È fuori dubbio che la lunga sequenza di crisi bancarie che è esplosa improvvisamente nel nostro paese, abbia una molteplicità di problemi alla sua origine. Da un’analisi retrospettiva emerge con chiarezza che chi aveva il compito d’individuare le criticità sul nascere, per contenere il dilagare delle crisi bancarie, non le abbia individuate in tempo utile. Il risultato è stato che gli azionisti storici hanno perso la quota di possesso e il sistema bancario si è consolidato a basso costo.
La costituzione del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd), non aveva certamente lo scopo di tutelare i risparmiatori, come potrebbe apparire dal nome, ma quello di architettare soluzioni che riducessero i costi di intervento del sistema bancario. Le soluzioni delle crisi bancarie, in più occasioni, si sono così trasformate in un trasferimento dei rischi propri dell’attività bancaria, ai risparmiatori che avevano creduto nelle dichiarazioni diffuse per indurli a versare denaro fresco.
Ora potremmo esporre un’opinione sulle motivazioni che hanno impedito una tempestiva individuazione dei problemi, e una rapida soluzione degli stessi, ma non è nel nostro stile farlo. Preferiamo esporre fatti che possono aiutare a farsi un’opinione propria chi fosse interessato. Le storie di risparmio tradito, che hanno arrecato danni a chi aveva investito nel sistema bancario italiano, sono molte, ma in questa sede il nostro ruolo è quello di esporre il caso Carige e lo faremo attraverso dettagli poco trattati dai media, o addirittura trascurati.
- Banca Carige aveva accumulato crediti deteriorati (Npl), in assenza di qualsiasi intervento di: Consiglio d’amministrazione, Collegio sindacale e funzioni di Vigilanza e Controllo.
- La Vigilanza Bce, poco dopo l’inizio dei controlli sull’istituto di credito genovese, aveva imposto di vendere i crediti deteriorati in un mercato in cui il potere negoziale era a favore dei compratori, perché i volumi delle vendite imposte dalla Vigilanza, superavano le potenzialità di acquisto di chi svolgeva quell’attività.
- La banca che li cedeva, contabilizzava perdite superiori a quelle realizzabili con la loro gestione. Per adeguarsi ai nuovi requisiti, doveva deliberare un aumento di capitale. Per il buon esito dell’operazione, si tranquillizzavano i risparmiatori dicendo che l’aumento sarebbe stato risolutivo dei problemi della banca. Le perdite generavano un accumulo delle imposte attive differite (Dta) nei bilanci di Carige.
- Dopo il buon esito dell’aumento di capitale, la vigilanza imponeva altre cessioni di Npl, che generavano ancora perdite e la richiesta di nuovo denaro al mercato per coprirle, facendo le solite ottimistiche promesse. Il ciclo vizioso si è ripetuto per ben quattro volte. I fatti hanno dimostrato che sarebbero state almeno cinque, se fosse stata approvata la quarta.
- Nel momento in cui era stata proposta l’approvazione della quarta ricapitalizzazione, gli azionisti hanno chiesto di conoscere un piano industriale, in grado di dimostrare che fosse l’ultima volta in cui si chiedeva un’iniezione di liquidità.
- La risposta a quella richiesta, fu il primo commissariamento di una banca controllata dalla Bce. Seguì un aumento di capitale con esclusione quasi integrale del diritto d’opzione, che emarginò i vecchi azionisti. Il prezzo di emissione nuove azioni, fu fissato a circa un trentesimo del patrimonio netto, senza attribuire un valore alle Dta.
- Il governo decideva di premiare chi acquisiva Carige, con la trasformazione di una parte delle Dta in credito d’imposta e, quindi, in patrimonio netto tangibile.
- Nonostante ciò, non si riusciva a trovare una banca che volesse acquisire l’istituto di credito espropriato, perché erano in corso contenziosi legali, su cui incombevano alti rischi di soccombenza. La potenziale apertura di nuove liti, accresceva le probabilità di dovere fare enormi accantonamenti per la copertura dei danni richiesti. Per trovare un compratore, si è pagato chi si sarebbe appropriato di Carige ad un prezzo simbolico.
- Nessuno delle decine di esposti inviati a molteplici autorità ha ottenuto la benché minima considerazione. Citiamo i destinatari a cui sono stati inviati con maggior frequenza: Consob, Bce, Banca d’Italia, Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche e il sistema finanziario, Presidenza Consiglio dei Ministri, Ministro di Grazia e Giustizia, Ministro dell’Economia e Finanza più altri destinatari che sarebbe poco opportuno citare.
- Nessuno è intervenuto, nemmeno quando abbiamo evidenziato che da un’intercettazione della procura di Genova, era emerso che il Presidente Pietro Modiano, prima di ricoprire l’incarico di Commissario, stava negoziando con un operatore di mercato l’adesione ad un aumento di capitale di Banca Carige, non ancora comunicato al mercato e al CdA.
- Solo una circostanziata denuncia del socio di riferimento ha fatto sì che la procura di Milano aprisse un’inchiesta e avviasse un processo penale nei confronti di Paolo Fiorentino per presunte false comunicazioni al mercato nella semestrale del 2018.
- La Corte di Giustizia Europea si è espressa più volte contro la Bce e a favore degli azionisti di Banca Carige.
