BCE soccombe contro piccolo azionista Carige.
Emergono considerazioni che giustificano la diffidenza.
La sera del 29 giugno ha iniziato a circolare una notizia che ha disteso i lineamenti contratti degli azionisti di Banca Carige, dopo un’inesauribile sequenza di dolorose delusioni, protrattasi per 8 lunghissimi anni. La notizia non poteva generare alcun entusiasmo in chi era in disperata attesa che fossero riconosciuti i torti e i danni subiti, però, aveva certamente risollevato gli stati d’animo di chi si era speso, affinché i diritti dei risparmiatori fossero rispettati, generando ulteriori stimoli a non cedere al pessimismo.
La Corte di Giustizia Europea (Quarta Sezione) aveva emesso la sentenza relativa alla causa T‑501/19 ed era uscito un comunicato Ansa che annunciava la soccombenza della Banca Centrale Europea (Bce) contro una piccola azionista di Banca Carige, Francesca Corneli, difesa dall’Avvocato Fabio Ferraro, che aveva fatto ricorso contro la decisione di mantenere riservate le motivazioni per cui era stato deciso il commissariamento della banca ligure. Le precisazioni dell’agenzia evidenziavano che le conseguenze giuridiche di quella sentenza erano materia per studi legali di primo piano, e che quanto deliberato aveva un significato altamente simbolico.
Anche Il Sole 24 Ore Radiocor Plus aveva ritenuto che la notizia meritasse un commento. Il titolo dell’articolo era: Carige: piccola socia vince causa contro Bce su “censura” a documenti della banca -Il Tribunale Ue: Eurotower risarcisca spese legali. L’articolo proseguiva citando cosa era accaduto a inizio 2019 – Il Tribunale Ue ha dato torto alla Bce che negò l’accesso agli atti con i quali Carige venne messa in amministrazione straordinaria … Si citano i fatti che avevano portato alla decadenza del consiglio di amministrazione, dopo la mancata approvazione della proposta di aumento di capitale a dicembre 2018. Una piccola azionista aveva chiesto di conoscere le motivazioni per cui era stato deliberato il Commissariamento di Banca Carige, ottenendo un diniego dalla Bce, che con la sentenza sarà costretta ad annullare quella decisione.
Anche MF Dow Jones aveva ritenuto di dovere informare i suoi lettori. Il titolo dell’articolo era – B. Carige: piccola socia vince causa contro Bce, Tribunale Ue le dà ragione – Con parole diverse ripeteva quanto descritto dalle citazioni precedenti e poi aggiungeva un dettaglio che ci aveva incuriositi sino al punto di farci cercare la sentenza per leggerla. In questo caso si riportava anche il motivo per cui la Bce aveva negato a Francesca Corneli l’accesso alle informazioni per cui era stato deliberato il commissariamento: … Accesso che, in definitiva, venne negato dalla Bce in nome della tutela della riservatezza delle informazioni nel contesto della vigilanza prudenziale.
Il primo ragionamento che si era affacciato nell’evoluzione dei nostri pensieri era stato: “Ci mancherebbe anche che i funzionari che effettuano i controlli di vigilanza prudenziale, fossero liberi di diffondere le informazioni raccolte sulle società quotate, mentre esercitano la funzione di controllori, senza sottostare a vincoli di riservatezza”! La piccola azionista, però, non aveva chiesto di conoscere informazioni riservate, ma la motivazione per cui fosse stata messa in amministrazione straordinaria, con conseguente sospensione dalla negoziazione titoli, la banca in cui aveva investito i propri risparmi. La conoscenza di quell’informazione non poteva essere inibita da alcun vincolo di riservatezza, ma, a nostro avviso, doveva essere fornita con estrema chiarezza a tutti gi azionisti, che, in quanto tali, avevano il diritto di sapere cosa si nascondesse nei bilanci di Carige. I sospetti nascevano dal fatto che un commissariamento non potesse essere deciso per cause da tenere nascoste al mercato.
