Il 12 ottobre abbiamo letto della polemica scatenata dalla pubblicazione di una lettera sul sito del Comitato per l’autonomia e l’indipendenza della Popolare di Sondrio. Era uno scambio di corrispondenza privata tra il portavoce del comitato, l’economista Marco Vitale e il Presidente Consob, Paolo Savona. La frase incriminata, faceva riferimento alla norma che imponeva la conversione in società per azioni delle banche popolari ed esprimeva in modo aspro un’opinione personale di Savona, che terminava con: “Sintomi latenti di dittatura”. La Popolare di Sondrio doveva trasformarsi in S.p.a. per fine 2021. La replica di Matteo Renzi, che era presidente del Consiglio nel 2015, quando era stata varata la riforma che portava il suo nome, non si è fatta attendere: “Il presidente di una autorità della Repubblica italiana, che non è la repubblica delle banane, non dice quelle cose. Dire quello che lui ha detto sulla dittatura, mi porta a chiedere le dimissioni di Savona dalla Consob. È folle. Deve andare a casa stasera. È una ferita per le istituzioni italiane”. La risposta di Savona non è stata meno determinata: “Si tratta di idee liberali che sorprendono solo chi libero non è”.
Omettiamo di citare interventi di altri politici. Non crediamo sia il caso di entrare nel merito della polemica e di esprimere un’opinione, perché riteniamo che vi sia qualcosa di molto più grave da evidenziare, rispetto a quanto potrebbe emergere dalla lettura integrale di lettera, commetti, repliche e risposte: ad essere coinvolti erano un economista, un Presidente Consob e un Senatore della Repubblica ex primo ministro del nostro governo, dal febbraio 2014 al dicembre 2016; appartengono all’insieme di solite figure che interagiscono, polemizzano e scatenano risse verbali sulla finanza, ma che non abbiamo mai visto fare qualcosa di efficace per la tutela dei risparmiatori. L’impressione che abbiamo, è che non vogliano che la nostra voce venga inserita nella discussione, perché potremmo dare un contributo alle soluzioni. Preferiscono litigare tra loro e nascondere dietro le polemiche la volontà di proteggere interessi di parte, disinteressandosi della tutela dei diritti, che il vorace mondo della finanza continua a considerare terreno di conquista a danno di chi inietta risparmi in un sistema che dovrebbe agire nel rispetto di regole chiare.
Il 13 ottobre è uscito un comunicato di Banca Carige citato da molte testate: “Il consiglio di amministrazione ha conferito l’incarico a Boston Consulting Group per supportare la Banca nell’esplorazione delle ulteriori possibilità di sviluppo del core business, utili anche ai fini della business combination. L’aggregazione con un altro istituto si conferma l’obiettivo della banca, sia nel caso in cui si realizzi entro la fine del corrente anno, beneficiando degli attuali incentivi fiscali (DTA), sia nel caso in cui si concretizzi in data successiva“. Lo stesso giorno anche “Affari Italiani” ha citato lo stesso comunicato, ma il titolo sottintendeva significati totalmente diversi: “Carige arruola Boston Consulting. Parte il “piano B”. Aumento dietro l’angolo”. Lasciamo che sia il lettore a formarsi un’opinione su quali testate seguire, perché ritengono abbiano dato un’informazione corretta. In questa occasione, come in molte altre, rilevate negli ultimi anni, ci stiamo convincendo che alcune testate potrebbero essere al servizio di interessi particolari e non dei loro lettori, per fornire una corretta informazione.
Il comunicato di Banca Carige aggiunge solo un pezzettino alle informazioni ampiamente note: è stato conferito l’incarico ad un consulente per aiutare la banca ad un ulteriore sviluppo del core business… Banca Carige era stata commissariata perché si diceva avesse problemi di governance (ne riparleremo anche in seguito), ora scopriamo che dopo avere fatto la banca per più di 5 secoli, ha anche problemi di sviluppo dell’attività bancaria. La soluzione per riportare Carige ai vecchi fasti, non sono le consulenze, ma la riconquista della fiducia dei clienti, correntisti e azionisti, con una decisione che ripristini i diritti violati, perché le tre categorie citate, in altissima percentuale, sono riconducibili a persone che appartenevano a tutte e tre. Come potrebbero avere ancora fiducia in chi li ha convocati in banca per conferire deleghe per l’approvazione di una ricapitalizzazione che li avrebbe espropriati e, poi, diviso per mille le azioni possedute?
