Premettiamo che non intendiamo entrare nel merito dello scandalo vaticano, non perché non meriti la nostra considerazione, ma per il semplice motivo che è stato ampiamente descritto da altri. Noi vorremmo dare evidenza a fatti connessi a quell’esecrabile operazione finanziaria, perché possono aiutare a capire meglio il clima in cui è stata impostata e proposta per l’approvazione, la ricapitalizzazione Carige iniziata il 4 dicembre 2019. Ci sono intrecci noti a tutti, ma non considerati nell’ottica di quanto accaduto a Banca Carige, prospettiva che potrebbe aiutare a comprendere Il loro impatto su un contesto che continua a degenerare. Le implicazioni connesse al degrado dell’etica nella finanza, sono assai preoccupanti e meritano di essere esposte con chiarezza, se si vuole che chi ne ha la competenza prenda provvedimenti in grado di riportarla al ruolo nobile che le compete: generare benessere per la società e remunerazione per il tempo in cui i risparmi sono affidati ad un sistema finanziario regolamentato.
Il 14 luglio 2021 l’Espresso ha pubblicato un articolo dal titolo; “Dal Vaticano ai crack bancari, ecco il filo rosso che lega tre scandali costati oltre 6 miliardi ai risparmiatori italiani”. Citiamo prima questo articolo, nonostante sia stato pubblicato dopo altri cui faremo riferimento, perché è quello che da maggior rilevanza al problema che vorremmo evidenziare. L’inchiesta è firmata da Vittorio Malagutti e si propone di accendere un faro su personaggi che hanno ruotato intorno allo scandalo Vaticano (acquisto dell’immobile di Londra) mediante investimenti finanziari effettuati dalla Segreteria di Stato vaticana e autorizzati dal cardinale Angelo Becciu, impiegando denaro proveniente dell’Obolo di San Pietro, dallo Ior (la banca della Santa Sede) e da altri enti vaticani. Alcuni dei finanzieri coinvolti nell’operazione, nello stesso tempo erano parte attiva nei crack bancari di Banca Popolare di Bari (Bpb), Carige e Popolare di Vicenza. Gli intrecci oggetto dell’inchiesta, prendono spunto da quanto emerso dalle indagini avviate in vaticano sui cardinale Angelo Beciu, che avevano portato all’apertura di un processo che vedeva il porporato come imputato per peculato, appropriazione indebita, corruzione ed estorsione. La prima udienza si è tenuta il 27 luglio e in quell’occasione il dibattimento è stato aggiornato al 5 di ottobre 2021.
Oltre al cardinale, sono state citate in giudizio altre nove persone. Per completezza d’informazione le citiamo tutte, ma ne evidenziamo in grassetto solo due, perché sono quelle su cui riteniamo utile fare gli approfondimenti che supporteranno le conclusioni cui giungeremo: René Brülhart, coinvolto per abuso d’ufficio; monsignor Mauro Carlino, per estorsione e abuso di ufficio; E. C,, per peculato, corruzione, estorsione, riciclaggio e autoriciclaggio, truffa, abuso d’ufficio, falso materiale di atto pubblico e falso in scrittura privata; Tommaso Di Ruzza, per peculato, abuso d’ufficio e violazione del segreto d’ufficio; Cecilia Marogna, per peculato; R. M, cui sono stati contestati i reati di peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio; Nicola Squillace, per truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio; Fabrizio Tirabassi, per corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio; Gianluigi Torzi, con contestazione di estorsione, peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio.
Il primo tentativo di inserirsi con ruolo di rilievo in una banca, M. lo aveva messo in atto nel 2013, presentando, attraverso il fondo Athena, una lista per il consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Milano, in cui, come Presidente in pectore, figurava l’ex Primo Ministro Lamberto Dini. In quell’occasione, Athena gestiva cifre importanti messe a disposizione da Enasarco, che dopo poco tempo avrebbe chiesto di disinvestire il denaro conferito, a causa dei disastrosi risultati riscontrati. R. M., che aveva dimostrato di sapersi muovere con disinvoltura nei palazzi romani, fu costretto a cercare un nuovo investitore che subentrasse ad Enasarco. Lo trovò sull’altra sponda del Tevere, ottenendo il capitale che gli avrebbe permesso di avviare le mosse che lo avrebbero coinvolto in banca Carige.
