Il 14 dicembre 2021, Teleborsa.it ha pubblicato un articolo sulla proposta di acquisizione di Banca Carige, presentata della Banca popolare dell’Emilia Romagna (Bper). Il titolo era: Carige, Bper presenta al fondo interbancario offerta non vincolante. Non entriamo nei dettagli delle prospettive industriali che potrebbero essere più che valide, dal punto di vista di chi chiedeva il versamento di un miliardo e, poi, si offriva di rilevare Banca Carige, pagandola 1 euro. Ricordiamo che l’istituto di credito che si voleva acquisire, da secoli presidiava i rapporti con i risparmiatori della regione con il più alto tasso di risparmio pro capite, in Europa. Vero è che attualmente la banca genovese ha un problema di redditività, che, però, è stato generato dai comportamenti poco trasparenti, e assai dispotici, di chi si è avvicendato ai vertici della banca da quando è stata istituita la struttura di vigilanza Bce. Da quel momento in poi, sono stati chiesti soldi a raffica, con promesse mai mantenute; dopodiché, con abile gioco di prestigio, i suoi azionisti, che erano anche suoi clienti e correntisti, sono stati espropriati. La soluzione dei suoi problemi di redditività, quindi, non va cercata in un ambito industriale, ma nella necessità di ripristinare il clima di fiducia che per oltre cinque secoli aveva permesso a banca e cittadini di interagire per lo sviluppo di un’economia solida e fiorente, che aveva garantito a tutti qualità della vita e benessere.
Ecco perché riteniamo sia importante attirare l’attenzione (e da tempo non perdiamo l’occasione di farlo), sul trattamento che deve subire chi ha investo i risparmi nell’istituto di credito genovese, cui il sistema bancario sembra volere infliggere un’incomprensibile punizione. L’unico appunto che si potrebbe muovere agli azionisti che avevano aderito a tre aumenti di capitale, poteva essere quello di avere osato chiedere un piano industriale, prima di conferire denaro per la quarta volta, dopo che l’etichetta di aumento di capitale risolutivo dei problemi della banca, era stata pubblicamente applicata alle tre precedenti ricapitalizzazioni dagli amministratori che si erano avvicendati ai vertici dell’istituto di credito.
Dall’articolo estraiamo un capoverso che dovrebbe riportare stralci del comunicato Bper: “L’Operazione consentirebbe, altresì, di risolvere in modo definitivo le problematiche di CARIGE, salvaguardando la clientela e il complesso degli stakeholders della stessa nonché tutelando al meglio gli interessi degli azionisti di minoranza”. Sicché, Bper dichiara esplicitamente che la sua proposta si prefigge di volere tutelare gli interessi degli azionisti di minoranza …
Il 16 dicembre 2021, anche Il Secolo XIX pubblicava un articolo facente riferimento alla manifestazione d’interesse resa pubblica da Bper e riportava dichiarazioni del presidente di Banca Carige, Giuseppe Boccuzzi. Il titolo dell’articolo era: Carige: “L’offerta di Bper? Potrebbe essere la soluzione definitiva”. Abbiamo ritenuto utile estrarre il primo capoverso, su cui sarà necessario fare alcune puntualizzazioni: “L’offerta di Bper è un’opportunità e costituisce una soluzione definitiva, però non conosciamo ancora i dettagli dell’operazione. Li stiamo aspettando con grande attenzione così come le deliberazioni delle istituzioni che devono prendere elementi decisioni necessarie, sperando che venga data la massima tutela a tutti gli stakeholders della banca che sono numerosi e variegati”.
Per evitare possibili interpretazioni soggettive su ciò che vorremmo evidenziare, riportiamo le categorie che potrebbero essere considerate stakeholders di un progetto o di una società. L’enciclopedia Treccani riporta il significato attribuito al termine, da cui abbiamo estratto una parte che riteniamo possa essere esaustiva per una interpretazione oggettiva: “ … Nell’ambito di un progetto, sono stakeholders i soggetti relativi al cliente, al fornitore, alle terze parti (altre organizzazioni eventualmente coinvolte tra cliente e fornitore), i membri del team di progetto, i fruitori dei risultati in uscita dal progetto, i finanziatori (come banche e azionisti), i gruppi di interesse locali relativamente all’ambiente dove il progetto si sviluppa e l’azienda opera …”. Quindi, anche nella dichiarazione del presidente di Banca Carige, si riteneva che gli interessi degli azionisti di minoranza fossero salvaguardati dalla proposta e dall’esecuzione del piano industriale proposto da Bper. Inoltre si rimarcava con convinzione che fosse la soluzione di un problema che si stava trascinando da oltre sette anni. Non era solo il presidente della banca ad avere voluto sottolineare la volontà di tutelare chi aveva versato le prime tre ricapitalizzazioni, ma anche nella comunicazione ufficiale di Bper erano citati gli stakeholders in generale, aggiungendo poi la precisazione: “… nonché tutelando al meglio gli interessi degli azionisti di minoranza”.
