Abbiamo iniziato il mese di marzo con il proposito di sollevare la coltre di nebbia che era stata fatta calare sul percorso che aveva portato gli azionisti di Banca Carige dal ruolo di più ostinati salvatori della banca del territorio, a quello di espropriati mediante la negazione, quasi integrale, del diritto d’opzione. Prima, avevano versato 2,2 miliardi in tre aumenti di capitale deliberati nel, 2014, 2015 e 2017, in cui quel diritto era stato rispettato, poi, quando la banca aveva superato il punto critico, era stato negato. A fine mese, consci di avere provato a diffondere fatti che avrebbero dovuto rendere palese a chiunque le ragioni del loro malcontento, con un’indagine retrospettiva, abbiamo dovuto constatare che il buio su quanto era accaduto loro, era rimasto inalterato.
Il 2 marzo su Repubblica, firmato da Massimo Minella, abbiamo notato un articolo che analizzava alcuni aspetti relativi al processo di aggregazione tra Banca Carige e la Banca popolare dell’Emilia Romagna (Bper)- Carige, presidenza genovese e pace con i Malacalza: la strategia di Montani– sottotitolo – I retroscena del ritorno dell’ad che guidò la banca fra il 2013 e il 2016. L’introduzione, molto conciliante era – Il passato è passato. E il mondo cambia. Due luoghi comuni dietro cui potrebbero celarsi mosse interessanti in casa Bper, la banca emiliana che si prepara a inghiottire Carige. -Nei passaggi successivi si elogiano i consistenti progressi di Carige e la complementarietà tra i due istituti di credito, privi di sovrapposizioni che avrebbero costretto a sacrificare posti di lavoro. Una descrizione che lascerebbe pochi dubbi, parafrasando una frase molto nota la conclusione potrebbe essere: “Quel matrimonio s’ha da fare”.
Peccato che in quel passato che viene lasciato sfumare sullo sfondo di due luoghi comuni, il secondo dei quali è un’incitazione ad andare avanti, mentre il primo riporta alla memoria il ritornello di una nota canzone dialettale, conosciuta in tutto il paese per l’arguta capacità di sintetizzare la napoletanità: “Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto… chi ha rato, ha rato, ha rato… Scurdámmoce ‘o ppassato, simmo ‘e Napule paisá!”! Sì, peccato, perché il passato che si preferisce lasciare indefinito, è traboccante della sofferenza di decine di migliaia di famiglie, che hanno visto dissolvere i loro risparmi, versati con generosità a copertura del 100 percento sul diritto d’opzione dei primi due aumenti di capitale, e solo al 61 percento per il terzo, perché i soldi per poterlo esercitare erano finiti. Ma se ce ne fossero stati ancora a sufficienza, nel quarto sarebbero stati espropriati anche quelli. Se i fatti sono incontrovertibilmente dolorosi, provate ad immaginare gli stati d’animo che sono generati da certe frasi e il silenzio sul percorso che ha angustiato chi aveva concesso la propria fiducia ad una finanza che avrebbe dovuto rispettare i diritti definiti nella Costituzione.
Riportiamo la considerazione finale di quell’articolo – … come si diceva all’inizio, il passato è passato e il mondo cambia. E allora: può Bper entrare a Genova senza prima aver chiuso definitivamente ogni questione ancora aperta con la famiglia Malacalza? Può sapendo che è stato proprio grazie ai Malacalza e alle loro continue iniezioni di liquidità che la banca si è salvata dal crac? – Evitiamo di citare i commenti ricevuti dai nostri contatti, perché, per riportare la loro rabbia, dovremmo ricorrere ad una caduta di stile che preferiamo evitare; però vogliamo esprimere loro la nostra più totale condivisione con tutto ciò che ci hanno detto, e che, in estrema sintesi, potrebbe essere racchiuso in: “noi abbiamo versato più del triplo di quanto abbia investito Malacalza. Perché nessuno parla più di noi”?
Il 3 marzo stessa testata e stesso autore abbiamo notato un nuovo intervento – Genova. clienti, portafogli e relazioni quel tesoretto da 52 miliardi che passa da Carige a Bper. – in cui si descrivono minuziosamente i dettagli dell’operazione di fusione tra Bper e Carige. Il titolo esprime un valore numerico che è la somma di quelli di dettaglio descritti nell’analisi e che riteniamo superfluo riportare perché Minella ha evidenziato un ordine di grandezza particolarmente significativo, se confrontato con il valore di 1 euro attribuito alla banca. C’è però un’affermazione che vogliamo riportare, perché particolarmente in sintonia con ciò che diciamo da anni e che dovrebbe fare da cassa di risonanza alle nostre considerazioni sull’articolo del giorno precedente. La riportiamo nella versione originale –In Liguria, in particolare, Carige detiene la leadership di mercato, con una quota di sportelli del 23,4%. Clienti come base da cui ripartire, insieme ai dipendenti (3.600) e al popolo dei piccoli azionisti, che non hanno mai fatto mancare il proprio sostegno, un aumento di capitale dopo l’altro.