Il 14 ottobre, Milano finanza ha pubblicato un articolo con un titolo che anticipava sinteticamente i contenuti che avrebbe trattato: “Mano pesante di Banca d’Italia sulla vecchia gestione della Popolare di Bari” (Bpb). Al termine di un’indagine condotta da Via Nazionale e durata oltre 9 anni, sono state emesse sanzioni amministrative per un totale di 3,37 milioni, con coinvolgimento di 19 persone, perché ritenute corresponsabili a vari livelli. L’ex presidente Marco Jacobini dovrà versare 1,5 milioni. A tutti gli altri che erano coinvolti nel consiglio di amministrazione, nel collegio sindacale o ricoprivano incarichi di responsabilità nella conduzione della banca, sono state comminate sanzioni inferiori, sino a un minimo di 29.000 euro. Ad alcuni dei sanzionati è stato vietato di ricoprire cariche in intermediari vigilati: per tre anni al presidente Jacobini e per un periodo più breve ad altri.
Le irregolarità riscontrate dalla Banca d’Italia fanno riferimento a una gestione disinvolta, con gravi carenze nell’organizzazione e inefficienze nei controlli interni, che hanno avuto ovvi riflessi negativi sull’adeguatezza patrimoniale, con responsabilità attribuibile ai dirigenti, ai consiglieri, ai sindaci e ai revisori. Sono anche emerse anomalie nell’erogazione e gestione del credito con attribuzione di responsabilità agli ex componenti del comitato crediti.
Dobbiamo gioire? Dobbiamo esultare perché finalmente gli organi che presidiavano la banca e che non facevano il loro lavoro con coscienza, sono stati smascherati e puniti? No, non possiamo farlo. Ci sono voluti 9 anni per portare a termine un’inchiesta che si è chiusa con gli stessi rilievi mossi ai vertici della banca nel 2010. A causa di quei rilievi si era deliberato un provvedimento restrittivo che impediva alla Bpb un’espansione dell’attività. Il provvedimento restrittivo era stato rimosso nel giugno 2014. Gli azionisti della banca, che avevano aderito fiduciosi ad aumenti di capitale, avevano visto con favore l’acquisizione di Tercas, credendo che fosse giunto il momento del rilancio, invece era l’inizio della fine. Infatti, nel 2019, la banca era stata commissariata, il patrimonio netto era diventato negativo e gli azionisti avevano accettato la trasformazione in S.p.a. e autorizzato una ricapitalizzazione senza diritto d’opzione. Oggi hanno scoperto che i responsabili sono stati sanzionati, che chi doveva controllarli incasserà le sanzioni e la motivazione dei provvedimenti è la stessa del 2010. L’interdizione ad assumere incarichi in intermediari vigilati, sembra una beffa, se fosse stata deliberata prima degli aumenti di capitale, forse i risparmi degli azionisti avrebbero fatto una fine differente, perché la Bpb era ed è un intermediario vigilato. Pur consapevoli che sia stato un periodo particolarmente critico per banche e vigilanza, ci domandiamo: a cosa serve una vigilanza se in 11 anni non è riuscita ad evitare il dissesto di una banca e a impedire a vertici reiteratamente inadempienti di farsi dare soldi da azionisti inconsapevoli di cosa stesse accadendo?
Sempre il 14 ottobre e sempre Milano Finanza, ha pubblicato un altro articolo dal titolo: “Crac Bpvi, il Tribunale di Vicenza invita Intesa a costituirsi responsabile civile”. Una notizia che ha iniziato a sfumare i colori cupi che tingevano la nostra visione sul futuro della finanza. Anche se non avevamo alcun interesse economico in gioco, l’apprendere che un tribunale stava riconsiderando ciò che si dava per scontato, cioè che Banca Intesa non potesse essere coinvolta nel risarcimento dei danni provocati dalla vendita irregolare delle azioni della Banca Popolare di Vicenza (Bpvi), ha riacceso una fiammella di speranza. Forse potevamo iniziare a credere che si potesse uscire dal guazzabuglio di decisione affrettate, con cui era stata gestita la crisi bancaria, ripristinando i diritti dei risparmiatori, che erano stati calpestati da vertici aziendali che non avrebbero mai potuto ricoprire quei ruoli, se qualche collaboratore o la vigilanza avessero fatto emergere gli abusi e la mancanza di trasparenza con cui s’inducevano i risparmiatoti ad acquistare azioni a prezzi gonfiati.