Altro intervento di R. M. in un istituto di credito nel 2014, è ampiamente e ben descritto in un capoverso del già citato articolo uscito il 14 luglio. Lo riportiamo perché indica a chi ha la volontà di capire, la disinvoltura con cui alcuni operatori di mercato si prestano per operazioni poco trasparenti – La vicenda però conferma che mentre trattava con la Santa Sede per l’acquisto del palazzo londinese, Torzi già si muoveva sul fronte bancario. Alla fine del 2014, quando i bilanci della Popolare di Vicenza, presieduta da Giovanni Zonin, facevano buchi da tutte le parti, fu allora che si fece avanti anche R. M. Proprio lui, il finanziere con base a Londra tra i principali protagonisti dello scandalo vaticano, accusato, tra l’altro, di truffa e appropriazione indebita. Ebbene, nel gennaio del 2013 la Popolare Vicenza investì 100 milioni di euro nei fondi Athena di M., denaro che, come già nel caso Optimum, ritornò in parte al mittente: fu infatti parte impiegato per comprare azioni della banca finanziatrice.
Il 3 luglio aveva affrontato l’argomento anche Il Riformista con l’articolo: “Scandalo Vaticano, a processo il cardinale Becciu e altri 9: accusati di truffa, peculato e abuso d’ufficio” da cui estraiamo un solo capoverso che merita di essere riportato perché documenta l’estensione internazionale di un’operazione finanziaria, che, all’occorrenza, ha sempre trovato personaggi pronti ad inserirsi per trarre profitto: Le attività istruttorie, svolte anche con commissioni rogatoriali in numerosi altri paesi stranieri (Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna, Jersey, Lussemburgo, Slovenia, Svizzera), hanno consentito di portare alla luce una vasta rete di relazioni con operatori dei mercati finanziari che hanno generato consistenti perdite per le finanze vaticane, avendo attinto anche alle risorse destinate alle opere di carità personale di Papa Francesco”. L’articolo descrive dettagliatamente lo scandalo vaticano, merita di essere letto, ma noi preferiamo attenerci alla linea di condotta descritta nell’introduzione. Ci domandiamo solamente quali perdite subite dai risparmiatori italiani potrebbero essere attribuite agli stessi operatori finanziari, se le indagini fossero estese a tutti i loro interventi nelle tre banche citate a inizio articolo.
Stessa data, il 3 luglio, esce un dettagliatissimo ed ampio articolo del CORRIERE DELLA SERA, titolo: Becciu, il cardinale che piaceva a Wojtyla e a Ratzinger, ma che ha tradito la fiducia di Francesco, traccia la rilevante e inarrestabile carriera del porporato che aveva riscosso l’approvazione di altri 2 Pontefici, prima di essere confermato e, poi, promosso anche da Papa Francesco. L’autore dell’articolo Ferruccio Pinotti descrive dettagliatamente i movimenti che dopo alcuni anni faranno scoppiare lo scandalo. Riportiamo alcuni passaggi molto significativi:
- Un primo capitolo dell’inchiesta sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato — che oggi ha portato al rinvio a giudizio per 10 persone e 4 società — riguarda l’investimento nel fondo Athena Capital Global Opportunities Fund di R. M., un’operazione avvenuta tra giugno 2013 e febbraio 2014;
- la Segreteria di Stato si indebita con Credit Suisse per duecento milioni di dollari per investirli nel fondo di M. (100 nella parte mobiliare, 100 in quella immobiliare, legata al palazzo londinese di Sloane Avenue 60; l’investimento, altamente speculativo, porta a gravi perdite per la Santa Sede, secondo quanto ha potuto ricostruire Vatican New;
- al 30 settembre 2018 le quote avevano perso oltre 18 milioni di euro rispetto al valore dell’investimento iniziale, ma la perdita complessiva è stata stimata di un importo ben più consistente;
- avrebbe i soldi vaticani per realizzare operazioni imprudenti e per tentare scalate a istituti bancari in crisi. Di fronte ai risultati disastrosi, la Segreteria di Stato cerca di uscire dall’investimento e di entrare in possesso dell’immobile; l’operazione prevede che dalla Segreteria di Stato vengano sborsati 40 milioni di sterline a M. in cambio delle sue quote e si decide di affidarsi a una società di un altro finanziere, Gianluigi Torzi, il quale con un escamotage riesce a mantenere per sé il controllo e a raggirare la Santa Sede grazie a complicità interne;
- dalla documentazione prodotta dai magistrati vaticani risulta che M. e Torzi erano in realtà d’accordo ad effettuare l’operazione con la Segreteria di Stato;
Interrompiamo la citazione dell’articolo del CORRIERE, per ricordare al lettore che proprio nel settembre 2018, R. M. aveva presentato una lista per inserire uomini di sua fiducia ai vertici di Carige, ma la sua azione era stata bloccata dalla magistratura perché priva dell’autorizzazione necessaria a stringere un accordo parasociale che superasse il 10 % delle azioni emesse da Banca Carige.
