Carige, ostacolo alla vigilanza altra condanna per Berneschi. Era il titolo dell’articolo pubblicato il 18 gennaio 2023 su “la Repubblica”. Lo stesso giorno anche “Il Secolo XIX” dava visibilità alla sentenza con il titolo: Berneschi, nuova condanna “Colpevole l’ex cda Carige”. La sentenza emessa dal tribunale di Roma, aveva visto soccombente l’ex Presidente della banca genovese, e buona parte del consiglio di amministrazione da lui presieduto, per avere ostacolato le funzioni di vigilanza, Consob e Banca d’Italia. Il tribunale non si era espresso sull’accusa di aggiotaggio, perché il reato era andato in prescrizione. I fatti per cui era stato aperto il processo penale, erano accaduti nel 2013. Per illustrarli, estraiamo due periodi dall’articolo di “la Repubblica” – Secondo la Procura nel 2013 gli allora dirigenti di Carige avevano nascosto la reale condizione finanziaria della banca: per non perdere la clientela, avevano fornito false informazioni agli organi di vigilanza. Nel mirino degli inquirenti un comunicato stampa del 25 febbraio 2013, quando la banca aveva annunciato di «poter pervenire a una proposta di distribuzione di un adeguato dividendo» – Fra le operazioni prese in esame, poi, erano finite la «valutazione dei crediti nei confronti di vari clienti quali Gruppo Cavallini (operante nel settore immobiliare), Preziosi (Enrico, l’ex presidente del Genoa), Orsero (industriali savonesi) –.
Nella fase finale del processo erano imputate 10 persone, tutte ricoprivano ruoli di rilievo nella banca, o occupavano un posto nel consiglio di amministrazione. Otto di loro sono stati condannati a due anni con la sospensione condizionale, uno è stato assolto. Al decimo, Giovanni Berneschi, è stata inflitta una condanna a 3 anni, che si sovrappone a quella di 3 anni e quattro mesi inflitta dal tribunale di Savona a fine dicembre 2022, per il crac Nucera. Nel maggio 2022 Giovanni Berneschi aveva patteggiato due anni e 10 mesi, per presunti reati accaduti nel lontano 2006. L’ex Presidente di Carige era stato giudicato colpevole in primo e secondo grado di giudizio a Genova, per una presunta truffa da 22 milioni di euro ai danni di Carige Vita; poi la Cassazione aveva imposto di ricominciare il processo a Milano, per competenza territoriale. I reati minori, quelli che avrebbero consentito il risarcimento danni ai risparmiatori che, in qualità di azionisti, si erano costituiti come parte civile, erano andati in prescrizione. Di conseguenza, anche la speranza di ottenere un risarcimento si era definitivamente spenta. L’unico imputato che, convinto di riuscire a dimostrare la propria innocenza, aveva deciso di non patteggiare, è stato condannato con una sentenza di Cassazione. Maggiori dettagli sono reperibili nell’articolo pubblicato il primo marzo 2022 sul sito, con il titolo: Carige una sentenza di Cassazione.
Ancora un dettaglio per completare la descrizione della sentenza che ha chiuso il processo relativo ai fatti del 2013. Lo abbiamo chiamato dettaglio con una discreta dose di sarcasmo. Il perché sarà facilmente intuibile dal confronto tra le conseguenze a carico degli azionisti derivanti da questa sentenza, con quelle generate dalla sentenza relativa alle imputazioni del 2006. Le rendiamo note riportando due periodi contenuti nell’articolo de “Il Secolo XIX”: – Nessuna condanna e assoluzione per Banca Carige, chiamata in giudizio per responsabilità amministrativa – Non è stata inoltre disposta alcuna provvisionale (risarcimento provvisorio per via penale), e il danno dovrà essere liquidato in sede civile. Per la seconda volta, nessun risarcimento per gli azionisti di Banca Carige per i danni derivanti da fatti accaduti dal 2006 al 2013. Per quelli successi dal 2014 in poi, ci sono ricorsi in corso, e auspichiamo che possano finalmente giungere notizie in grado di ridare fiducia ai risparmiatori.
Abbiamo sottolineato per ultima la mancanza di risarcimento agli azionisti, per accentuare il significato dello sfogo di un ex azionista che il 19 gennaio 2023 ha visto pubblicare la lettera scritta alla rubrica lettere de “Il Secolo XIX”, per suggerire un’ipotesi di soluzione. Lo riportiamo integralmente, perché solo le sue parole possono proiettare lo stato d’animo che lo ha indotto a scrivere e riteniamo doveroso lasciare il merito alla testata che lo ha pubblicato: – La giustizia. Pignorate i beni ai condannati per Carige. Sentenza di condanna ai vertici dirigenziali della ex banca Carige per avere truffato gli investitori. Certo ci saranno altri gradi di giustizia ma qualcuno ha già avuto condanne per altri reati. Di vedere in galera dopo tutti i gradi di giustizia questi signori non mi interessa, però come investitore truffato e rapinato, mi piacerebbe che la giustizia pignorasse tutti i loro beni ma proprio tutti, per fargli capire come si sta quando spariscono i propri risparmi. Quindi, giustizia sia ma non galera bensì povertà e mensa dei poveri per questi pseudo signori -. M. … e-mail
Flavio, anche lui ex azionista di Banca Carige che ci segue da oltre tre anni, ci ha scritto per suggerire una soluzione per la banca a cui ha sempre fatto riferimento la sua famiglia, e di cui erano azionisti storici e correntisti da generazioni. Ci fa piacere riportare la sua e-mail, perché esprime ancora una speranza per un potenziale intervento della politica, nonostante sia a conoscenza della lunga serie di esposti che abbiamo mandato ad una miriade di destinatari.
