Trentun mesi di sospensione dalla negoziazione, di cui tredici di commissariamento, otto dei quali sono stati impiegati per architettare il gioco di prestigio necessario ad espropriare gli azionisti, senza che nessuno sappia, ancora oggi, chi li sostituirà nel possesso azionario. Poi l’ennesimo annuncio del ritorno alla quotazione e, nelle numerose pagine scritte sull’argomento, sono stati citati tutti, con la sola esclusione di chi aveva versato fiumi di denaro nelle casse di Banca Carige, fidandosi delle dichiarazioni ufficiali degli amministratori che si erano avvicendati alla sua guida. Sino al momento del gioco di prestigio, i piccoli azionisti possedevano la maggioranza dei diritti di voto. Poi quella quota di possesso si è dissolta e molti di loro hanno scoperto, pochi giorni dopo il raggruppamento, di avere perso anche la qualifica di socio, perché rimasti in possesso solo di una frazione di azione, liquidata con pochi centesimi, perché le azioni possedute nel 2014 erano state divise per 100 nel 2015 e per 1.000 nel 2021. Solo chi avesse posseduto più di 100.000 azioni prima del 2015, si sarebbe trovato con un’azione intera che gli avrebbe permesso di restare azionista. Se, poi, avesse deciso, come hanno fatto in moltissimi, di aderire alle ricapitalizzazioni, avrebbe perso anche l’ulteriore capitale investito. Complimenti a chi aveva dichiarato che la banca sarebbe tornata in utile nel 2018 e, invece, nel 2019 fu commissariata per attuare lo splendido capolavoro che a luglio del 2021 non ci permette ancora di conoscere chi sarà il padrone del vapore, nonostante ci abbiano negato il diritto d’opzione, per favorire l’ingresso di un candidato cui era stato concesso lanche o sconto del 47 % sul prezzo che avremmo dovuto pagare per aderire a quella ricapitalizzazione.
Un lancio Ansa alle 18 e 05 del 22 luglio 2021 ci ha tolto i dubbi che anche l’ultimo dei reiterati annunci di ritorno alla negoziazione del titolo, si rivelasse fallace come i numerosi che l’avevano preceduto. Il titolo dell’articolo era: Carige: pronta a tornare in Borsa, Consob revoca sospensione. Ieri ok a prospetto, atteso rientro alle negoziazioni da martedì. Dopo le informazioni di routine sull’emissione, approvazione e pubblicazione del prospetto informativo, il lancio si chiudeva con una precisazione non certo trascurabile, la banca, su sollecitazione di Consob, aveva precisato che non era in alcun modo possibile ipotizzare un prezzo attendibile al momento della riammissione alla negoziazione delle azioni Carige.
Immediatamente dopo la pubblicazione del prospetto informativo sul sito della banca genovese, hanno iniziato a circolare segnalazioni di possibili nuovi aumenti di capitale. La prima che abbiamo letto era di Radiocor (autore Luca Davi): Carige, scatta l’allarme capitale: fusione o 400 milioni di aumento. In vista del ritorno in Borsa il consiglio ha reso noto che la continuità è a rischio. Senza un’aggregazione manovra nel 2022. L’articolo proseguiva tratteggiando un parallelismo tra banca Mps e Carige. Mentre la prima era descritta in avvicinamento alla soluzione dei problemi, la seconda doveva chiudere un accordo con altro istituto di credito, oppure pianificare una nuova iniezione di mezzi freschi.