Giunti a questa conclusione, le nostre considerazioni hanno avuto una seconda evoluzione, perché non era la prima volta che agli azionisti di Banca Carige veniva negata una legittima informazione. Infatti, il 22 dicembre del 2018, l’azionista di maggioranza relativa aveva richiesto un piano industriale credibile e sostenibile, prima di approvare un aumento di capitale per cui era stata convocata quell’assemblea. La richiesta, anche in questo caso, non era un capriccio, bensì l’assunzione di un’iniziativa nell’interesse di tutti gli azionisti, in considerazione che quell’aumento sarebbe stato il quarto in pochissimi anni. Gli organi sociali avevano preferito non soddisfare quella normalissima richiesta. Pur di non farlo, si sono dimessi creando le condizioni per deliberare il Commissariamento di Banca Carige. Anche in quell’occasione ci eravamo chiesti quale fosse lo scopo di quella decisione estrema. Scoprimmo poi che lo sbocco sarebbe stata una ricapitalizzazione con negazione quasi integrale del diritto d’opzione.
Forse leggendo la sentenza avremmo potuto trovare risposte ad alcuni dei dubbi che ci angustiavano da quell’ormai lontano 2018, impedendoci di operare con la consueta fiducia sul mercato azionario italiano. Dalla sentenza estraiamo alcuni passaggi che possono aiutare a capire, omettendo articoli e sentenze citati. – La Bce aveva ritenuto che le norme che imponevano il segreto professionale alle autorità e ai dipendenti coinvolti nella vigilanza prudenziale potessero essere considerate un divieto di diffusione informazioni perché: il segreto professionale vieta, in linea di principio, a tali autorità di divulgare le informazioni riservate da esse ricevute, se non in forma sommaria o aggrega. – Chiaro che si trattava di un’interpretazione soggettiva, che se fosse passata in giudicato, avrebbe attribuito alla Bce e ai suoi funzionari una discrezionalità praticamente illimitata. Le motivazioni del diniego, quindi, andavano attribuite all’interpretazione che la Bce dava al vincolo di riservatezza.
Al punto 97 della sentenza si legge – L’applicazione di una presunzione generale di riservatezza… si fonda sul fatto che, secondo una giurisprudenza costante, l’applicazione di una presunzione di natura siffatta non poteva escludere la possibilità di dimostrare che un dato documento di cui viene chiesta la divulgazione non rientra nella detta presunzione. – Qui riteniamo di dovere introdurre un concetto imprescindibile: l’obbligo di informare il mercato, non può essere messo in subordine ad un generico vincolo di riservatezza.
Al punto 133 della sentenza si legge – Orbene, nessuno dei suddetti argomenti addotti dalla BCE nel controricorso o in udienza è stato invocato nella decisione impugnata. La motivazione di tale decisione è formulata in modo troppo generico per poter essere validamente integrata in corso di causa. Essa non spiega in modo sufficientemente concreto e preciso come l’accesso al documento richiesto possa arrecare concretamente ed effettivamente un pregiudizio agli interessi tutelati riconducibile alla divulgazione della decisione controversa …–
Al punto 135 della sentenza si legge – Quanto agli argomenti della BCE ricordati nel terzo trattino del precedente punto 131, è pur vero che essi forniscono spiegazioni sul tipo di informazioni la cui divulgazione avrebbe potuto, secondo la BCE, essere problematica e sull’utilità di mantenere la riservatezza delle stesse. Tuttavia, tali informazioni riguardavano una banca quotata in borsa che era, di conseguenza, soggetta a obblighi di pubblicità relativi alla sua posizione sul mercato. Orbene, dal fascicolo risulta che, prima della decisione impugnata, Banca Carige aveva già reso pubbliche informazioni sulle sue difficoltà e sulla vigilanza prudenziale a cui era sottoposta da parte della BCE. Questo è il punto cruciale: la trasparenza delle informazioni da diffondere al mercato, non può omettere le motivazioni per cui si è deliberato il commissariamento di una società quotata. Esprimiamo tutta il nostro apprezzamento per una decisione che ha saputo cogliere l’incoerenza e sanzionare una giustificazione che non poteva essere accettata. Ovvio auspicare che questa sentenza faccia giurisprudenza e impedisca il ripetersi di quanto accaduto agli azionisti di Banca Carige.