Facendo una ricerca con le parole chiave, abbiamo scoperto che l’invito del tribunale di Vicenza, non era una novità. La chiamata a rispondere come responsabile civile della banca milanese era stata preceduta da altre sentenze che avevano deliberato che Intesa dovesse risarcire i risparmiatori cui erano state vendute azioni della Bpvi da Banca Nuova, una sua controllata Siciliana, senza che gli acquirenti fossero stati correttamente informati sulla rischiosità di quell’investimento. In particolare segnaliamo un articolo de Il Fatto Quotidiano, pubblicato l’undici giugno 2021, sotto il titolo: “Banca Nuova, a Palermo quattro sentenze condannano a risarcire i risparmiatori che avevano comprato azioni Pop Vicenza”. La giornalista, Manuela Modica, scrive: “Sono arrivate oggi quattro sentenze civili della Quinta sezione del Tribunale di Palermo che condannano Banca Intesa San Paolo, a risarcire venti azionisti. Una serie di decisioni che danno un’impronta chiara sull’orientamento dei giudici a favore dei risparmiatori”. Poi aggiunge che già nel 2020 un giudice di pace di Messina aveva emesso lo stesso provvedimento a favore di un correntista della banca Siciliana, sempre contro Banca Intesa.
Se sopra abbiamo parlato di piccoli risparmiatori, suggeriamo di non pensare che siano stati degli ingenui caduti in una trappola facilmente individuabile. Per documentarlo citiamo un’altra sentenza e questa volta si tratta di una società. Estraiamo alcuni passaggi di una lettera inviata dall’avvocato Virgilio Calabrese al Direttore di ViPiu.it, con cui cita una sentenza del tribunale di Palermo pubblicata il 21 giugno 2021 – Con la decisione de quo si consolida l’orientamento del Tribunale di Palermo che correttamente riconosce la legittimazione passiva di Intesa Sanpaolo, quale incorporante di Banca Nuova, nei casi in cui l’acquisto delle azioni di Banca Popolare di Vicenza sia avvenuto con l’intermediazione di Banca Nuova (la quale è stata incorporata da ISP con atto di fusione successivo al D.L. 99/2017). Tale decisione, insieme ad altre del medesimo Tribunale, apre finalmente la strada ai risparmiatori di ottenere il risarcimento integrale di quanto ingiustamente perduto”.
Siamo certamente lieti nel costatare come la giustizia cerchi di porre rimedio alle irregolarità compiute dagli intermediari finanziari, ma dobbiamo evidenziare che solo una parte infinitesimale dei danneggiati ha il coraggio di rivolgersi ad uno studio legale e le controparti se ne approfittano e abusano delle persone più fragili. Proprio quelle che avrebbero più necessità di punti di riferimento diversi dai consulenti finanziari, che, ovviamente, non sono certamente super partes quando devono dare consigli per la tutela contro gli abusi finanziari. Servono norme più stringenti per gli intermediari e leggi che facilitino le azioni di rivalsa collettiva, avrebbero un potere di dissuasione molto più forte della pur encomiabile buona volontà ed onestà intellettuale dei giudici. Soprattutto ridarebbero fiducia ai risparmiatori e favorirebbero il flusso di risparmi a sostegno dello sviluppo economici.
Stavo cercando le parole per chiudere l’articolo con argomentazioni e commento finale; ero a casa di mia mamma perché stavo gestendo un grave e complesso problema familiare. Il mio telefono ha vibrato per una chiamata in arrivo. Dopo i convenevoli e lo scambio d’informazioni sul mio problema, Marco è entrato nel merito di ciò che lo aveva indotto a chiamarmi:
- Poiché sei via da Genova, penso che tu non abbia letto Il Secolo oggi.
- No, anche se fosse reperibile, non potrei uscire ad acquistarlo.
- Ti leggo un titolo – Il pm sul presidente dei commercialisti: “Fisco frodato per 10 anni e 25 milioni” – Ti leggo l’articolo – Genova – L’attuale presidente dell’Ordine dei commercialisti di Genova, nonché vicepresidente di Banca Carige Paolo Ravà, secondo Procura e Guardia di finanza ha frodato il Fisco in maniera sistematica per dieci anni, lavorando come commercialista (appunto) e socio al 22,50% di Autocorsica spa, storica concessionaria genovese e savonese di marchi tedeschi –
- Ma chi assume incarichi in una società vigilata, non dovrebbe possedere comprovati requisiti di onorabilità? È vero che dobbiamo considerare tutti innocenti sino a condanna in terzo grado di giudizio, ma qui stiamo parlando della vicepresidenza di una banca dal passato burrascoso come Carige. Già il suo predecessore, Angelo Barbarulo, si era dimesso poco prima che la Bce esprimesse la sua contrarietà al conferimento dell’incarico, definendola una nomina inappropriata. Nella finanza mi sembra che girino troppi personaggi che sono stati messi sotto i riflettori della magistratura.
- Posso continuare a leggere?
- No, ti ringrazio. Sospendi pure. Non sono nello stato d’animo adatto a sentire altri dettagli su una vicenda in cui stiamo sguazzando da anni e più passa il tempo più nefandezze vengono a galla.
