Quando abbiamo deciso di realizzare un sito per commenti indipendenti sulla finanza, lo scopo era di permettere a tutti i risparmiatori che avevano investito sul mercato finanziario italiano, di mettere in comune le proprie disavventure. Si voleva documentare la diffusione di una gestione troppo disinvolta dei risparmi investiti in quello che si stava, progressivamente, trasformando in un moderno campo dei miracoli. Successivamente, i limiti imposti dal volume di lavoro realizzabile da una sola persona, hanno suggerito di concentrare la nostra attenzione sul caso Carige, per descrivere ciò che stava accadendo in modo dettagliato, almeno in una delle tante banche che avevano dissipato il denaro versato dai risparmiatori. Le numerose crisi bancarie si sono evolute con percorsi molto diversificati, ma inizio e fine le accomunano tutte: buchi nei conti che nessuno ha evidenziato, ed esproprio dei risparmiatori. Nel mentre si descrivevano come istituti di credito con ottime prospettive, poi, a distanza di anni, nelle pieghe dei bilanci si scoprivano rischi con cui giustificare l’esclusione dei vecchi azionisti, favorendo un consolidamento del sistema bancario a basso costo.
Anche gli esiti di chi aveva tentato un ricorso per danni, accomunano molte crisi bancarie, e la delusione sperimentata da chi aveva provato a rivalersi, ha indotto i risparmiatori a rinunciare anche alla speranza di essere risarciti. Forse un ripensamento su questo ultimo passaggio, potrebbe essere stimolato da quanto abbiamo letto poi.
La delusione per gli azionisti del Monte dei Paschi di Siena (Mps), era insorta il 6 maggio 2022, quando Il Sole 24 Radiocor Plus, in un articolo di Flavia Carletti, titolava: Mps, nel processo di appello assolti banche e manager. Uno sconforto non immaginabile da chi non avesse vissuto la vicenda in prima persona, si era impadronito degli azionisti che avevano provato a rivalersi per danni, mentre chi non aveva fatto nulla, aveva pensato: “era scontato, siamo in Italia”. La frase ce l’aveva detta al telefono uno dei contatti che, sfortunatamente, era rimasto coinvolto nel caso Mps e in quello di Banca Carige. Il lungo articolo, da cui estraiamo solo il primo capoverso, descrive la sentenza: – La Corte d’appello di Milano ha assolto l’ex presidente di Banca Mps Giuseppe Mussari. In primo grado, l’8 novembre 2019, Mussari era stato condannato a 7 anni e sei mesi e in appello la procura generale di Milano aveva chiesto di confermare la condanna con riduzione della pena a 6 anni e 4 mesi per intervenuta prescrizione di alcuni episodi.
La speranza poteva riprendere corpo il 18 novembre 2022. Il Giornale, a firma di Luca Fazzo, giornalista che da decenni si occupa di cronaca giudiziaria, ritornava sull’argomento titolando – Crac Mps, tutto da rifare. La Procura generale contro le assoluzioni – sottotitolo – La Pg di Milano Gualdi accusa giudici e pm: “Mussari sapeva del crac, perizie ignorate”.
Riportiamo il primo capoverso dell’articolo: – Non è chiusa la pagina della gestione di marca Pd del Monte dei Paschi di Siena, che portò la banca più antica del mondo fino alle soglie del crac. L’assoluzione che la Corte d’appello di Milano aveva pronunciato nel maggio scorso a favore di Giuseppe Mussari, il numero uno di Rocca Salimbeni, e del suo staff viene impugnata dalla Procura generale di Milano con un ricorso di rara durezza nei confronti dei giudici che dichiararono Mussari innocente dei reati commessi durante gli ultimi anni del suo regno senese. Per assolvere Mussari – e di rimbalzo l’intero sistema di potere che gli ruotava attorno – i giudici milanesi avrebbero inanellato strafalcioni giuridici e ignorato prove decisive. Alla Cassazione viene chiesto di annullare l’assoluzione e disporre un nuovo processo –.