L’oggetto di questa sentenza faceva riferimento ad un argomento specifico, ma la presunzione generica di riservatezza a giustificazione del non potere comunicare alcune informazioni al mercato, era nel Dna dei funzionari della vigilanza Bce, sino al punto di indurli ad opporsi con determinazione alle argomentazioni con cui l’Avvocato Fabio Ferraro aveva sostenuto la legittimità della richiesta di Francesca Corneli. Erano talmente convinti delle proprie ragioni da opporsi con determinazione alla sostenibilità del ricorso in giudizio della controparte.
Ci sembra, quindi, lecito analizzare le decisioni che la Vigilanza Bce aveva assunto nei confronti di Banca Carige, per capire se anche in altre occasioni gli azionisti della Banca genovese erano stati danneggiati dalla stessa presunzione generica di riservatezza. La Vigilanza unica europea ha iniziato a vigilare sul sistema bancario il 14 novembre 2014, dopo 28 mesi di preparazione in cui aveva fatto gli stress test che avevano evidenziato le banche con maggior necessità di iniezioni di liquidità. Cerchiamo di riassumere cosa era accaduto agli azionisti di Carige.
- Nella seconda metà di giugno 2014, su imposizione di Banca d’Italia, anche se la Bce stava facendo tutti i controlli necessari all’implementazione della propria vigilanza prudenziale, gli azionisti di Banca Carige avevano sottoscritto un aumento di capitale da 800 milioni, con diritto di opzione, credendo alle ottimistiche dichiarazioni del Ad Piero Montani, rilasciate in un’intervista a Reuters, del 14 maggio 2014 – Per quanto riguarda gli AQR delle Bce, Montani ha ribadito di avere superato “abbastanza agevolmente”, la fase preparatoria anche se la fase più impegnativa è iniziata da qualche settimana. Il banchiere rimane comunque “molto confidente di aver fatto bene i compiti a casa” per quanto riguarda l’analisi e la classificazione del portafoglio crediti. “Poi, se ci saranno differenze saranno fisiologiche” e in ogni caso “minimali”, conclude-.
- Meno di un anno dopo, 8 giugno 2015 nuovo aumento di capitale, questa volta da 850 milioni. Gli obbiettivi dichiarati dal Ceo Montani, per giustificare quell’aumento, erano confermati poche settimane dopo la sua conclusione. Infatti il 22 luglio 2015 Il Sole 24 Ore pubblicava l’articolo dal titolo – Carige cerca un consulente per il risiko delle alleanze – che si chiudeva con: “D’altro canto, uno degli obiettivi che l’ad si era posto, con l’aumento di capitale e la cessione di asset, era quello di raggiungere un Cet1 ratio intorno al 12,7%. Destinato, è vero, a calare un po’ dal 2017, per alcune minusvalenze, ma per restare comunque circa al 12%. Un valore che consentirebbe alla banca di sedere al tavolo delle trattative per un’aggregazione mantenendo una posizione di forza”.
