabile dai dati forniti al quotidiano da Assonime (Associazione di società italiane per azioni) che quantificava le uscite del 2023 e 2024 da Piazza Affari – 97 gruppi con una capitalizzazione complessiva ben superiore ai 100 miliardi di euro -.
Infine si segnavano le misure con cui il governo vorrebbe contrastare la fuga delle imprese – l’addio alla Borsa è frutto anche dell’insoddisfazione per la scarsa attenzione degli investitori e della difficoltà per le società nell’affrontare da quotate piani di trasformazione di lungo periodo. Problemi a cui il legislatore ha inteso ovviare con la Legge Capitali e con la prossima istituzione di un fondo per le Pmi quotate partecipato da Cdp. Senza, tuttavia, riuscire a invertire la tendenza di Piazza Affari che, in rapporto al pil, deve ancora recuperare i livelli precedenti alla crisi finanziaria del 2009 –.
Sintetizzato che: i) i capitali vanno dove si sentono più tutelati; ii) gli emittenti si quotano dove ci sono capitali che possano accrescere il valore delle società; iii) il Price Earnings (rapporto tra prezzi e utili) riconosciuto alle società quotate sul nostro mercato, è solo una frazione di quello riservato agli emittenti quotati su altri mercati; iv) ciononostante gli investitori italiani preferiscono investire in mercati dove le azioni sono più costose e distribuiscono dividendi meno remunerativi; v)non si può giungere a conclusione diversa dall’affermazione che il nostro mercato sia considerato privo delle tutele che altri offrono agli investitori.
Potremmo estrarre molti esempi dagli esposti inviati o dalle migliaia di pagine scritte negli ultimi 5 anni, per documentare il perché gli investitori nazionali diffidano del nostro mercato. I fatti che hanno determinato i problemi su cui si continua a dibattere in cerca di soluzioni, potrebbero facilmente dimostrare la concretezza dell’affermazione esposta al punto v). Preferiamo non farlo, perché riteniamo più utile introdurre le conclusioni di un’analisi elaborata da due donne dotate di una straordinaria capacità d’analisi, che hanno scritto un libro le cui conclusioni, se applicate alla finanza, si adattano come abiti su misura alla soluzione dei problemi in cui si dibattono la finanza italiana ed europea, incapaci di identificare le motivazioni che hanno spinto i risparmiatori a sostenere lo sviluppo di imprese extraeuropee, con grave danno alla crescita comunitaria.
Titolo e sottotitolo del libro sono – Il grande imbroglio – Come le società di consulenza indeboliscono le imprese, infantilizzano i governi e distruggono l’economia – Editore Laterza. Il programma RAI “Quante storie” ha presentato il libro nella puntata del 24 ottobre 2023, disponibile su RaiPlay. Le autrici sono l’Economista Mariana Mazzucato, titolare della prestigiosa Cattedra RM Phillips in Economia presso il centro di ricerca sull’innovazione Science Policy Research Unit, nonché Consulente che ha collaborato con vari governi, compreso quello italiano; e la sua dottoranda Rosie Collington. La professoressa è autrice anche di altri libri di economia, tra cui – Ripensare il capitalismo-, per la cui pubblicazione bisogna riconoscere il merito di Editori Laterza.
Sintetizziamo alcuni concetti esposti dalle autrici, per dimostrare come il loro lavoro sulla comprensione dei meccanismi che hanno compromesso la qualità di servizi essenziali come istruzione, sanità, problemi climatici …, trovino riscontri precisi anche nella finanza. Ne consegue che anche i mercati finanziari necessitino di una consapevole supervisione politica, se si vuole che la crescita economica della UE torni a beneficiare della disponibilità dei capitali che sono stati messi a disposizione dei suoi competitor internazionali.
- Fare è importante, perché facendo s’impara. Un governo che non si occupa direttamente dei problemi non genera strutture agili, efficienti ed in possesso delle competenze per soddisfare i bisogni dei cittadini.
