Riteniamo utile analizzare i contenuti di articoli apparsi in seguito a due lettere con destinatario il sottosegretario al MEF Federico Freni. La prima, oggetto di notizia negli articoli pubblicati in settembre, aveva come mittente International Corporate Governance Network (ICGN), un’organizzazione di investitori istituita nel 1995, con la missione di promuovere standard efficaci di governo societario e amministrazione, per favorire mercati efficienti ed economie sostenibili in tutto il mondo; la seconda, che fa riferimento agli articoli pubblicati in ottobre, e il cui mittente era il Council of Institutional Investors (CII), un’associazione di fondi pensione statunitensi e altri fondi di previdenza per i dipendenti, senza scopo di lucro, e costituita per promuove gli interessi degli investitori istituzional. La focalizzazione su alcuni contenuti consente di valutare la reazione della politica nel nostro paese, e di fare alcune considerazioni di merito.
- La Repubblica 11 settembre 2024: I foni globali contro la legge capitali.
- Milano Finanza 11 settembre 2024: Fondi contro la legge capitali.
- Il Fatto Quotidiano 12 settembre 2024: Meloni ha fatto arrabbiare i fondi esteri …
- La Repubblica 14 ottobre 2024: Fondi Usa contro la legge capitali …
- La Stampa 14 ottobre 2024: Fondi USA contro Legge Capitali…
- Borsa Italiana 14 ottobre 2024: Fondi USA contro Legge Capitali…
Gli articoli segnalati evidenziano l’importanza attribuita all’argomento dai media e la reazione della politica quando i fondi internazionali intervengono per segnalare evidenti rischi che potrebbero derivare dalle modifiche a norme che dovrebbero tutelare i diritti degli investitori e che, nel caso non fossero oggetto di ripensamenti, allontanerebbero i capitali dal nostro mercato.
Per sintetizzare il contenuto della lettera inviata a Freni il 16 agosto, anticipata dal Financial Times e resa pubblica dai nostri quotidiani l’undici settembre, estraiamo alcuni passaggi dall’articolo pubblicato da Milano Finanza. – … I gestori incoraggiando Roma a mantenere lo status quo per l’elezione del board, a promuovere il principio “un voto, per azione” per le assemblee degli azionisti e a incentivare assemblee ibride piuttosto che solo per rappresentante …esprimono un parere sugli argomenti citati e puntualizzano: «Scriviamo preoccupati per le recenti modifiche legislative, che potrebbero minare la competitività del mercato italiano e ridurne l’attrattività per gli investitori istituzionali. Ci auguriamo che la riforma del Tuf (testo unico della finanza n.d.r.) sia un’opportunità per ripensare alcune di queste misure. E al governo chiedono un incontro per avere l’opportunità di essere ascoltati …».
La risposta del Sottosegretario Freni, sembrava non lasciare dubbi sulla disponibilità politica ad una revisione: «I sistemi di governance sono fondamentali per garantire l’attrattività del mercato e il governo è pronto ad ascoltare gli stakeholders sulla legge Capitali», con la quale il governo «ha riportato al centro del dibattito lo sviluppo del mercato finanziario come fattore abilitante della crescita e si è fatto promotore di un processo di revisione di quelle norme che spesso sono state un freno allo sviluppo dei mercati e un disincentivo alla quotazione e alla permanenza sul mercato», ha spiegato Freni. «Tutti i temi segnalati da Icgn, come dagli altri stakeholder, sono all’attenzione della commissione» istituita al Mef «che sta lavorando al nuovo Tuf», garantendo «spazi adeguati» di ascolto in Parlamento per «raggiungere una riforma condivisa».
Per la notizia diffusa in ottobre, estraiamo alcuni periodi da quanto riportato nel sito ufficiale di Borsa Italiana: “Invitiamo il ministero dell’Economia e delle Finanze italiano e la Commissione TUF a garantire che le assemblee degli azionisti siano accessibili agli investitori, che i diritti e i processi associati al processo di nomina del consiglio siano chiari e ragionevoli da utilizzare e che le fusioni con società non quotate non offrano opportunità di trarre vantaggio a danno di azionisti istituzionali e retail”. Poi si entrava nell’esposizione di dettagli su: voto di lista, assemblee degli azionisti a porte chiuse, voto multiplo, e fusioni con società non quotate, con una puntualizzazione di non trascurabile importanza: “Siamo inoltre preoccupati per il modo in cui le assemblee generali a porte chiuse potrebbero intersecarsi con il nuovo processo di voto in due fasi per il consiglio e se ciò limiterà la capacità degli azionisti di selezionare i propri rappresentanti nel consiglio”.
Non entriamo nella descrizione di dettaglio sugli argomenti oggetto di critiche da parte dei fondi internazionali. Se lo facessimo dovremmo ripetere ciò che abbiamo scritto in più occasioni e che avevamo inviato alla politica, senza distinzioni ideologiche, ben prima che la legge Capitali fosse approvata dal Parlamento. Ad indurci ad assumere quel ruolo di denuncia, era stato il nostro senso civico, che metteva al primo posto l’interesse nazionale, e la necessità di tutelare i diritti della collettività. Per cui non abbiamo assunto alcuna iniziativa sullo scambio di corrispondenza tra fondi globali e Governo, anche se le nostre denunce avevano obbiettivi non esattamente sovrapponibili a quelli dei fondi, perché focalizzate sugli interessi degli investitori retail (non professionali).