L’Ansa riportava le stesse cose evidenziate da Radiocor, ma con esposizione meno categorica se si andava oltre le frasi sintetiche con cui si è soliti scrivere i titoli, che erano: Carige: nel 2022 servirà un aumento da 400 milioni – Business combination essenziale ma non c’è certezza. Poi spiegava che nel caso la vigilanza Bce non avesse prorogato l’allentamento dei coefficienti patrimoniali, concessi alle banche sino il 31 dicembre del 2022, il piano industriale ipotizzava che si dovesse ricorrere ad un nuovo aumento di capitale da 400 milioni. A conclusione dell’articolo si precisava: In attesa o in mancanza di un cavaliere bianco e considerato che i target del piano per il 2021 non sono stati confermati “la prospettiva della continuità aziendale” di Carige “è strettamente legata alla capacità della banca di accelerare l’esecuzione di azioni previste dal piano” nonché “di porre in essere tempestive azioni… ulteriori rispetto a quelle previste” così da consentire alla banca “di recuperare” nel 2022 “i margini reddituali attesi” quest’anno e di conseguire senza slittamenti i target “previsti per gli esercizi 2022 e 2023”. Lo rende noto Carige su richiesta della Consob. Le tempestive azioni necessarie a mettere in sicurezza Carige non sono state “ancora individuate alla data del prospetto”
Sempre il 22 luglio, l’amministratore delegato della banca genovese ha scritto una lettera ai dipendenti da cui estraiamo una frase che ci ha colpito in modo particolare: “Ciò nondimeno il rispetto che sempre abbiamo mantenuto nei confronti degli investitori, rende necessario informarli del nostro impegnativo piano di lavoro, così come della prospettiva della business combination che è stata definita con le Autorità di Vigilanza dopo il ritorno alla gestione ordinaria e che rappresenta un peculiare elemento di attenzione nelle scelte strategiche”. Belle parole che potremmo condividere; peccato siano state più volte smentite dai fatti, nelle molteplici occasioni in cui sono stati presentati i prospetti informativi dai suoi predecessori, che hanno sempre dichiarato pubblicamente che le ricapitalizzazioni erano tutte risolutive dei problemi di Banca Carige. A consuntivo non possiamo certo affermare di avere ricevuto “il rispetto che sempre abbiamo mantenuto nei confronti degli investitori”. Se, in questa occasione, la dichiarazione fosse corretta, i destinatari del rispetto sarebbero altri, perché a noi non è stato concessa la possibilità di difendere il capitale investito, che avevamo versato credendo alle dichiarazioni dei suoi predecessori.
Facciamo una rapida sintesi del restante contenuto della lettera, con cui si cercava di convincere i dipendenti che non sarebbe stato il caso di preoccuparsi per quanto si poteva rilevare sui rischi di possibile interruzione della continuità aziendale, ma i sindacati che ormai conoscono il mondo bancario, si sono mossi immediatamente per chiedere l’apertura di un tavolo permanente.
La mattina di martedì 27 luglio, abbiamo letto l’articolo pubblicato da “Il Secolo XIX” il cui titolo era – Carige, il sindacato chiama il Fitd: “Garantisca la continuità aziendale” – Poi nel corpo dell’articolo sviluppa quanto abilmente sintetizzato nel titolo. In sostanza l’autrice (GIL F.) evidenzia le apprensioni dei sindacati per il pericolo di mancata continuità aziendale e il timore che il controllo potesse passare ad un fondo. La giornalista inserisce anche un’informazione che rendeva noto ai lettori un provvedimento di Consob, deliberato per evitare eccessi speculativi nei primi giorni di negoziazione del titolo: non sarà possibile inserire ordini senza prezzo, sino a nuove disposizioni. Quindi, possiamo prendere atto che, giustamente, qualcuno si sia fatto carico delle istanze dei dipendenti che, in quanto tali, sono anni che temono per il posto di lavoro e, in quanto azionisti, hanno subito gli stessi danni dei risparmiatori, avendo avuto fiducia nella banca.
Il giorno precedente, 26 luglio, avevamo letto un’intervista a Francesco Guido amministratore di Carige, su “La Repubblica”, aurore Massimo Minella, titolo – Guido: “Torniamo in Borsa. L’alleanza è sicura, ma Carige è dentro una partita a scacchi” – Il manager precisava che il nome del cavaliere bianco non era ancora noto, ma che c’erano tali e tante opportunità “fiscali e industriali” per cui era molto difficile ipotizzare che non si potessero trovare pretendenti disposti ad acquisire il controllo del Gruppo Carige. Il giornalista precisava che la riammissione alla quotazione di borsa era uno dei passi indispensabili per il ritorno alla normalità. Guido specificava che nei primi giorni esisteva un rischio volatilità e che il valore cui avrebbe potuto aprire il titolo non era prevedibile, poi aggiungeva che un altro effetto non trascurabile, del ritorno alla libera circolazione sul mercato, sarebbero stati gli evidenti benefici per la normale operatività dell’istituto di credito, perché avrebbe visto il ritorno “alla quotazione degli strumenti finanziari, titoli obbligazionari e certificati di investimento attraverso la Cesare Ponti, uno dei pilastri su cui poggia il nostro rilancio commerciale”. Riportiamo integralmente alcuni passaggi dell’intervista perché meritevoli di una citazione con commento.