- Scusami se ti ho disturbato o infastidito.
- No, no. Hai fatto benissimo a chiamarmi e a mettermi al corrente, ci mancherebbe altro. Te ne sono grato. Ma come fai a restare calmo se pensi che Banca Carige è stata commissariata dichiarando che avesse problemi di governance, che uno dei commissari aveva cercato di coinvolgere un operatore di mercato sotto indagine per il crollo del ponte Morandi, in un aumento di capitale non ancora noto al mercato e nemmeno al Consiglio di amministrazione, mentre era presidente della banca? Poi ti accorgi che dal commissariamento in poi hanno ottenuto credibilità personaggi come Raffaele Mingione e Paolo Ravà, mentre pochi mesi prima che la Bce annunciasse il commissariamento, un personaggio di indubbio spessore etico e morale, come Giuseppe Tesauro, era stato boicottato, sino ad indurlo alle dimissioni, nell’indifferenza generale. Se vorrò conoscere la versione integrale lo scaricherò dal sito. Grazie ancora e mi raccomando, non pensare mai che puoi dare fastidio, il nostro è un lavoro di gruppo e senza il vostro contributo farei molto meno della metà di quello che riesco a portare a termine.
Chiusi la comunicazione e, con un gesto di stizza, anche il pc. Ruotai lo sguardo intorno a me, sul ripiano del mobile della sala, mia mamma teneva i ricordi di famiglia. Incrociai lo sguardo sorridente di mia nipote, che aveva compiuto da poco i 15 anni, in una fotografia che la ritraeva mentre abbracciava la nonna bis nel giorno che aveva compiuto 94 anni, poi mi soffermai su quelli di mia figlia e mi sentii tremendamente in colpa con entrambe, per non essere stato capace di lasciare loro un mondo degno di essere vissuto. Quella che le attendeva era una vita in cui avrebbero dovuto guardarsi dai predatori, sempre pronti ad approfittarsi con scaltrezza di loro, a circuirle per carpire la loro fiducia, per trarre profitto personale. Il mezzobusto sorridente di mio nonno, che era la prima delle cinque generazioni che facevano mostra di sé sul ripiano, mi ricordava ciò che loro non avrebbero mai potuto apprezzare: la certezza di potere contare sulla solidarietà dei conoscenti, la stretta di mano con cui si sottoscrivevano accordi e contratti che tutti avrebbero rispettato, il valore della parola data che nessuno si sarebbe mai rimangiata, una naturale e istintiva fiducia nel prossimo che le avrebbe fatte sentire parte di un gruppo coeso e solidale. Quel mondo non esisteva più, siamo passati dall’aratro trainato da una coppia di buoi al computer, ma la qualità delle relazioni umane è molto peggiorata e credo abbia generato danni maggiori dei cambiamenti climatici.
Pensando alle trasformazioni avvenute nel passaggio dall’aratro a internet, dalla solidarietà nei rapporti interpersonali che era una caratteristica della mezzadria in Toscana e che avevo conosciuto negli anni 50, contrapposta all’egoismo, al cinismo e alla corsa all’accaparramento del denaro a qualsiasi costo, che emergeva con chiarezza dall’analisi dei fatti esposti sopra, non riuscivo ad immaginare come potesse finire la nostra società, considerato che già oggi, in Italia, centinaia di migliaia di persone dovrebbero fare ricorso in giudizio, per difendersi da abusi che depauperano i loro risparmi. La soluzione non possono essere i giudici. Se tutti gli abusi finanziari fossero oggetto di contenzioso legale, dovremmo avere un numero assurdo di giudici e dovremmo passare buona parte della nostra vita negli studi legali.
Oggi è la giornata mondiale del risparmio, tutti ne parlano e persino il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto riferimento all’articolo 47 della costituzione e alla necessità di proteggere i risparmi e di usarli per sostenere lo sviluppo economico. Una società non può essere definita civile se i suoi cittadini preferiscono tenere i risparmi a languire in conto corrente, perché non si fidano del sistema finanziario del proprio paese. L’obbiettivo di una società civile non può essere la concentrazione della ricchezza in poche mani con qualsiasi mezzo, ma una diffusa qualità della vita a disposizione di chi interagisce in un tessuto socioeconomico nel rispetto dei diritti di tutta la collettività. Non stiamo teorizzando il ritorno all’aratro come soluzione, ma il recupero dello spirito e dei valori che animavano le relazioni umane che ho avuto la fortuna di potere apprezzare in quella società, che possono essere replicate a costo zero nella nostra. Basta che la politica voglia smettere di proteggere gli interessi di pochi, per occuparsi in modo disinteressato di quelli dei cittadini indistinti.