- Il 28 settembre 2017, era stata convocata l’assemblea degli azionisti di Banca Carige per approvare un rafforzamento patrimoniale da oltre un miliardo, come rilevabile dal comunicato diffuso dal sito ufficiale di Borsa italiana: Via libera dell’assemblea degli azionisti di Banca Carige all’aumento di capitale fino a 560 milioni proposto dal Consiglio di Amministrazione. Tale operazione, insieme a una operazione di conversione di bond e alla cessione di asset, dovrà portare a un rafforzamento patrimoniale complessivo di oltre un miliardo per rientrare nei parametri indicati dalla Banca Centrale Europea. Erano passati meno di 16 mesi dalle rassicuranti dichiarazioni di Montani ed ora la Bce imponeva il terzo rafforzamento patrimoniale. Il 6 dicembre l’aumento di capitale si è chiuso con un considerevole inoptato, che sarebbe stato coperto in parte da Malacalza Investimenti e la quota restante dal consorzio di garanzia. A conferma di quanto dichiarato dal nuovo Ceo Paolo Fiorentino al mercato nel settembre 2017, il 17 maggio 2018 Repubblica pubblicava un articolo da cui estraiamo l’introduzione – Carige archivia 5 anni di perdite: torna l’utile nel trimestre – Il primo periodo del 2018 si chiude con un risultato netto di 6,4 milioni che porta la stima per l’intero 2018 a 28,8 milioni. Fiorentino: “Abbiamo rivitalizzato la banca”.
- Meno di 5 mesi dopo, il 12 ottobre 2018, Repubblica scriveva – Carige, il cda apre alle aggregazioni: rimbalza in Borsa – Nel board è stato deciso che entro fine anno arriverà un piano di azione che garantisca il rispetto dei parametri di ‘overall capital requirement’ e la volontà di esplorare possibili aggregazioni -. Il seguito è noto: Fondo interbancario tutela depositi sottoscriverà un prestito obbligazionario per soddisfare i nuovi requisiti imposti da Bce, il Cda proporrà un nuovo aumento di capitale da 400 milioni; in mancanza di un piano industriale il socio di maggioranza relativa, Malacalza Investimenti, si asterrà dal voto, facendo mancare il quorum per l’approvazione dell’aumento di capitale. La banca sarà commissariata, sarà proposto un aumento di capitale da 700 milioni con esclusione quasi integrale del diritto d’opzione, che di fatto esproprierà gli azionisti che avevano versato 2.210 milioni di liquidità nelle prime tre ricapitalizzazioni. L’inoptato nel terzo aumento, era attribuibile alla riduzione dei risparmi utilizzabili per investimenti finanziari dagli azionisti.
Abbiamo voluto ripercorrere l’accidentato percorso degli azionisti di Banca Carige, perché alla luce delle motivazioni addotte dalla Bce per giustificare il suo diniego alla richiesta di Francesca Corneli, i fatti descritti potrebbero assumere significati che sino ad ora nessuno ha preso in considerazione.
Abbiamo assistito a quattro richieste di aumenti di capitale, le prime tre delle quali con valori crescenti e con diritto di opzione, e l’ultima con il valore più basso ed esclusione quasi integrale del diritto d’opzione. Poco tempo dopo la chiusura del primo aumento di capitale la Bce aveva detto che ne serviva un secondo, poi un terzo e infine un quarto, perché imponeva requisiti di capitale più rigidi o pretendeva la cessione di crediti deteriorati che provocavano perdite. Col senno di poi appare scontato che sin dall’inizio doveva essere noto che, per il risanamento definitivo di Banca Carige, serviva un aumento di capitale ben più consistente, e allora, perché non comunicarlo immediatamente al mercato, permettendo ai risparmiatori di calcolare quanto investire e quanti diritti vendere?
Ciò che appariva incomprensibile prima, dopo la lettura della sentenza T‑501/19, trova una spiegazione possibile nel fatto che i funzionari preposti alla Vigilanza prudenziale, potessero ritenere che, il comunicare subito il fabbisogno di capitale di Carige, avrebbe potuto danneggiare la banca sorvegliata e, secondo la loro interpretazione del vincolo di riservatezza, non potevano comunicarlo al mercato. I risparmiatori, fuorviati dalle descrizioni degli amministratori, si avvicinavano a Carige convinti di cogliere un bel fiore e, invece, erano condannati a scoprire quanto fosse stato doloroso averlo colto.