- “Il ritorno equivale a una normalizzazione, è il completamento di un percorso dopo una situazione confusa che vedeva il capitale formato da 755 miliardi di azioni del valore di un millesimo di euro l’una”. Anche in questa occasione ringraziamo il Dott. Francesco Guido; noi condividiamo integralmente la definizione di “situazione confusa”, perché l’abbiamo subita ed è servita a trasferire la quota di possesso da noi ad altri soggetti. Aggiungiamo che noi azionisti non l’avremmo voluta e per operare in un contesto di gestione trasparente, era stato chiesto un piano industriale, prima di approvare la quarta ricapitalizzazione nel 2018, dopo avere aderito alle tre approvate dal 2014.
- Questo passaggio lo riportiamo senza commentarlo, l’intervistato cita come situazione più agevole da gestire ciò che l’azionista di riferimento aveva proposto come soluzione nel 2018 e già ricordata poche righe sopra. Come potremmo non essere in sintonia: “Vede, se avessimo un piano industriale costruito sul ricorso al mercato per il rafforzamento patrimoniale, allora la quotazione del titolo avrebbe un significato maggiore. Noi potremmo andare a un nuovo aumento a fine 2022, se non dovessimo completare la business combination, proseguendo stand alone. Ma con un azionista che ha l’80% del capitale sarebbe comunque un aumento diverso dagli altri”.
- “… questo ritorno in Borsa consente un riposizionamento sui mercati finanziari. E poi, se posso aggiungere, il ritorno in Borsa è anche un segnale che va incontro alle esigenze dei piccoli azionisti che potranno ritornare a scegliere se tenersi le azioni o venderle ed è giusto che decidano in autonomia se rimanere ancora azionisti”. Questa frase offensiva non doveva proprio essere inflitta a chi, dopo avere versato 2,2 miliardi di liquidità, non aveva potuto decidere se mantenere il proprio peso di azionista, oppure essere diluito da una decisione imposta da chi aveva conferito a Guido quell’incarico. A quali esigenze pensava di andare incontro Guido, mentre pronunciava quella frase. Aveva provato a pensare a tutti quei dipendenti che avevano versato una parte importante della loro liquidazione e avevano visto le azioni dividersi per 100 nel 2015, poi per 1.000 nel 2021 e, infine, hanno costatato di avere perso anche la qualifica di azionista, con l’accredito di pochi centesimi in conto corrente? L’unico motivo per cui ci sarebbe un interesse a vendere i titoli Carige, sarebbero le minusvalenze che permetterebbero di non pagare imposte su plusvalenze maturate con altri titoli. Una corretta gestione delle minusvalenze, vale il 26% delle perdite, il valore residuo delle azioni è infinitamente più basso.
- Una risposta alla domanda del giornalista, ci ha stupiti. Le riportiamo entrambe nell’ordine: “Nel prospetto che avete presentato per la riammissione avete dato conto di tutti gli scenari possibili, anche dei più avversi…” “Siamo obbligati a farlo, l’ho scritto anche ai dipendenti invitandoli a smentire questi scenari, come peraltro sta già avvenendo. Ho parlato di incertezze e indicato ogni tipo di rischio fin nelle condizioni più estreme”. Avevamo più volte denunciato che i dipendenti fossero utilizzati per condizionare gli azionisti. Nessuno ci ha mai dato ascolto. Non potevamo certamente immaginare che un manager potesse pubblicamente affermare di avere chiesto ai dipendenti di smentire scenari che era obbligatorio descrivere in un documento ufficiale. Naturalmente assumersi la responsabilità di una precisazione, sarebbe più che lecito, ma chiedere ad altri di smentire ci sembra veramente …
- Infine Francesco Guido descrive uno scenario in cui gli attori che decideranno il destino della banca, non hanno nulla a che vedere con chi aveva immesso nel circuito finanziario la liquidità necessaria a fare arrivare Carige sino a questo punto: “… qui si sta giocando una partita a scacchi fra banche, regolatori e governo. Nelle condizioni di oggi non credo che Carige sarà la prima mossa, ma se cambia il quadro normativo, con i benefici fiscali a cui facevo riferimento, allora si potrebbe accelerare … Ma il valore dello stress test è segnaletico da un punto di vista tecnico, noi vogliamo ragionare non solo su ipotesi estreme, ma plausibili. E allora da questo punto di vista il futuro di Carige è affidato alla prospettiva di recupero della redditività”.