Dopo avere approfondito e analizzato alcuni passaggi enfatizzati nelle dichiarazioni pubbliche rilasciate da più attori, e appurato che sia i vertici di Carige, sia chi aveva avanzato la proposta di acquisizione, avevano apertamente dichiarato l’importanza che fossero rispettate le esigenze degli azionisti di minoranza, ci è parso naturale verificare la coerenza esistente tra quanto si proponeva nell’offerta e le dichiarazioni enfatizzate pubblicamente. Riportiamo, quindi, un passaggio dall’offerta Bper, in cui si espone il trattamento che sarebbe stato riservato a tutti gli azionisti di minoranza, compresi quelli che avevano aderito anche alla quarta ricapitalizzazione: … a valle del Closing, il lancio da parte di BPER Banca di un’Offerta pubblica di acquisto obbligatoria sul restante capitale sociale della Società, per un corrispettivo unitario pari ad Euro 0,80 per azione, comprensivo di un premio del 29% circa rispetto al prezzo di chiusura del titolo Carige del giorno 13 dicembre 2021 …
Avremmo certamente espresso, pubblicamente, il nostro apprezzamento per un’offerta che interrompesse la lunga catena di abusi subiti dagli azionisti della banca ligure, perché da troppi anni eravamo in attesa che un atteggiamento di rispettosa considerazione dei diritti di tutti, tornasse a permeare una finanza che non riusciva più a svolgere il proprio ruolo d’intermediazione tra risparmio e società quotate. Contrariamente a quanto dichiarato con frasi di circostanza, l’analisi approfondita dei contenuti, ci ha convinti che eravamo in presenza di una ostinata prosecuzione dello squallido spettacolo cui stavamo assistendo da anni.
- Sul valore attribuito all’azione, la nostra opinione è che, ancora una volta, si stia cercando di presentare i numeri da una prospettiva diversa da quella che avrebbe permesso una visione oggettiva. Si cerca di dimostrare generosità confrontando il prezzo offerto con un valore di mercato falsato dalle turbolenze che avevano imperversato sul titolo negli ultimi sette anni. Una serie infinita di promesse, mai rispettate, aveva tolto ogni residuo della fiducia che gli investitori avevano riservato a Carige per secoli. Il valore offerto avrebbe provocato una perdita netta del 20 % rispetto al prezzo di emissione azioni nell’ultima ricapitalizzazione. Nella certezza che molti saranno pronti a contestare le nostre affermazioni sul valore attribuito alle azioni, riportiamo un passaggio della dichiarazione rilasciata dall’amministratore delegato di Carige, Francesco Guido, nel già citato articolo pubblicato da Il Secolo XIX il 16 dicembre, che conferma le nostre considerazioni sul prezzo offerto per l’acquisto delle azioni: “Carige non ha bisogno di essere salvata, vorrei smitizzare questo tipo di ragionamento, perché purtroppo è una banca che non viene raccontata per quello che è il suo presente”.
- Non possiamo esimerci dal fare un’altra considerazione sull’offerta Bper, che potrebbe avere un impatto significativo sugli azionisti di minoranza. Nella comunicazione ufficiale si evidenzia che sarebbe stata lanciata un’Opa (Offerta pubblica di acquisto), non un’Ops (Offerta pubblica di scambio) o un’Opas (Offerta pubblica di acquisto o scambio). La differenza non è marginale, nel primo caso gli azionisti contabilizzerebbero immediatamente le minusvalenze e avrebbero a disposizione cinque anni per compensarle, senza pagare imposte sulle plusvalenze sino al loro esaurimento. Negli altri casi si avrebbe la possibilità di convertire le azioni Carige in altro titolo e le minusvalenze resterebbero a disposizione sino al momento della vendita dei titoli. Una gestione oculata permetterebbe di recuperarle tutte, perché un azionista non avrebbe limiti temporali per vendere le azioni convertite. Potrebbe cederne una parte, immediatamente prima di realizzare una plusvalenza dalla cessione di altri titoli, su cui non pagherebbe imposte. Non stiamo parlando di cifre irrisorie, ma di importi pari al 26 % delle perdite subite dall’investimento nella banca ligure. Se calcoliamo anche solo le minusvalenze derivanti dalle tre ricapitalizzazioni precedenti a quella dell’esproprio, 2,2 miliardi di capitale investito, su cui si è perso quasi tutto l’investimento, gli azionisti potrebbero recuperare più di 570 milioni. L’’offerente dichiara di volere rispettare le esigenze degli azionisti di minoranza, ma allora come mai non ha avuto la sensibilità di fare una proposta che a lui consentirebbe di avere un minore esborso di denaro e agli azionisti maggiori probabilità di recuperare una parte importante delle perdite?