Sempre il 3 luglio, anche Rai News si occupa del caso, riporta gli stessi passaggi del CORRIERE, che abbiamo citato, senza raccontare la scalata al potere del cardinale Becciu, estraiamo un passaggio interessante, che potrebbe proiettare sul percorso che stiamo tracciando una luce diversa, in grado di fare capire lo spirito con cui svolgevano la professione alcuni personaggi che si occupavano d’intermediazione finanziaria:
- I magistrati vaticani indicano in E. C. (l’uomo della finanza che da decenni aveva in gestione gli investimenti della Segreteria di Stato) e in Fabrizio Tirabassi (dipendente in qualità di minutante dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato) due figure chiave e ritengono che abbiano ottenuto provvigioni da M. e pagamenti in contanti da Torzi per averli fatti entrare in Vaticano; grazie a complicità interne, Torzi riesce infatti con un escamotage a far firmare uno Share Purchase Agreement (accordi che regolano una compravendita societaria) che di fatto sottrae alla Segreteria di Stato il controllo dell’immobile di Londra.
Lunedi 5 luglio 2021 anche Gianluca Paolucci, a pagina 19 de La Stampa, esamina gli intrecci finanziari che sostengono le strategie d’investimento di M. e Torzi, finalizzate alla realizzazione dell’obbiettivo primario che vorrebbero conseguire nel 2018. Stiamo citando l’articolo: Spunta il patto segreto tra M. e Torzi per il palazzo di Londra. Anche questo scritto fa riferimento a notizie estratte dal faldone di 500 pagine prodotto dalla procura vaticana per fare chiarezza sull’investimento effettuato con il denaro fornito dalla Segreteria di stato. Nell’introduzione si dice che i due finanziari volevano gestire insieme l‘affitto dei locali dell’immobile londinese, anche dopo il passaggio di proprietà al vaticano. Le intenzioni sono documentate da una lettera con cui vorrebbero organizzare un incontro per definire i dettagli. Noi però estraiamo un pezzo in cui il giornalista descrive come tutto quanto ruotava attorno allo scandalo vaticano era funzionale alle mire su Carige.
- Secondo la ricostruzione della procura vaticana, la genesi dell’accordo tra Torzi e M. va cercato nella vicenda Carige. Tra settembre e ottobre del 2018, quanto Torzi arriva come «mediatore» tra M. e la Santa Sede, arrivava al suo epilogo il tentativo di scalata di Banca Carige da parte di M., con il titolo sceso a picco in Borsa e Banca d’Italia che aveva acceso un faro sugli accordi tra M. e altri due soci di peso dell’istituto: l’imprenditore del petrolio Gabriele Volpi e l’ex patron di Genoa e Livorno Aldo Spinelli. Fin dal gennaio dello stesso anno, proprio Volpi avrebbe finanziato Torzi, tramite l’acquisto a prezzo maggiorato di un pacchetto di azioni della Imvest, all’epoca quotata. La maggiorazione avrebbe costituito parte del prestito effettuato da Torzi a M. per comprare azioni Carige. Un accordo nascosto al mercato – l’intesa fra i tre sarà resa nota solo nei mesi successivi, tramite un patto di sindacato – che aveva lo scopo di contrastare la famiglia Malacalza, all’epoca primo socio. Ma la scalata fallisce e proprio nell’autunno 2018 – annotano gli inquirenti vaticani – aumenta la pressione su M. per restituire i fondi. Di lì l’arrivo del «mediatore» Torzi nella trattativa londinese.