Non capita di frequente di potere leggere passaggi così decisi, espressi da un Procuratore generale della Repubblica, il cui compito è di vigilare sull’osservanza delle leggi, di promuovere l’azione penale e di far eseguire i provvedimenti del giudice, quando sono definitivi. Nel caso Mps, il procuratore impugna la sentenza ma lo fa con una determinazione che accende le speranze di chi auspica di vedere emergere una verità inconfutabile, nel terzo grado di giudizio. Nessuno potrebbe mai credere che non esistano responsabili in ciò che è accaduto a decine di migliaia di risparmiatori. C’è di più, perché anche lo stato è intervenuto, e con i soldi versati dai contribuenti, ha dovuto salvare una banca, per evitare il peggio. Considerando il debito nazionale, la pandemia, il progressivo impoverimento di una parte significativa della popolazione e l’inflazione galoppante, quel denaro poteva certamente trovare un impiego migliore, rispetto a quello di tappare una falla generata da un responsabile, che nessuno ha ancora identificato come tale.
Citiamo anche altri due capoversi, perché non vogliamo esprimere con altre parole la lodevole e apprezzata cronaca dell’autore, per non appropriarci del merito che va riconosciuto esclusivamente a lui. Ecco il secondo capoverso: – A firmare il ricorso è Gemma Gualdi, il procuratore generale che alla battaglia per la verità su Mps ha dedicato buona parte dei suoi impegni recenti. Basti pensare che l’ex capo della Procura Francesco Greco e i suoi consulenti Roberto Tasca e Lara Castelli sono tuttora sotto inchiesta a Brescia per avere tenuta nascosta alla Gualdi una perizia che attestava lo stato sostanziale di fallimento in cui versava Mps. I successori di Mussari, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, rischiano anch’essi di essere rinviati a giudizio per le falsità che avrebbero raccontato ai mercati sullo stato di salute dell’istituto. Sullo sfondo, il salvataggio della banca voluto dal governo Renzi e costato miliardi ai contribuenti italiani -.
Ora il terzo capoverso: – Secondo il ricorso della Gualdi, la sentenza d’appello che ha assolto tutti gli imputati è «errata nelle conclusioni, errata nel merito, emessa in violazione delle norme di legge», figlia di «argomentazioni frammiste, omissioni probatorie, contraddizioni interne». I giudici di appello sono accusati di avere ignorato le consulenze stilate «dai massimi esponenti della materia scientifica» per utilizzare, appiattendosi su di essa, solo la consulenza di parte portata in aula da Deutsche Bank.
Nel 2012, 11 luglio, prima che iniziassero ad emergere i problemi nascosti nelle banche italiane, il consiglio Abi si era riunito dopo l’assemblea dell’Associazione, e, all’unanimità, aveva eletto alla carica di Presidente, Giuseppe Mussari, per il secondo mandato consecutivo. Ci sembra ovvio dedurre che godesse della massima stima e fiducia da parte dei banchieri italiani. Eppure i problemi che avrebbero portato la banca al dissesto erano già presenti, anche se non noti al mercato, perché nessuno li aveva ufficialmente rilevati e resi pubblici.
Dalle oscure profondità in cui erano stati celati, quei problemi sono emersi poco alla volta: la banca ha continuato ad operare e ad inghiottire denaro pubblico e privato, si sono avvicendati più amministratori, e negli ultimi mesi si è deliberata una nuova ricapitalizzazione. L’iniezione di liquidità è congegnata in modo tale che nessuno dei vecchi azionisti sfiduciati, potrebbe difendere la quota di possesso perché, pur in presenza del diritto d’opzione, per mantenerla bisognerebbe acquistare 374 azioni a 2 euro, ogni tre azioni possedute.