Mail di Flavio.
Apprendiamo ancora una volta della condanna di Berneschi ed altri dirigenti Carige, questa volta a Roma, per ostacolo alla vigilanza Consob nel 2013 e false dichiarazioni sullo stato patrimoniale della banca (aggiotaggio prescritto).
Quello che mi ha deluso è che i giudici abbiano assolto la banca, che avrebbe dovuto risponderne verso i risparmiatori. Capisco che le responsabilità erano personali, ma agivano a favore della banca stessa per non allarmare i clienti. Penso sarà fatto appello al più presto e, quindi, è probabile che, in considerazione del poco tempo rimasto a disposizione, tutto finisca in prescrizione.
Credo possa essere utile pensare di coinvolgere qualche parlamentare per istituire subito una commissione sull’operato delle banche, addirittura una specifica su Carige, che ha subito vessazioni verso gli azionisti e clienti molto più pesanti, portando a una perdita del capitale superiore al 95% per i risparmiatori che avevano investito sulla banca del territorio.
Entrambi gli ex azionisti hanno espresso opinioni più che condivisibili se osservate singolarmente e integrabili tra di loro se analizzate congiuntamente: entrambe manifestano esigenze di soluzioni inderogabili. Il sistema finanziario nazionale ha strutturato regole complesse, che in apparenza dovrebbero permettere controlli a maglie strette, ma che dal punto di vista pratico hanno dimostrato una totale inefficacia per la tutela dei risparmio. Analizziamo cosa ha portato gli ex azionisti di Banca Carige a suggerire soluzioni che potrebbero evitare il ripetersi dei fatti che hanno distrutto i loro risparmi.
- I 56.000 azionisti che avevano subito i fatti che avevano generato i due processi in cui non era stato riconosciuto loro alcun risarcimento, non erano speculatori, ma risparmiatori che avevano creduto ai conti diffusi dalla loro banca, approvati dal consiglio di amministrazione, certificati dai revisori dei conti, controllati da Consob e Banca d’Italia.
- Molti di loro avevano acquistato i titoli ad un prezzo gonfiato, perché abbagliati da un dividendo promesso, ma poi annullato da un intervento di Banca d’Italia. Anziché ricevere l’accredito del dividendo, hanno dovuto decidere se difendere la quota di possesso aderendo ad un aumento di capitale, o astenersi e vedere il valore dei titoli precipitare.
- Qualora avessero deciso di tenere i titoli sino allo squeeze out, ogni 100.000 azioni possedute sarebbero state divise per 100 nel 2014 e per 1.000 nel 2021, diventando una, con valore di 0,80 euro. Denaro che non sarebbe stato sufficiente ad acquistare un ciuffo d’insalata.
- Se avessero avuto altri risparmi da investire, e lo avessero fatto, avrebbero perso anche quelli. Se hanno preferito non rischiare, era probabile ritenessero che la diffidenza era più premiante della concessione di fiducia.
Su quello che è accaduto poi, abbiamo scritto più di 180 articoli, un libro, e inviato 24 esposti, ma in questa occasione ci fermiamo al 2013, per dare il necessario risalto alle motivazioni che hanno generato le riflessioni dei due ex azionisti. I quali, dopo avere perso una percentuale enorme del capitale investito, si domandano come mai nella nostra costituzione sia stato inserito l’articolo 47 (“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”), se poi possano accadere i fatti descritti, senza che le funzioni preposte siano intervenute per evitare che gli azionisti fossero indotti a prendere decisioni che li avrebbero privati dei loro risparmi. Chi doveva sorvegliare non lo ha fatto e, quindi, i danneggiati sono costretti a fare ricorso in giudizio, per danni causati da informazioni fuorvianti.
Chiedere una commissione d’inchiesta che possa stabilire cosa sia accaduto, e cosa fare perché non possa più succedere, è la più ragionevole richiesta che possa essere inoltrata alla politica. Chiedere che chi è stato lautamente retribuito, con i loro risparmi, affinché si assumesse la responsabilità di controllare la correttezza dei numeri esposti a bilancio, restituisca i compensi ricevuti, perché non ha assolto il compito per cui era stato retribuito, dovrebbe essere il trattamento automatico imposto dalle norme, al verificarsi di irregolarità come quelle emerse in giudizio. Privare di ogni bene posseduto, chi ha descritto i titoli delle azioni di una società da lui gestita, come fiori pronti a sbocciare e a dare frutti generosi, traendo profitto dalle affermazioni che avrebbero rovinato decine di migliaia di famiglie, dovrebbe essere un atto dovuto, specialmente quando investimenti da decine di migliaia di euro si sono trasformati nella possibilità di acquistare un minuscolo ciuffo d’insalata.
Che il diritto al risarcimento dopo la costituzione di parte civile, non abbia termini di prescrizione inferiori a quelli previsti per il reato oggetto del giudizio, dovrebbe essere una norma di buonsenso, prevista per evitare che una beffa finale appaia agli occhi dei risparmiatori, più grave di quella messa in atto da predatori senza scrupoli, perché dovuta a negligenza del legislatore.