- Facendo s’impara e si crea valore, delegando ad altri il fare, si perde ogni sensibilità e conoscenza sul contesto e non si è nemmeno in grado di valutare congruità dei costi e qualità dei servizi resi alla comunità.
- Facendo fare, la politica non si assume la responsabilità degli sbagli, ma sostiene i costi degli errori commessi dai consulenti, e ha un capro espiatorio su cui puntare il dito. La consulenza è utile quando aiuta a sviluppare competenze interne allo stato, ma non ha alcun interesse a farlo, perché perderebbe commesse future, e i vantaggi derivanti dall’agire in conflitto d’interesse. Condizione che si verifica con frequenza insospettata.
- Più ci si affida a competenze esterne, meno si sviluppano quelle interne. Solo ascoltando tutte le componenti coinvolte in un settore, è possibile trovare soluzioni efficaci. Le vere soluzioni non possono prescindere da un’intelligenza collettiva che si può ottenere solo ascoltando tutte le componenti di un’attività. Un esempio: se non si fossero ascoltati i sindacati, ancora oggi non avremmo il fine settimana di riposo collettivo.
Nell’articolo citato si legge che una delle motivazioni sia – l’addio alla Borsa è frutto anche dell’insoddisfazione per la scarsa attenzione degli investitori – lo Stato propone di risolvere il problema – con la prossima istituzione di un fondo per le Pmi quotate partecipato da Cdp – Questa è la prova più palese di come la Professoressa Mazzucato abbia saputo individuare il cuore del problema che impedisce all’Europa di competere alla pari con le economie che si stanno imponendo sui mercati globalizzati. Infatti se lo stato avesse ascoltato tutte le componenti del sistema finanziario, compresi gli investitori retail, si sarebbe appropriato delle competenze per presidiare i veri aspetti critici del problema. Avrebbe agito sulle cause e non sugli effetti. Avrebbe evitato la paradossale soluzione di investire denaro pubblico in un sistema finanziario che consente ai predatori di appropriarsi del capitale investito, motivo per cui i risparmiatori preferiscono investire su altri mercati, perché difendono il capitale, non perché trascurano le nostre imprese.
Sia gli investitori istituzionali, sia quelli retail, investono dove i diritti sono garantiti. Continuare a ridurre i diritti dei risparmiatori nella speranza di fare arrivare emittenti, è un’autostrada che favorisce l’arrivo di emittenti senza scrupoli, che con vari meccanismi si appropriano del capitale investito; per esempio: emissione di Prestiti obbligazionari non standard o fusioni in società non quotate, dopo che si è ridotto il valore di un titolo con tutti i mezzi a disposizione: vendite allo scoperto per citarne uno. Per favorire chi non lo abbia ancora letto, riportiamo il link di un articolo che descrive cosa ha fatto la Stato negli ultimi 10 anni per ridurre i diritti dei risparmiatori, allo scopo di favorire la quotazione di nuovi emittenti.
www.vocedegliazionisti.it/risparmiatori-in-cerca-di-protezione/
I mercati che soddisfano emittenti e investitori, sono quelli in cui i capitali confluiscono copiosi perché protetti dagli abusi, e fanno a gara per accaparrarsi titoli sani che possono garantire un rendimento nel lungo periodo, favorendo così l’incremento del valore e sostenendo lo sviluppo dell’impresa.
Per navigare nella finanza, che implica rischi statisticamente sostenibili con un portafoglio diversificato, i capitali cercano acque calme ed orizzonti limpidi, che solo norme adeguate possono garantire. Il risultato più esecrabile è che ad essere penalizzati da un mercato inadeguato, Sono proprio gli emittenti affidabili, che vedono i propri titoli sempre sottovalutati rispetto alle quotazioni che sarebbero riconosciute su altri mercati e, quindi, le decisioni proposte e introdotte per incentivare le quotazioni sui nostri mercati, finiscono per avere l’effetto opposto, se non sono definite con la competenza necessaria.