Per comprendere il disagio di chi dovrebbe prendere quella decisione, bisogna avere presente il percorso con cui si è giunti sin qui. Non a caso abbiamo citato cosa fosse avvenuto nel 2012, perché da allora sono trascorsi più dieci anni. Il prezzo di carico delle azioni possedute è ben diverso da quello attuale di mercato, che è solo una minima frazione dell’investimento iniziale, e non considera eventuali minusvalenze su azioni cedute in perdita, per convertire i diritti in altri aumenti di capitale. I più determinati, quelli hanno sempre tenuto le azioni, sono stati i più penalizzati. Portiamo l’esempio di un azionista che possedeva 1.500 azioni al momento del lancio della ricapitalizzazione e aveva investito 75.000 euro, con prezzo di carico pari a 50 euro per azione. Per mantenere la sua quota di possesso, dovrebbe acquistare 187.000 nuove azioni, investendo altri 374.000 euro. Quanti risparmiatori potrebbero avere l’ardire di investire una simile cifra su un titolo che negli ultimi anni ha avuto un percorso che, progressivamente, lo ha portato a dovere prendere una simile decisione, alle condizioni descritte? Se anche avesse i mezzi per poterlo fare, chi mai potrebbe garantirgli che sarebbe l’ultima volta in cui si chiede denaro fresco? Chi potrebbe mai essere credibile se afferma che con questa operazione tutto sarà definitivamente risolto? Se nel 2012 fosse stata resa pubblica la vera situazione della banca, quell’azionista non avrebbe mai acquistato i titoli Mps.
Il 5 agosto 2021 La Repubblica pubblicava un articolo di Vittoria Puledda – Mps accelera verso Unicredit, il bilancio torna in utile – Sottotitolo – L’ad Bastianini: “La priorità è una soluzione strutturale. Ottimisti sui tempi”. In conferenza stampa Guido Bastianini dice che un vincolo di riservatezza gli impedisce di entrare nei dettagli con cui si cerca di negoziare una soluzione per la banca senese. Poi si dilunga a descrivere gli ottimi risultati conseguiti nel semestre. Quel giorno il titolo Mps chiuderà con un rialzo del 4,85. Lo sbocco finale sarà la ricapitalizzazione descritta sopra. Proviamo ad immaginare come potrebbe sentirsi chi avesse acquistato i titoli quel giorno a prezzi intorno ai 24,8 euro e poi, pochi giorni fa, si fosse visto apparire uno scenario ben diverso da quello descritto da Bastianini.
Anche se sostanzialmente diverse, le crisi di Mps e di Carige si sono chiuse in modi molto simili per gli azionisti: sono state tenute a galla sino a che i risparmiatori non hanno più potuto mantenere la quota di possesso, con suadenti dichiarazioni dei vertici, e poi assorbite nel consolidamento bancario a basso costo per il sistema. Nella finanza è possibile indurre i risparmiatori in errore, perché le informazioni diffuse possono rappresentare una situazione diversa da quella reale e, chi dovrebbe avere il compito di controllare la correttezza, troppo spesso non lo fa; altrimenti come si spiegherebbe che i consigli di amministrazione, i collegi sindacali, le funzioni di vigilanza e controllo non siano mai riusciti a fare emergere nulla sulle numerose crisi bancarie, prima che diventassero irreversibili? Nella vita reale, nessun agricoltore annaffierebbe o concimerebbe il tronco visibile nella foto che accompagna l’articolo, nemmeno se un perito agrario gli dicesse che potrebbe tornare ad essere rigoglioso, perché lo stato di salute della pianta è evidente.
Il compito delle informazioni al mercato dovrebbe essere quello di dare sempre evidenza del reale stato di salute di una società quotata, perché i risparmiatori sono disposti ad accettare i rischi di mercato, ma hanno il diritto di pretendere la garanzia di non correrne altri, dovuti all’inefficienza di chi è profumatamente pagato per dare quelle certezze.