Non ci stancheremo mai di dirlo: il vero patrimonio di una Banca è la fiducia dei suoi clienti, dei suoi correntisti, dei suoi dipendenti e dei suoi azionisti. Senza una diffusa percezione di affidabilità riconosciuta dal territorio, un istituto di credito non potrà mai puntare all’incremento della redditività. Nessuna banca italiana aveva mai basato la propria potenzialità di generare ricchezza per gli azionisti, i clienti e il territorio, sulla conoscenza degli operatori economici e la capacità di essere costantemente percepita come un punto di riferimento affidabile, come costantemente messo in atto dalla banca ligure. L’armoniosa interazione sociale ed economica è ampiamente documentata dagli interventi della Fondazione, ormai scomparsa e dal forte senso di appartenenza che avevano sviluppato i suoi dipendenti, molti dei quali erano anche azionisti e diffusori convinti di un’immagine positiva del loro datore di lavoro. Nessuna pubblicità riuscirà mai a raggiungere i risultati che aveva saputo generare l’entusiasmo di chi lavorava in Carige. Abbiamo evidenziato valori persi che è indispensabile ripristinare se si vuole ritornare alla redditività di un tempo. Chi ha sperperato l’immensa dote che aveva permesso alla banca di costruire 5 secoli di storia, ha colpe enormi, ma chi si ostina nel volere costruire scenari alternativi, continuando a trascurare chi aveva sempre creduto nella banca, si assume responsabilità immense, perché senza i suoi azionisti, i suoi clienti, i suoi dipendenti e i suoi correntisti, Banca Carige non potrà mai tornare ad essere ciò che ha sempre rappresentato per la Liguria.
Ora proviamo a dare evidenza alla superficialità e al distacco con cui sono state trattate le categorie sociali coinvolte nell’evoluzione della tragedia di una banca che non riesce a ritrovare la strada della generazione degli utili, semplicemente perché si vuole imporre un modello che non riesce a ripristinare la configurazione gestionale che l’aveva resa grande.
Gli azionisti
Non vogliamo ripetere ciò che diciamo da 2 anni su come si siano dissolti i loro investimenti e ci limitiamo a segnalare, come abbiamo citato all’inizio di questo scritto, che, o non si citano, o quando lo si fa, si distrugge ogni residua disponibilità a investire i propri risparmi in attività finanziarie o a riportare la liquidità nel conto corrente che era aperto in Carige. Anche in questa occasione l’Ad cerca di fare passare la riammissione alla quotazione come “un segnale che va incontro alle esigenze degli azionisti”. È veramente tragico leggere questa frase prima di: “sono stati una componente fondamentale nella storia della banca”, senza fare alcun cenno ad un possibile risarcimento per i torti che hanno subito. Queste frasi ci fanno percepire il cinismo con cui una finanza insaziabile vuole indurci a vedere come un gesto di generosità nei loro confronti, fatti che hanno motivazioni ben diverse da quelle dichiarate. La logica ci dice che una riammissione alla negoziazione nel mese di agosto, periodo in cui i volumi sono fortemente ridotti, ci lascia molte perplessità. Il titolo era sospeso da 31 mesi, nonostante le reiterate promesse d’imminente riammissione alla quotazione. Cosa poteva cambiare se il ritorno alla borsa fosse stato pianificato a settembre, quando i volumi sarebbero tornati alla normalità e, possibilmente, dopo avere rilasciato la semestrale?