- Quanto sopra ci fa supporre di assistere ad una chiara prosecuzione del tentativo di cancellare gli azionisti di Banca Carige. Il primo tentativo era fallito nella ricapitalizzazione del 2019. Era stata impostata in modo tale da generare il delisting, con attribuzione della responsabilità agli azionisti che non avrebbero sottoscritto la piccola quota riservata loro. Inaspettatamente, invece, i piccoli azionisti avevano aderito in numero sufficiente a mantenere il titolo quotato. Nessuno degli azionisti che possedeva quote rilevanti aveva aderito a quell’aumento di capitale e il merito (o la responsabilità, dipende dai punti di vista) del fallito delisting andava riconosciuto esclusivamente ad una platea di piccoli azionisti che volevano disperatamente sostenere la banca del territorio, e per farlo, erano stati disposti a pagare 100 un’azione che altri (CCB) avevano la facoltà di acquistare a 53.
- Il conflitto d’interesse con cui il Fitd aveva predisposto quel piano era palese, ma nessuno era intervenuto; infatti, a nostro avviso, la minacciata liquidazione di Banca Carige era un bluff per indurre i dipendenti, anche loro in conflitto d’interesse, ad impegnarsi nella raccolta deleghe necessarie per fare approvare un aumento di capitale che avrebbe espropriato gli azionisti storici. Se si fosse deciso di mettere in atto la minaccia, il Fitd avrebbe dovuto spendere parecchi miliardi per risarcire i correntisti. Visti i numeri in gioco, sembra scontato che, in caso di mancata approvazione, sarebbe stata presentata qualche altra soluzione.
- La proposta di Bper appare essere un altro palese conflitto d’interesse: infatti la società che si propone di assorbire Banca Carige, è una delle banche che versano contributi nel Fitd, e solo a persone particolarmente distratte potrebbe sfuggire il fatto che il sistema bancario nel suo complesso, abbia tutto l’interesse a favorire aggregazioni con espropriazione dei vecchi azionisti. Certamente si tratta di un metodo molto più vantaggioso per fare acquisizioni, evitando costose operazioni di mercato che scatenerebbero la competizione tra gli istituti di credito a favore degli azionisti che venderebbero azioni ad un valore ben più elevato.
Entrando in modo più approfondito nei dettagli, il sospetto che le dichiarazioni pubbliche rilasciate dagli attori che interagiscono sul palcoscenico del sistema bancario, siano una sorta di gioco delle parti, appare certamente realistico. Il sospetto si rafforza ulteriormente, se si integrano i passaggi sin qui descritti con quanto riportato nell’articolo apparso il 14 dicembre 2021 su La Stampa, a firma di Carlotta Scozzari, che ha scritto: … Il giudizio del Fondo sull’offerta di Bper, che chiede in tempi brevi il via libera all’esclusiva a trattare e di accedere a una due diligence, si è basato, in primis, sul fatto che la proposta nel suo complesso è giudicata non accettabile in virtù dei limiti quantitativi agli interventi del fondo indicati nello Statuto, rivisto circa un anno fa. In base all’articolo 35 infatti, il limite è fissato nel 50% dei contributi versati dalle banche nell’anno precedente, cifra corrispondente a circa 500 milioni di euro. Tale soglia è incrementabile in via straordinaria di un ulteriore 20%.
A noi appare incredibile che una delle banche appartenenti al consorzio che alimenta il Fitd, abbia formulato una proposta palesemente irricevibile dal fondo, perché conteneva una richiesta eccedente il limite all’autonomia d’intervento stabilito nello statuto. Ancora più incredibile ci appare che tutti considerino assolutamente normale che ciò sia avvenuto su un titolo quotato e molto sottile, generando una volatilità inconsueta.
A questo punto abbiamo l’impressione che la finanza sia come una fotografia in controluce, dove i forti contrasti conferiscono l’illusoria impressione di chiarezza. I contorni sono molto ben percepibili, ma all’interno del perimetro che delimita i soggetti in primo piano, non è possibile cogliere i dettagli che li caratterizzano e, quindi, chi vi opera gode della massima libertà d’azione. Gli azionisti hanno la facoltà di immettere liquidità in quell’immenso buco nero. Se decidono di farlo, hanno l’obbligo di pagare i controllori, gli amministratori, i sindaci, le società di rating e i consulenti. Ma se, come accaduto agli azionisti di Banca Carige, osano chiedere un piano industriale prima d’immettere nuova liquidità nel sistema, allora sono condannati ad essere perseguitati sino alla loro estinzione.