Il 5 luglio, anche il Corriere torna sul pezzo per arricchire le informazioni con altri dettagli estratti dai documenti della Procura vaticana, il titolo del nuovo articolo è – Vaticano a caccia dei soldi sottratti alla segreteria di Stato: sequestrati 64 milioni. I broker: «Gli abbiamo fatto un abracadabra…» – I broker cui fa riferimento l’articolo erano M. e Torzi e la frase tronca è tratta da un WhatsApp, riportiamo integralmente il capoverso che lo cita.
- Per creare liquidità il palazzo di Sloane Avenue sarebbe stato molto generosamente valutato. Il 23 novembre 2018, dopo la firma dei contratti con la Segreteria, M. e Torzi pranzano a Roma al ristorante «I due ladroni». Più tardi il broker manda un WhatsApp al suo commensale: «Oh sui numeri gli abbiamo fatto un abracadabra che dopo tre gg ancora si raccapezza». Con tre faccini sorridenti.
- Il sottotitolo dell’articolo può aggiungere dettagli utili alla comprensione del messaggio scambiato tra i commensali dopo l’uscita dal ristorante – I pm: Becciu autorizzò investimenti a rischio nonostante i divieti. Per coprire le perdite dovute a operazioni avventate e a speculazioni il valore di Sloane Avenue fu gonfiato –
La cinica strafottenza con cui si vantano di avere fatto un gioco di prestigio alle persone che avevano concesso la loro fiducia, documenta più di ogni commento il tipo di operatori finanziari che si aggirano nella finanza globalizzata. Se tali personaggi hanno la possibilità di fare consulenza ad operatori che muovono centinaia di milioni in singole operazioni, provate ad immaginare cosa possono fare quando a richiedere i loro servizi sono semplici impiegati od operai che vogliono solo assicurarsi una serena vecchiaia, investendo parte del reddito che non hanno speso.
A supporto delle preoccupazioni appena esposte e a conferma di quanto descritto da Paolucci su la Stampa, citiamo un altro passaggio dell’articolo dell’Espresso. Anche in questo caso i fatti confermano il collegamento con altro attore importante, che da tempo si muoveva sul palcoscenico della vicenda Carige – Nel 2018 appare consolidato anche il rapporto con M. che a gennaio di quell’anno viene finanziato per alcune decine di milioni, almeno 26, proprio da Torzi per comprare azioni Carige. Da dove arrivano quei soldi? Le carte vaticane affermano che il denaro era stato fornito dal miliardario Gabriele Volpi, che in quelle settimane stava cercando di scalare l’istituto genovese. I prestiti viaggiano estero su estero, con passaggi di denaro che transitano dai conti di società con base a Panama, Londra e il Lussemburgo –
Come avete potuto rilevare, abbiamo riportato fatti descritti da moltissime testate di livello nazionale, scritti da giornalisti degni della massima considerazione. Avremmo potuto farlo con parole nostre e descrivere il cinismo di certi personaggi con terminologia aspra e accusatoria. Se lo avessimo fatto, non saremmo stati in sintonia con lo stile che ci siamo imposti sin da quando è stato realizzato questo sito. Lo abbiamo evitato volutamente, perché volevamo che la percezione dei fatti e il giudizio su certi personaggi, si formasse dentro di voi in modo autonomo e attraverso le parole di altri, perché le conclusioni cui arriveremo, sarebbero state certamente indicate come in conflitto d’interesse, nel caso in cui l’esposizione ci avesse visti anche come autori. Ora vi sintetizziamo un’intervista pubblicata il 20 settembre 2019 da Il Secolo XIX. Gilda Ferrari intervista R. M., il titolo è – Mia l’idea di scegliere la Cassa di Trento – Le dichiarazioni del finanziere sono state riportata da altri quotidiani, poco tempo dopo la sua pubblicazione e tutti quelli che abbiamo letto, hanno citato la testata genovese come fonte, ne deduciamo sia assai probabile che l’intervista fosse stata rilasciata in esclusiva.
