Nei nostri precedenti articoli avevamo analizzato le criticità dei crediti deteriorati (Npl) per segnalare che la loro gestione si era progressivamente dimostrata un meccanismo di trasferimento della ricchezza dai risparmiatori al sistema bancario. Come ciò sia potuto accadere, è facilmente desumibile dalla descrizione di quanto accaduto a Banca Carige:
- supervalutazione dei crediti incagliati nei bilanci, senza alcuna censura di consiglieri e revisori; intervento degli organi di vigilanza che ne imponevano la vendita, con susseguenti perdite coperte con aumenti di capitale;
- ad ogni contabilizzazione di perdite, sempre coperte da iniezioni di liquidità, cresceva l’accumulo di imposte differite attive, tenute a disposizione dell’istituto di credito che avrebbe acquisito Carige, alla fine ammontavano a 1.350 milioni;
- facilitazione all’ingresso di un acquirente mediante un ultimo aumento di capitale con esclusione quasi integrale del diritto d’opzione, realizzando così le condizioni per escludere i vecchi azionisti da ogni decisione sul futuro della banca che avevano salvato con l’adesione ai tre aumenti di capitale precedenti, nei quali il diritto d’opzione era stato sempre previsto.
Certamente ci sono stati anche altri beneficiari nei trasferimenti di ricchezza; e ora che alcune storie d’impresa si sono evolute, è possibile documentare come certe imposizioni abbiano falsato il ruolo che, storicamente, era la ragion d’essere delle banche, riducendo in modo significativo la loro redditività. La prima di cui vogliamo descrivere il percorso l’abbiamo scelta per tre semplici ragioni: (i) è una storia di successo, (ii) il protagonista era citato come uno dei debitori più importanti nel processo di Roma, in cui sono stati condannati i vertici di Banca Carige per fatti accaduti nel 2013, (iii) la vicenda dimostra che lasciando alle banche la possibilità di gestire i crediti deteriorati, anziché imporre la loro vendita, è possibile recuperare i crediti e favorire lo sviluppo economico del paese.
Evitando di entrare nei dettagli tecnici della struttura societaria, ci occupiamo del marchio Orsero (noto a molti per la produzione e distribuzione di frutta, in particolare di banane e ananas), perché potrebbe aggiungere dettagli utili a comprendere come l’obbligo di vendere gli Npl toglierebbe autonomia operativa alle banche. La società, che in una fase precedente aveva investito in attività finanziarie (immobili, Alitalia, Banca Carige …), aveva fatto ricorso all’indebitamento con alcune banche, la più esposta delle quali era Carige, che aveva concesso un’ampia linea di credito nel periodo in cui alla guida c’era ancora Giovanni Berneschi. Quando, successivamente, Piero Montani aveva assunto il ruolo di Amministratore delegato in Carige, si era trovato creditore di una società che aveva contratto con le banche debiti per 245 milioni, il 40 % dei quali con la banca che aveva accettato di guidare.
La negoziazione di un accordo tra le banche e la società savonese, per la ristrutturazione del debito, era stata laboriosa. Era stata avviata negli ultimi mesi del 2013, dopo che Antonio Orsero aveva lasciato tutte le cariche, e al timone della holding era subentrata la sorella Raffaella. Nella trattativa erano coinvolte anche altre banche tra cui: Mps, Bnl, Unicredit e Intesa Sanpaolo, per le quali l’incidenza dell’esposizione al rischio Orsero era meno pesante di quella che gravava su Carige. Per quest’ultima però, nonostante l’aumento di capitale portato a termine nel giugno 2014, che i vertici aziendali avevano descritto come risolutivo dei problemi Carige, a inizio 2015 se ne doveva pianificare un secondo, a causa delle nuove cessioni di Npl imposte dalla Bce. Inizio modulo
La necessità di ridurre l’incidenza dei crediti deteriorati, e nello stesso tempo di contenere l’aumento di capitale ad un importo che fosse accettato dal mercato, impressero un’accelerazione al negoziato tra la famiglia Orsero e Banca Carige. A fine marzo 2015, l’accordo tra il debitore e gli istituti di credito fu sottoscritto. Facile ipotizzare che i termini dell’accordo furono sottoscritti per la “disponibilità” ad accettarlo del creditore che aveva la più alta esposizione.
Una notizia diffusa dall’Ansa il 7 febbraio 2017, segnalava che, dopo appena 18 mesi dalla ristrutturazione del debito, la famiglia Orsero era ritornata finanziariamente solida, sino al punto di quotare alla borsa di Milano il gruppo agroalimentare, attribuendo il nome della famiglia alla nuova società: – Ultimo atto nella fusione per incorporazione in Glenalta di GF Group spa, la holding a capo del gruppo savonese che opera nella distribuzione, importazione e produzione di prodotti ortofrutticoli freschi nell’Europa mediterranea. – L’operazione sarà efficace dal 13 febbraio, quando la nuova società, che cambierà il nome in Orsero Spa, sarà quotata sul mercato AIM di Borsa Italiana. È stato stipulato l’atto di fusione che conclude l’operazione avviata con l’accordo dello scorso ottobre.