Ci avrebbe fatto piacere leggere l’ultima frase nell’articolo precedente, quando si parlava di chi aveva salvato la banca con iniezioni di liquidità a raffica. Noi abbiamo il massimo rispetto per l’impegno della famiglia Malacalza nella banca genovese, ma non possiamo pensare che il riconoscimento del loro contributo, sia disgiunto da quello degli altri piccoli azionisti, che rappresenta importi ben maggiori. Se qualcuno nutre dubbi sull’ultima affermazione, la conseguenza logica sarebbe: che ritiene normale non riconoscere gli stessi diritti riservati alla liquidità versata dai grandi azionisti, anche a quella erogata dai piccoli. Probabilmente perché è consapevole che solo alcuni di loro hanno il potere economico per riuscire a tutelarsi in giudizio e allora, Chi ha dato, ha dato, ha dato …
Ci asteniamo dal citare le dichiarazioni pubbliche rilasciate nel corso dell’incontro tra il Presidente della regione Liguria Giovanni Toti e del sindaco di Genova Marco Bucci, con Flavia Mazzarella e Piero Luigi Montani, rispettivamente Presidente e Ad di Bper. Lo abbiamo fatto perché non ritenevamo di alcuna utilità dare evidenza ad incontri con dichiarazioni ufficiali di circostanza, senza alcun palese interesse ad approfondire i fatti, nonostante le reiterate denunce fatte dagli azionisti. Se lo avessimo fatto, i commenti sarebbero stati gli stessi esposti negli articoli che abbiamo citato e, quindi, ancora una volta avremmo dovuto accomunare nella nostra revisione critica dei fatti, la totale indifferenza di politici e media locali, alle denunce inoltrate dai piccoli azionisti. Come avrete capito, anche loro in perfetta sintonia con lo spirito del noto ritornello.
Francesco Guido, Ceo di Banca Carige, in un’intervista rilasciata ad Affari & Finanza di Repubblica, fa alcune dichiarazioni che vale la pena evidenziare. Riferendosi alla fusione con Bper Banca dice che non è un salvataggio, ma un’evoluzione di Carige che darà risultati importanti. Poi aggiunge che Carige non è uscita dall’ospedale, perché se fosse stata in quelle condizioni, non avrebbe potuto correre come ha fatto da quando è sotto la sua responsabilità. Afferma che il contributo del fondo serve per coprire i costi di fusione, non per risanare la banca. Poi si dilunga in altri dettagli per citare la positiva fiducia concessa dal territorio, dai clienti e dai correntisti, per giungere alla conclusione che la banca si è salvata da sola, senza l’aiuto di nessuno. Riteniamo di avere il diritto di aggiungere due piccolissime considerazioni alle sue dichiarazioni.
- La banca è stata salvata dagli azionisti che, per la vergogna di dovere esporre cosa sia stato imposto loro, nessuno ha il coraggio di citare. Infatti, credendo alle dichiarazioni dei suoi predecessori, hanno versato 2,2 miliardi di liquidità, prima di essere espropriati.
- Che Carige valesse molto più del valore utilizzato per fissare il prezzo di emissione nuove azioni nell’ultimo aumento di capitale, gli azionisti lo sapevano benissimo ed è per questa motivazione che si sono indignati per non avere potuto difendere la quota di possesso azionario nella quarta ricapitalizzazione.
A supporto delle considerazioni fatte sopra, abbiamo finalmente apprezzato l’apertura di un articolo pubblicato il 24 marzo 2022 da Il Secolo XIX, firmato da Gilda Ferrari. Il titolo era – Maxi-causa Carige, Malacalza ci riprova: “Esproprio illegittimo della banca”– sottotitolo –Scatta il ricorso in Appello dopo che la richiesta di risarcimento danni da 500 milioni era stata respinta dal Tribunale di Genova – nell’introduzione si riporta la tesi sostenuta nell’atto di citazione presentato da Malacalza Investimenti nel gennaio 2020 – Tutti i vecchi azionisti di Carige, «per l’effetto combinato dell’esclusione del diritto d’opzione e dell’esasperata diluizione della loro partecipazione conseguente all’esiguità del prezzo di emissione delle azioni» dell’aumento di capitale da 700 milioni che a fine 2019 ha condotto la banca fuori dal commissariamento di Bce, sono stati «sostanzialmente espropriati della ricchezza insita nelle loro partecipazioni ad esclusivo vantaggio dei beneficiari dell’aumento di capitale: Fondo Interbancario per la tutela dei depositi, Schema Volontario e Cassa Centrale Banca».