Per evitare di esporre un’opinione sul dibattito intercorso a vari livelli, politici, mediatici e con parti coinvolte, estraiamo due capoversi dal lavoro predisposto dal “Centro di ricerche finanziarie sulla corporate governance” dell’Università Cattolica. Un’analisi impostata su basi scientifiche, che descrive cosa sarebbe potuto accadere in alcune assemblee con presentazione della lista del CdA, tenutesi negli ultimi anni, se fosse stata in vigore la legge Capitali. Per facilitare chi volesse conoscere l’analisi, per formarsi un’opinione consapevole sulla risposta data ai fondi dalla politica, segnaliamo che è visibile al link. https://centridiricerca.unicatt.it/fin-gov-Paper%202024%2009%2016%20final.pdf
- 32 quarto capoverso – Se si ipotizza che gli azionisti assumano un atteggiamento passivo, le uniche assemblee impattate in modo significativo sarebbero le due ampiamente citate nel dibattito sulla stampa negli ultimi mesi: Generali e Mediobanca. Nessun’altra società sarebbe impattata nello scenario in esame. Questo lavoro conferma l’opportunità di una riflessione su una legge che pare impattare solo due società, tra loro legate, e oggetto di pressione da parte degli stessi azionisti (seppure a ruoli invertiti – tra chi propone la lista e chi si limita a votarla – nei due casi).
- 32 quinto capoverso – Se però si alza lo sguardo ricercando una visione più ampia, si osserva che l’impatto della legge va ben al di là dei due casi citati. Basta ipotizzare che gli azionisti – come è logico – ragionino strategicamente e si vede subito che l’art. 147-ter.1 TUF crea notevoli opportunità di attivismo a soci rilevanti già presenti nell’azionariato. In sintesi, essi possono cogliere l’occasione offerta dalle nuove regole per acquisire una posizione forte all’interno del consiglio; in casi particolari, essi possono addirittura ribaltare l’esito della votazione e conquistare la maggioranza dei seggi. L’esempio più spettacolare è l’assemblea 2024 di Telecom Italia, in cui l’azionista Vivendi – se le nuove regole fossero state già in vigore – avrebbe potuto ottenere la maggioranza dei seggi, con conseguenze facilmente immaginabili per i progetti di ristrutturazione e di cessione della rete. Non si tratta, peraltro, di un caso isolato.
Abbiamo ritenuto utile dare evidenza al lavoro del Centro ricerca dell’Università Cattolica perché è possibile che, in mancanza di modifiche alla legge Capitali o di un rinvio del termine di decorrenza, in attesa che i punti critici siano definiti dalla Commissione impegnata nella modifica del TUF, i CdA
in scadenza nel 2025 saranno rinnovati con le nuove norme e il primo sarà quello delle Generali, la cui assemblea si svolgerà l’8 maggio 2025 e, quindi, quanto sarebbe potuto accadere nelle assemblee precedenti se la legge Capitali fosse stata attiva, potrebbe verificarsi in quella del 2025.
Per permettere a chi ci legge di avere una visione integrale su quanto stiamo descrivendo, estraiamo un passaggio dall’articolo pubblicato il 19 novembre su Milano finanza, con titolo: Il Mef blinda la legge Capital – La scorsa settimana presentando i conti di Mediobanca il ceo Alberto Nagel ha ventilato migliorie alla legge e, in particolare, alla nuova disciplina sulle liste del cda: «Come tutti gli operatori dei mercati finanziari abbiamo uno scambio di vedute con l’esecutivo e noi, così come altri, abbiamo rappresentato migliorie a vantaggio di tutto il mercato e tutto il sistema», ha spiegato il banchiere. Secondo diversi osservatori, però, è improbabile che Caltagirone e Delfin vedano con favore queste migliorie, soprattutto dopo il credito politico e istituzionale incassato con l’operazione Mps. Comprando complessivamente il 7% nel corso del collocamento di mercoledì 13 il costruttore-editore romano e la famiglia Del Vecchio hanno rafforzato l’asse con il governo Meloni e ora potrebbero ottenere una blindatura della legge Capitali. (è d’obbligo segnalare che i gruppi Caltagirone e Del Vecchio sono i maggiori azionisti di Generali, dopo Mediobanca).
La finanza dovrebbe essere priva di incertezze, accogliente e trasparente, dovrebbe avere punti fermi, sia pure nella consapevolezza dei rischi che si corrono investendo i risparmi in attività finanziarie. Se, progressivamente, la si trasforma in una buia e ingarbugliata foresta, impenetrabile anche dagli esploratori più esperti ed attrezzati, è inutile illudersi di attrarre capitali. La politica dovrebbe sapere che la materia prima di un mercato finanziario, è il capitale e l’unico modo per farlo affluire su un mercato, è la certezza che i diritti siano rispettati e la tranquillità di non dovere subire sorprese sgradevoli. Se il capitale cerca protezione in altri mercati, gli emittenti più interessanti lo seguono. Una buona parte di quelli disposti a quotarsi in un mercato poco affidabile e che non valorizza le società, a causa della scarsità di capitali, ha scopi ben diversi da quello di un’impresa che intenda sviluppare un progetto industriale.
Che la politica, per ben dodici anni, abbia preso decisioni che hanno indotto i cittadini a tenere la liquidità nei depositi bancari o a fare investimenti in altri mercati, e che oggi ritenga di potere trattare con sdegno investitori istituzionali, che gestiscono masse di capitali che sono un multiplo del nostro debito pubblico, ci induce a credere che il declino del nostro paese sia ormai irreversibile.