Il 4 novembre 2022 Teleborsa, sito ufficiale di Borsa Italiana, pubblicava l’articolo: Vigilanza BCE, banchieri si lamentano di eccessiva interferenza. Nell’articolo si faceva riferimento a quanto scritto da Bloomberg, che citava alcuni amministratori di banche europee, e, in particolare, conferiva consistenza mediatica all’insofferenza del Presidente di Société Générale, Lorenzo Bini Smaghi, che, in passato, era stato membro del consiglio esecutivo della Banca centrale europea (Bce). Bini Smaghi aveva scritto all’istituzione in cui aveva lavorato, per proporre un incontro tra Andrea Enria, Presidente del Consiglio di vigilanza Bce, e i vertici delle banche controllate, allo scopo di condividere regole in grado di consentire una corretta valutazione della governance.
Bini Smaghi manifestava senza filtri diplomatici il proprio disappunto, causato dalle reiterate richieste di fare partecipare funzionari Bce alle riunioni dei consigli di amministrazione delle banche vigilate. La missiva era indirizzata al direttore generale della Bce, Ramon Quintana, ed evidenziava che nessuna delle istituzioni di vigilanza e controllo dei paesi finanziariamente più evoluti, aveva adottato quella prassi. L’introduzione di quella consuetudine, aveva generato serie preoccupazioni negli istituti di credito vigilati, che la interpretavano come un’interferenza nella propria autonomia gestionale. Un portavoce della Bce aveva dichiarato a Bloomberg: “Il meccanismo di vigilanza unico è stato creato per promuovere la sicurezza e la solidità del settore bancario e ci impegniamo ad adempiere a questo mandato e a valutare le banche rispetto a standard molto elevati – Siamo sempre stati e rimaniamo aperti al dialogo sull’efficienza e l’efficacia dei nostri processi di supervisione”.
Sarebbe tutto perfetto, se in quell’apertura al dialogo fosse ricompresa una terza voce. Quella di chi costituisce il patrimonio delle banche, acquistando le loro azioni, e deve subire gli errori dei banchieri e le direttive dei supervisori che fanno pagare i danni, sempre e comunque a loro, senza riconoscere il diritto di esprimere un’opinione e senza ascoltarli quando inoltrano esposti che potrebbero ridurre la gravità dei problemi, se affrontati tempestivamente.
L’otto novembre, firmato da Alessandro Graziani, Il Sole 24 Ore pubblicava l’articolo – Banche europee, cresce la protesta contro Bce e Vigilanza -. L’articolo aggiungeva due nuovi punti di malcontento degli istituti di credito a quello introdotto da Bini Smaghi:
- i possibili interventi della vigilanza, su singole banche, per limitare gli acquisti di azioni proprie (buy back) e la distribuzione di dividendi;
- la modifica unilaterale, da parte della Bce, delle condizioni agevolate, con cui erano stati erogati 2.100 miliardi di prestiti Tltro.
L’articolo segnalava anche una reazione della Spagna ad una raccomandazione della Bce, che aveva espresso un parere contrario, anche se non vincolante, sul progetto del Governo Sanchez di applicare una tassa straordinaria agli utili delle banche nazionali. La rivendicazione all’autonomia dei diretti interessati, era stata immediata ed era stata affiancata dalle rimostranze di molti ministri del’ economia degli stati membri dell’unione.
Infine, nell’articolo si riportava la valutazione della Federazione Bancaria Europea sui tre punti che avevano suscitato le reazioni di chi riteneva di avere subito interferenze lesive dalla propria libertà decisionale. Sulla presenza degli ispettori nei consigli di amministrazione, quanto emerso dallo sfogo di Bini Smaghi, che era citato, è sovrapponibile alla posizione manifestata dalla Federazione.
Sulla modifica unilaterale delle condizioni applicate ai prestiti Tltro, riteniamo che dovrebbe essere agevole capire la logica che sovrintendeva ciò che era accaduto. Va ricondotta all’interno di una politica monetaria, attuata per aiutare il sistema bancario a recuperare redditività: i tassi negativi avevano compromesso i margini d’intermediazione delle banche comunitarie e la Bce aveva proposto i prestiti agevolati con tassi negativi, per facilitare la loro operatività caratteristica. Poi, l’impennata dell’inflazione, per motivi imprevedibili nel 2021, aveva cambiato radicalmente le condizioni di mercato e una soluzione condivisa e ragionevole non dovrebbe essere difficile da trovare, se i rapporti fossero tenuti con un leale spirito di collaborazione. Invece, nel commento abbiamo letto quanto segue: – Trattandosi di contratti di finanziamento a medio termine e a tasso prefissato, alcune banche stanno valutando se esistono i presupposti per possibili cause legali e, anche in questo caso, si attende che la Federazione europea prenda una posizione chiara -.
L’interferenza ritenuta più preoccupante, dai manager bancari, era il possibile ripristino del blocco dividendi e buy back, che era stato introdotto negli anni precedenti, per evitare che i problemi economici derivanti dalla pandemia, vanificassero gli sforzi fatti per elevare gli indicatori di rischio delle banche, ai livelli definiti dalla Vigilanza Bce. Il blocco era stato tolto il primo ottobre 2021, in considerazione della riduzione del rischio pandemico e, a novembre 2022 si iniziava a ipotizzare un suo ripristino per anticipare i rischi che sarebbero derivati da una possibile recessione.