Nell’intervista R. M. rivela di avere presentato il caso Carige ai vertici di Cassa Centrale Banca (Ccb) nel gennaio 2019 e, avendo raccolto una loro manifestazione d’interesse, li ha messi in contatto con Banca d’Italia e Ubs. Poi rivendica la paternità, insieme ad alcuni collaboratori, di avere presentato Ccb, come partner per la fusione, a Carige. Riportiamo alcune affermazioni fatte per rispondere alle domande della giornalista.
- “Non avevo mandato né agivo per tornaconto. Cercavo semplicemente, da azionista, una soluzione per la banca. Siamo contenti che il progetto si sia poi sviluppato”.
- “Se il piano viene bloccato, la banca rischia la liquidazione, ma non credo che il sistema voglia pagare 8 – 9 miliardi per rimborsare i depositanti”.
- “E poi c’è il precedente delle banche venete, vendute a intesa per 1 euro. È un brutto precedente che mi auguro non si ripeta anche con Carige. In realtà, personalmente non riesco a immaginare che il piano di salvataggio venga bocciato”.
Precisiamo che sino all’autunno del 2019 nulla era ancora emerso sullo scandalo vaticano e sui rapporti di R. M. con altri attori che si erano mossi sul palcoscenico dei dissesti bancari e nello scandalo vaticano. Quindi, quell’intervista poteva anche essere ritenuta credibile. Quello che R. M. definiva un progetto i cui sviluppi lo lasciavano soddisfatto, sarebbe diventato ben noto agli azionisti di Banca Carige, più preparati: una ricapitalizzazione che li espropriava a favore di chi subentrava, valorizzando 55 milioni una banca con un patrimonio netto di circa 1.300 milioni, per fissare il prezzo di azioni di nuova emissione, in una ricapitalizzazione con esclusione quasi integrale del diritto d’opzione.
Ma se rileggiamo quell’intervista alla luce di cosa è successo poi: offerta Ccb di 1 euro per la banca, a condizione che fosse accompagnata da una dote di 500 milioni; poi emersione dei comportamenti degli attori coinvolti nelle operazioni bancarie, che sono stati evidenziati dall’inchiesta della procura vaticana, non possiamo fare a meno di porre alcune domande.
- Com’è possibile che, se le indagini su un’operazione finanziaria da 200 milioni, hanno fatto emergere i fatti che abbiamo solo parzialmente descritto in questo articolo, che nessuno abbia ritenuto di avviare altre indagini sugli scandali che hanno coinvolto tre banche, arrecando 6 miliardi di danni ai risparmiatori, considerando che sono stati coinvolti alcuni operatori indagati nello scandalo vaticano, a cui sono state mosse accuse molto gravi?
- Com’è possibile che istituzioni preposte ai controlli sui mercati (Bce, Banca d’Italia e Consob) possano avere accettato certi personaggi come interlocutori e ritenere le loro proposte così attendibili da giustificare l’autorizzazione di un aumento di capitale che espropriava gli azionisti che avevano già versato 2,2 miliardi aderendo ad altre tre ricapitalizzazioni? Se non bastasse: ricordiamo che il finanziare coinvolto nelle vicende vaticane, era stato citato da Bce nel provvedimento di commissariamento.
- Com’è possibile che, nonostante il fallimento della proposta fatta dagli interlocutori descritti, si ritenga valido quanto deliberato, senza alcun ripensamento e si voglia perseguire lo scopo di espropriare i vecchi azionisti, nonostante una proposta di soluzione a costo zero, che ripristinerebbe i diritti di chi aveva versato denaro nelle ricapitalizzazioni precedenti?
- Davvero ci si aspetta che la soluzione più giusta sia: fare finta di credere che tutto quanto accaduto nel caso di Banca Carige, sia stato proposto da angioletti innocenti che operavano nell’esclusivo interesse della banca?