- Solo i danneggiati con un’adeguata riserva economica avranno la possibilità e forse il coraggio di fare ricorso per ottenere un risarcimento. Le tre liti sin qui aperte documentano con chiarezza il perché si abusa con disinvoltura dei risparmiatori: nel ricorso contro Fondo interbancario tutela depositi, Schema volontario di intervento, Cassa centrale banca e Carige, sono intervenuti 44 piccoli azionisti, all’impugnazione del commissariamento 58, e alla costituzione come parte civile nel penale contro Paolo Fiorentino, circa 200. Nel 2014 i piccoli azionisti della banca erano circa 55.000 e a fine 2018, circa 26.000. Da questi numeri si evince con chiarezza che l’unica tutela possibile per i risparmiatori siano i controlli efficaci e la chiarezza delle regole che tutelano i diritti, nonché un tempestivo intervento delle autorità contro gli abusi
Criticità che emergono dalla sintetica descrizione dei fatti.
- Chi avrebbe dovuto controllare non lo ha fatto. La ricerca del perché non risolverebbe il problema qualunque fosse la risposta: impossibilità di farlo, servilismo, malafede o incompetenza.
- Per avere giustizia, si dovrebbe ricorrere in massa ai tribunali. Ma 55.000 azionisti che si rivolgono ai tribunali per rivalersi contro un numero imprecisato di controparti, vorrebbe dire bloccare la giustizia a livello nazionale, se si considera il numero di danneggiati di tutte le crisi bancarie.
Prospettive derivanti dal mantenimento della situazione attuale
- Risarcimenti danni riconosciuti solo a chi possa permettersi un’azione giudiziaria, sino a quando la politica non sarà stata in grado di svolgere il proprio ruolo di definizione inequivocabile dei compiti e dei limiti da imporre a chi dovrebbe tutelare i risparmiatori e garantire un mercato dei capitali rispettoso dei diritti, superando il concetto che per avere giustizia si debba ricorrere in giudizio.
- L’Europa vedrebbe compromessa la sua già difficile coesione, da un diffuso senso di sfiducia verso le sue istituzioni che vengono percepite come carrozzoni burocratici insensibili al rispetto dei diritti, e, come tali, da considerare al pari di antagonisti da contrastare con determinazione e mai come parti da coinvolgere nel proprio senso di appartenenza.
- Un declino irreversibile dell’Italia, perché la diffusa sfiducia nel sistema paese, continuerebbe a indurre i risparmiatori a investire fuori dai confini nazionali o a lasciare i risparmi nei depositi bancari, magari privilegiando istituti di credito stranieri perché considerati più affidabili
Proposte che possano bloccare la ripetizione degli incresciosi fatti descritti.
- Costituzione ufficiale e riconosciuta dei risparmiatori come categoria.
- Costituzione di un ente espresso dalla categoria, per supervisionare i documenti standard da sottoporre alla firma dei risparmiatori, producendo, quando indispensabile, una sintesi esplicativa da consegnare al firmatario prima della sottoscrizione.
- Lo stesso Ente dovrebbe esprimere un parere sui comunicati ufficiali per le operazioni finanziarie, prima dell’invio per l’approvazione a Consob, e, se necessario, integrandolo con una sintesi che consenta ai risparmiatori di prendere decisioni consapevoli.
- Ogni informazione finanziaria diffusa dai media, dovrebbe sottostare al diritto di rettifica e integrazione di un ente espressione della categoria.
- La politica dovrebbe definire norme efficaci per l’istituzione di una class action che tuteli veramente i risparmiatori e dissuada gli emittenti senza scrupoli, dal commettere abusi.
Potremmo proseguire. Di idee ne avremmo molte, ma rischieremmo l’accusa di elaborare proposte utopistiche. Anche la realizzazione di una piccola parte di quanto suggerito potrebbe determinare un cambiamento epocale, perché si inserirebbe una nuova voce che farebbe da contrappeso a quelle che interagiscono oggi nel sistema finanziario: operatori finanziari, politici compiacenti e media servili.
I risparmiatori uniti, avrebbero nei numeri una forza dirompente e nessuna intermediario o emittente potrebbe restare sul mercato se commette abusi contro una categoria che si sia organizzata per reagire con immediatezza. Nessun politico potrebbe essere rieletto se indicato come insensibile ai diritti della categoria. Nessun media potrebbe restare sul mercato se additato come servile dai risparmiatori che si sono organizzati per lasciare in edicola i quotidiani o non aprire più un canale televisivo o radiofonico.
Una recente notizia documenta chi ottiene ascolto nella finanza e la necessità di una nuova voce a supporto delle istanze dei risparmiatori. Sabato 5 novembre 2022 su Il Secolo XIX si leggeva il seguente titolo – I banchieri sfidano la Bce: ´Troppe interferenze”. Nel corpo dell’articolo si riportava – Secondo Bloomberg se la vigilanza unica europea, che ha aumentato la pressione negli ultimi anni in risposta alle crisi del debito e pandemica, ha ottenuto la riduzione degli npl e una migliore gestione del rischio, ora starebbe andando troppo in là.
Il risultato della disponibilità ad assecondare l’insofferenza dei banchieri, sono i tredici punti con cui si è riusciti a togliere la qualifica di azionisti a chi aveva investito in Carige. In meno di quattro anni, quei punti sono stati dettagliatamente descritti in oltre 170 articoli e in un libro. Gli azionisti che li hanno subiti, hanno presentato decine e decine di denunce, non ottenendo l’attenzione di nessuno. Ascoltarli e recuperare la loro fiducia è l’unica soluzione possibile per riportare il risparmio sulle attività finanziarie nazionali, carburante indispensabile per la competitività del sistema paese. La degenerazione sistemica cui abbiamo assistito sta riducendo la qualità della vita dei cittadini, dobbiamo organizzarci e reagire, per lasciare ai nostri figli un mondo degno di essere vissuto.
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Abbiamo ritenuto indispensabile dare evidenza all’intervento, perché un’azione di denuncia a favore degli azionisti che hanno visto violati i propri diritti, è un evento talmente raro, da potere essere paragonato alla possibilità di cogliere il raggio verde con lo scatto di una foto amatoriale.