L’appetibilità di un investimento ha una stretta correlazione con la fiducia dei risparmiatori e con la giusta remunerazione del capitale investito, in mancanza dei quali, il valore dei titoli crolla e diventa sempre più difficile trovare il capitale necessario a soddisfare i livelli di patrimonializzazione imposti dal Regolatore. Per conseguirli, si è indotti a svalutare i titoli penalizzando chi aveva precedentemente iniettato liquidita nel sistema, onde facilitare l’ingresso di nuovi azionisti, favorendoli con un ingiustificato trasferimento di ricchezza. Per esempio sostenendo che, per fissare il prezzo di emissione nuove azioni, un istituto di credito valga solo 55 milioni, nonostante possegga un patrimonio netto di un miliardo e trecento milioni, deliberando un aumento di capitale con esclusione quasi integrale del diritto d’opzione.
Ecco perché i manager bancari sono preoccupati da eventuali ripensamenti sullo sblocco dei dividendi e dei buy back. Ad un incremento del capitale di rischio, dovrebbe corrispondere un aumento dei dividendi. Se così non fosse, assisteremmo ad un crollo della fiducia dei risparmiatori, che assistono ad una fluttuazione del titolo in conseguenza delle decisioni del Regolatore, rendendo fuorvianti i punti di riferimento indicati dai fondamentali. Il rapporto tra patrimonio e capitalizzazione di borsa crolla a livelli imprevedibili, perché le informazioni che avevano sempre orientato i risparmiatori, non sono più valide e generano timori ingigantiti dall’incertezza.
Dopo queste considerazioni, è possibile dare un significato più consapevole alla notizia apparsa il 9 dicembre su Verità&Affari, sotto il titolo: Unicredit, nessun impatto sul dividendo anche dopo le richieste patrimoniali da parte della Bce. Nel corpo dell’articolo Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, vuole tranquillizzare gli azionisti e dichiara, esponendo i valori degli indicatori, che al 30 settembre la banca aveva requisiti più che tranquillizzanti, poi dichiara che: – UniCredit fornirà al mercato un ulteriore aggiornamento dopo aver ricevuto la lettera formale dello SREP con il risultato finale – e fa capire chiaramente che le preoccupazioni della Vigilanza sui rischi derivanti dalla Russia, non ritiene possano avere un impatto tale da fare cambiare quanto dichiarato in precedenza agli investitori, sulla distribuzione degli utili.
Non stiamo difendendo Orcel, sia chiaro, stiamo cercando di dimostrare che il Ceo di Unicredit voglia essere credibile e coerente, per mantenere la fiducia dei risparmiatori. Stiamo cercando di mettere in evidenza, anche a beneficio del Regolatore, che il mercato ha necessità di valutare un contesto trasparente con norme certe e stabili dal momento in cui decide di credere in un’azienda, sino a quello in cui la considera sopravvalutata e cede i titoli. Sarà possibile conseguire lo scopo, adottando regole certe, accompagnate dalla garanzia che chi controlla persegua una diffusione di informazioni affidabili, comprensibili e prive di sorprese postume. L’Europa è giovane e ancora insicura, deve accontentare troppi interlocutori, e certi contrattempi possono anche essere comprensibili, in questa fase. Però l’errore imperdonabile e devastante per l’economia continentale, è di non ascoltare le denunce dei risparmiatori e di non emarginare chi abusa della loro fiducia. Così facendo si stanno sperperando i risparmi e si è indotto chi si è accorto dei problemi, ad investirli in economie in competizione con quella europea.
Un esempio dei paradossi a cui stiamo assistendo?
- Il problema. La Bce impone alle banche di aumentare il capitale di rischio, e poi vieta loro di remunerarlo. Decide unilateralmente di cambiare le condizioni su 2.100 miliardi di prestiti agevolati concessi agli istituti di credito, chiedendo di restituirli prima della scadenza. Le banche colpite valutano la possibilità di azioni legali, e nel frattempo sono costrette ad aumentare il costo della raccolta, per reintegrare i prestiti restituiti a Bce. I risparmiatori, disorientati, investono su mercati stranieri perché non si fidano del sistema finanziario europeo. In conclusione: le tre categorie che dovrebbero interagire sul mercato finanziario continentale, garantendo il sostegno economico alla crescita, sono antagonisti che diffidano l’uno dell’altro, agendo in condizioni di conflitto permanente.
- La soluzione. Remunerare il capitale investito e punire severamente i falsi in bilancio, estromettendo dal mercato i predatori, in modo permanente. Sul mercato torna la fiducia e i risparmiatori iniziano nuovamente a finanziare la propria economia, perché affidabile e conveniente. Quando notano anomalie, le segnalano al Regolatore che interviene e blocca i problemi sul nascere, garantendo un costante miglioramento dell’affidabilità del sistema finanziario.