È un’opinione di parte, sostenuta da fatti ben precisi, e saranno i giudici ad esprimere un giudizio definitivo sull’accaduto. Per noi che lo stiamo denunciando sin dall’inizio del 2019, il costatare che un quotidiano trascrive con chiarezza una frase in cui si attesta che se un diritto degli azionisti è stato violato, lo è stato per tutti e lo evidenzia senza filtri, è una vera novità, che apprezziamo anche se non ha fatto alcun riferimento specifico ai piccoli azionisti. Infatti, nemmeno l’articolo 47 della costituzione fa alcuna distinzione sui diritti di tutela fra chi ha investito importi elevati o piccoli, in titoli delle società quotate.
Torniamo a Repubblica, citando un articolo di Francesco Guerrera del 26 marzo. Non parla di Carige, ma scrive un commento molto condivisibile sulla finanza. La convinzione che la finanza debba essere riformata profondamente, ci permette una piena condivisione con quanto dice. Il titolo è – Se la finanza volta pagina– sottotitolo –Il risiko del capitalismo italiano. Introduce il tema con un’analogia con gli studenti italiani, poi entra in argomento – … ma per il capitalismo italiano, la stagione degli esami sta per iniziare. La coincidenza di una serie di grandi partite – tra cui lo scontro su Generali e Mediobanca, la strategia di UniCredit e il futuro di colossi quasi-statali come Tim e Ita – offre alla finanza nostrana un’occasione imperdibile. Noi allungheremmo la lista con la necessità di incentivare le aggregazioni bancarie, senza prevaricare i diritti dei risparmiatori che per anni hanno investito in un sistema in cui i controllori non hanno visto nulla e non hanno preso provvedimenti, nonostante il degrado che lo avrebbe fatto scivolare in una crisi irreversibile.
Nelle righe successive troviamo – Possiamo, forse, voltare pagina, far dimenticare le trame precedenti (quelle che avevano come protagonisti i patti di sindacato, i faccendieri e gli imprenditori di “A Fra’, che te serve?”, tanto per capirci) e scrivere un nuovo capitolo di cui essere fieri. Siamo grati a Guerrera per questa sintetica, ma molto realistica descrizione, alla quale ci accomuna anche una profonda convinzione, oltre che la nostra storia. Ricordiamo il messaggio scambiato tra due di quei faccendieri da lui citati, uno dei quali si era vantato di avere presentato ai Commissari il cavaliere bianco che avrebbe dovuto salvare Banca Carige: Cassa centrale banca – «Oh sui numeri gli abbiamo fatto un abracadabra che dopo tre gg ancora si raccapezza». Quel messaggio faceva riferimento alla presunta truffa del palazzo di Londra, venduto al Vaticano, i cui profitti, è stato scritto, furono utilizzati per tentare la scalata a Banca Carige
Quel cavaliere bianco, che per noi non è mai stato tale, anche se aveva ricevuto il benestare di tutti, ma non ancora l’autorizzazione della Bce, si è sfilato e a pagare sono stati solo gli azionisti storici di Banca Carige. Ecco perché anche il passaggio successivo ci vede in sintonia con la parte introduttiva descritta dal Vicedirettore di Repubblica, anche se, con molta umiltà, proponiamo una soluzione diversa – Come al solito, nei salotti, anticamere e grattacieli del denaro italiano nessuno può scagliare la prima pietra e gli scheletri negli armadi abbondano. Ma è abbastanza rassicurante vedere che, al di là delle personalità in conflitto, la disputa su Generali è anche un confronto su diverse filosofie di governance- ovvero come si debba governare un’azienda. –
Noi non abbiamo scheletri negli armadi, e, perciò, possiamo scagliare la prima pietra. Lo stiamo facendo da anni. Non vogliamo essere considerati presupponenti, per cui ci limitiamo ad esporre il nostro punto di vista trasformato in poche domande:
- Siamo certi che la soluzione per cambiare il sistema finanziario, non passi per l’eliminazione dei faccendieri, anziché insistere nella ricerca di nuovi modelli di gestione?
- Siamo certi che la soluzione migliore, con prospettive di lungo periodo, non possa essere quella di proteggere il risparmio con regole chiare e pene severe per chi le trasgredisce, accompagnate dalla diffusione capillare di cultura finanziaria, allo scopo di puntare sul modello dellapublic company?
- Siamo certi che una classe di azionisti consapevoli, che si siano costituiti come categoria, in presenza di una rappresentanza democraticamente eletta, non possa contrastare gli abusi meglio di quanto accaduto sino ad ora?
- Siamo certi che piccoli azionisti fiduciosi in un sistema che li tuteli non possano dare un valido contributo allo sviluppo economico del paese?
- O forse dovremmo pensare che lo facciano meglio i faccendieri, che si appropriano dei risparmi, e per non fare scoprire gli scheletri negli armadi, li riciclano all’estero?
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