I dipendenti
Su “Genova 24” del 26 luglio è stato pubblicato un articolo dal titolo: “Carige torna in borsa, i sindacati dei bancari chiedono l’apertura di un tavolo di confronto”. Riportiamo integralmente la parte iniziale perché significativa degli aspetti che vorremmo sottolineare e commentare. “I sindacati dei bancari di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisis con l’intersas del gruppo Banca Carige , alla luce del dibattito in merito agli scenari di consolidamento del sistema creditizio nazionale – molto attento agli assetti aziendali e alle ricadute economico-finanziarie, ma distratto circa le possibili ricadute sociali di eventuali operazioni gestite senza la dovuta oculatezza – e la recente pubblicazione del prospetto informativo relativo alla riammissione in Borsa del titolo Banca Carige, che comprende una nota Consob dal contenuto particolarmente preoccupante (pur sapendo che devono essere formalmente prospettati tutti gli scenari e la cautela da più parti richiamata) chiedono di richiamare l’attenzione sul futuro delle lavoratrici e dei lavorator”. Non riportiamo altro, perché a noi interessa documentare la diffidenza dei dipendenti e di chi li rappresenta. Anche loro non si fidano più. Come potrebbero occuparsi della ricostruzione del rapporto di fiducia tra la banca e i suoi clienti ed azionisti, se loro stessi sono, da molti anni, immersi in un mare di diffidenza? Ora ci viene naturale chiederci se la frase “l’ho scritto anche ai dipendenti invitandoli a smentire questi scenari”, fosse un tentativo indiretto di comunicare all’inconscio dei lavoratori e ai loro rappresentanti, ciò che sarebbe stato difficile credere perché stanchi di decisioni che non riuscivano a risolvere i problemi della banca, che loro percepivano con un’intensità maggiore di altri, perché molti di loro appartenevano alla categoria degli azionisti, dei correntisti e, attraverso parenti e conoscenti, avevano una visione privilegiata anche sulla crescente cautela dei clienti nell’intrattenere i rapporti esclusivi con la banca.
Banca Carige ha prosperato e presidiato lo sviluppo economico della Liguria per secoli, proprio per la fitta rete di relazioni che la univa al territorio. Il giocattolo magico è stato rotto da una serie di eventi imprevedibili e da abusi inaccettabili. Esiste una soluzione possibile che può ripristinare il clima di fiducia tra territorio e banca. Facciamo l’impossibile per adottarla, perché è a costo zero. La politica capisca cosa è successo e si attivi per fare in modo che non possa mai più accadere in futuro. Questo è il primo passo da compiere per presidiare lo sviluppo economico, è la generazione di ricchezza mediante l’impiego del risparmio in attività produttive, con la garanzia che i diritti siano rispettati
Premessa – Gli azionisti sono stati danneggiati da informazioni non corrette che li hanno indotti ad aderire a tre ricapitalizzazioni, si pretendeva che aderissero ad una quarta senza un piano industriale e alla richiesta di conoscerlo, hanno subito un inspiegabile commissariamento. I commissari hanno approvato una business combination che li espropriava e che non è andata a buon fine. Gli azionisti meritano di essere tutti risarciti.
Proposta – Trasformare le DTA (imposte differite attive) della banca, in crediti d’imposta e metterli a disposizione degli azionisti, in una percentuale e in uno dei modi possibili che possono essere definiti da chi ha più competenza tecnica di noi, per proporre una soluzione. Portiamo un esempio al solo scopo di evidenziare il risultato che si potrebbe ottenere. Trasformare il credito d’imposta maturato in un aumento di capitale che ripristini le quote di possesso azionario in essere al 31 dicembre 2018. Tutti i problemi della banca sarebbero risolti, gli azionisti avrebbero ottenuto un risarcimento equo per l’aumento di capitale approvato il 20 settembre 2019, il costo sarebbe zero e il valore generato sarebbe enorme: il ripristino di un clima di fiducia nei confronti della finanza. In più si eviterebbe un ulteriore abuso: regalare crediti d’imposta accumulati a danno degli azionisti, a chi decidesse di fondersi con Carige. Naturalmente tutto potrebbe essere vincolato ad una business combination gradita agli azionisti e ai dipendenti, evitando l’ingresso di voraci fondi speculativi, stranamente sponsorizzati dalla Bce per anni. Trovare un cavaliere bianco per una banca ritornata ad essere ai vertici delle redditività nazionale, non sarà difficile e con il recupero di affidabilità sul territorio, tutto sarebbe più agevole, semplicemente perché tutti tornerebbero a credere nella banca dei liguri.