A marzo 2019 Orsero riprendeva ad allargare il proprio giro d’affari con nuove acquisizioni. Con 10 milioni attinti dalla propria liquidità, acquisiva Gruppo Frutta, una società attiva nella distribuzione di frutta, ben posizionata sul mercato francese dove distribuiva uva, meloni ed ortaggi di produzione italiana. Nel 2021 il gruppo ha acquisito il 50% di una società toscana specializzata nella distribuzione di prodotti ortofrutticoli, Agricola Azzurra.
Il 28 luglio del 2022 Orsero annunciava la sottoscrizione di un accordo per l’acquisizione d’una quota dell’80% di Blampin sas e del 100% di Capexo. Il 10 gennaio 2023 confermava di avere acquisito le due società attive in Francia nella distribuzione di frutta e ortaggi con un fatturato equivalente a quello realizzato in Italia. Come previsto dagli accordi sottoscritti in precedenza, l’operazione si era chiusa con il versamento di un corrispettivo di circa 65 milioni, pagati in parte con disponibilità interne, e la differenza attingendo alle linee di credito aperte per le acquisizioni.
La conferma dell’acquisizione era una chiara dimostrazione del successo di un’azienda che aveva ampliato la propria attività distributiva, riuscendo a coprire i mercati ortofrutticoli di: Italia, Spagna, Grecia, Francia, e non solo, avendo sviluppato le competenze per produrre o acquistare e distribuire prodotti freschi in ogni parte del mondo. I fatti che avevano portato al timone della società Raffaella Orsero, dimostravano come la finanza al servizio della speculazione distruggeva ricchezza, mentre quella che sosteneva imprenditori capaci e concentrati su un’attività che ben conoscono, alimentava lo sviluppo economico del paese. A determinare la differenza è stata la concretezza con cui si sono sapute rimuovere le cause che avevano portato a una crisi che, forse, era dipesa da fattori esterni all’attività caratteristica della società e alla capacità delle banche di comprendere la potenzialità di sviluppo imprenditoriale che potevano essere generate con l’erogazione di altro credito. Per comprendere lo spirito che ha animato l’imprenditrice savonese, invitiamo leggere l’intervista che ha rilasciato a Myfruit il 12 novembre 2022, il cui titolo era: Raffaella Orsero: “Il mio merito? Ho tenuto duro”. https://www.myfruit.it/myfruit/2022/11/raffaella-orsero-il-mio-merito-ho-tenuto-duro.html
Ci piacerebbe dilungarci in lodi e dettagli sull’esemplare lavoro svolto da Raffaella Orsero, soffermarci sullo spirito che ha permesso di valorizzare il ruolo delle persone, perché lo meriterebbe, ma le ragioni per cui abbiamo descritto la delicata fase vissuta dalla sua società, sono altre e riteniamo importante segnalarle, perché ci sono zone d’ombra e aspetti molto importanti e delicati da evidenziare, per tratteggiare una visione realistica su cosa stia influenzando la percezione dei risparmiatori sulla finanza italiana: quando le imposizioni mettono in dubbio le regole che sovraintendono l’erogazione del credito a sostegno dello sviluppo economico, si compromette la credibilità del sistema finanziario, e i risparmiatori cambiano destinazione ai propri investimenti.
- Se Banca Carige avesse deciso di svendere i crediti vantati nei confronti del gruppo Orsero, ai pochi compratori che c’erano sul mercato a inizio 2015, cosa sarebbe stato del gruppo agroalimentare savonese? I fatti dimostrano che chi li avesse acquistati: li avrebbe pagati pochissimo, avrebbe cercato di vendere tutto ciò che li mercato era disposto ad assorbire (immobili, macchine agricole e macchinari industriali, terreni e ogni cosa che avesse potuto trovare un compratore). Per siffatti operatori, le imprese non hanno alcun valore che vada oltre al recupero immediato del denaro versato per impadronirsi del diritto ad esigere il rientro dei loro debiti.
- C’è però un’altra evidente criticità nell’imporre alle banche la cessione dei crediti incagliati su un mercato che non ha la possibilità di assorbirli tutti: il potere negoziale è totalmente nelle mani del compratore, perché è a conoscenza che l’Ente regolatore obbliga la banca creditrice a vendere entro un termine stabilito e, come conseguenza, l’istituto di credito parte da una posizione di debolezza nel negoziato.
- Attenzione, però: quella debolezza persisterebbe anche nel caso in cui un istituto di credito volesse intraprendere una via diversa dalla vendita; per esempio un accordo di ristrutturazione del debito, come nel caso Orsero. Se il debitore sa che dalla cessione del suo debito la banca potrebbe ricevere il 15% del suo valore nominale, avrebbe la possibilità di negoziare un accordo, forzando un rimborso inferiore al 20% anche se per fare uscire dalle difficoltà la sua impresa, fosse sufficiente negoziare un rimborso dell’80%.
- A questo punto si potrebbe pensare che la vendita obbligata di Npl penalizza sempre le banche. Invece, no! Penalizza sempre gli azionisti, perché, come descritto nella sintesi su quanto accaduto a Carige, le perdite generano la necessita di aumentare il capitale a spese degli azionisti e un accumulo di imposte attive differite che saranno a disposizione del sistema bancario per ottenere un’acquisizione vantaggiosa, evitando i costi che il sistema dovrebbe invece sostenere, in caso di risoluzione.