Sabato 17 settembre 2022, Il Secolo XI aveva dedicato un’intera pagina all’addio di Banca Carige alla borsa italiana. L’articolo firmato da Gilda Ferrari era intitolato – Carige, la fine di una storia di Borsa. Martedì l’uscita da Piazza Affari -. Una sintesi ricca di dettagli, molti dei quali apprezzabili e condivisibili, che ci fa piacere citare:
- Sono passati quasi 28 anni da quando, il 17 gennaio del 1995, Carige debuttò alla Borsa di Milano, prima fra tutte le casse di risparmio italiane … il prezzo di collocamento fu di 11.000 lire, ovvero 5,681 euro.
- … al collocamento, Carige capitalizzava 434,60 milioni di euro. Oggi, dopo quasi 4 miliardi di euro di ricapitalizzazioni realizzate negli ultimi otto anni, in Borsa la banca capitalizza 608,58 milioni di euro … All’inizio del 2013, quando della crisi generata dal padre-padrone Giovanni Berneschi ancora non vi erano neppure le avvisaglie, la Cassa di Risparmio in Borsa valeva circa 2 miliardi di euro, a fronte di una valorizzazione di 11 euro per azione.
- Ai tempi d’oro il libro soci è arrivato a contare oltre 55 mila azionisti, fuggiti poi per necessità, sfiducia o disperazione. Mai una banca è stata tanto sostenuta da cassettisti che hanno sopportato il peso dei tanti aumenti di capitale senza fare venire meno il sostegno dell’adesione.
Apprezziamo senza riserve tutti i punti riportati, e siamo grati alla giornalista per avere descritto con professionalità i fatti salienti del lungo e travagliato percorso subito dai risparmiatori che avevano sostenuto la quotazione della banca del loro territorio.
Il caso ha voluto che il giorno precedente, sempre Il Secolo XIX, autore Matteo Indice, pubblicasse un altro articolo, questa volta nella sezione cronache, dal titolo: – “Centinaia di risparmiatori ingannati”. E il PM chiede tre anni per Berneschi. La richiesta del PM fa riferimento proprio ai fatti emersi nel 2013, che avrebbero stupito prima, e gettato nello sconforto poi, gli oltre 55.000 azionisti che avevano investito i propri risparmi nella banca che, per oltre cinque secoli, aveva dato il proprio contributo all’economia ligure, ricavandone profitti che erano distribuiti agli azionisti e, attraverso la Fondazione, in parte reinvestiti sul territorio in attività di pubblica utilità.
Il culmine dell’illusorio castello di dichiarazioni, gli azionisti l’avevano vissuto con il comunicato stampa rilasciato dal Cda di banca Carige il 25 febbraio 2013, in cui si preannunciava la proposta di un dividendo. Secondo i magistrati era un tentativo di abbagliare il mercato, per evitare di fare un aumento di capitale. I giudici si esprimeranno al termine di un processo di primo grado, che avrà poche probabilità di giungere alla chiusura in Cassazione, a causa del poco tempo rimasto a disposizione per il traguardo del terzo grado di giudizio.
I fatti che si sono succeduti a quel comunicato sonno stati vissuti con crescente stupore, disappunto e sconforto dai risparmiatori, che hanno poi capito che la mancanza di trasparenza di quel consiglio di amministrazione, non fosse certamente un’eccezione, ma probabilmente la regola, in un mercato finanziario in cui quasi nessuna denuncia dei risparmiatori viene presa in considerazione. La prova più lampante sul realismo di questa affermazione, è la lunga sequenza di esposti che abbiamo fatto da maggio 2018 sul caso Carige e la serie di ottimistiche dichiarazioni e comunicati che hanno portato alla conclusione del suo percorso di società quotata.
Banca d’Italia non permise la distribuzione del dividendo promesso, e dopo la decadenza del Cda presieduto da Berneschi, Piero Montani propose due ricapitalizzazioni, la prima delle quali da 800 milioni. Credendo alle ottimistiche dichiarazioni di Montani, gli azionisti si resero disponibili a sostenere l’uscita dalla crisi di Carige. La prima fu rilasciata a Reuters il 14 maggio 2014, dove si leggeva – Per quanto riguarda gli AQR della Bce, Montani ha ribadito di avere superato “abbastanza agevolmente”, la fase preparatoria anche se la fase più impegnativa è iniziata da qualche settimana. Il banchiere rimane comunque “molto confidente di aver fatto bene i compiti a casa” per quanto riguarda l’analisi e la classificazione del portafoglio crediti. “Poi, se ci saranno differenze saranno fisiologiche” e in ogni caso “minimali”, conclude-.
8 giugno 2015, nuovo aumento da 850 milioni. Per giustificare il quale, Montani aveva ritenuto di confermare gli obbiettivi dichiarati. Lo fece poche settimane dopo la sua conclusione. Il 22 luglio 2015 Il Sole 24 Ore pubblicava l’articolo dal titolo – Carige cerca un consulente per il risiko delle alleanze – che si chiudeva con: – D’altro canto, uno degli obiettivi che l’ad si era posto, con l’aumento di capitale e la cessione di asset, era quello di raggiungere un Cet1 ratio intorno al 12,7%. Destinato, è vero, a calare un po’ dal 2017, per alcune minusvalenze, ma per restare comunque circa al 12%. Un valore che consentirebbe alla banca di sedere al tavolo delle trattative per un’aggregazione mantenendo una posizione di forza –.
Poi il timone della Banca Carige fu affidato a Paolo Fiorentino, il quale dichiarò il ritorno all’utile della banca ligure nel 2018, per dare più possibilità di successo alla proposta di un aumento di capitale di importo maggiore dei due che lo avevano preceduto. Il primo trimestre fu chiuso in utile e le proiezioni per fine anno furono presentate con un utile in proporzione a quello dichiarato nei tre mesi. I componenti del Cda si dimisero progressivamente, il primo fu il Presidente, il compianto Prof. Giuseppe Tesauro, che motivò le dimissioni con il rapporto esclusivo tra la Bce e l’Ad; emarginazione che gli impediva di svolgere il proprio ruolo. Seguirono le dimissioni progressive di altri consiglieri, sino al punto che fu necessario eleggere un nuovo consiglio d’amministrazione.
Nel frattempo erano stati presentati i conti del primo semestre, chiuso in rosso. Anche se non ancora comunicato agli altri consiglieri, il Presidente Pietro Modiano stava cercando nuovi investitori per un quarto aumento di capitale. Fu presentato agli azionisti a fine 2018, ma non ottenne il via libera, perché presentato senza un piano industriale credibile e sostenibile. La banca fu commissariata e i titoli sospesi dalla negoziazione.
Ad un’interrogazione di Consob, i Commissari risposero che non erano in grado di affermare se la semestrale di Fiorentino fosse stata prodotta adottando i principi contabili richiesti da Bce. Poi validarono un nuovo aumento di capitale, questa volta con esclusione del diritto d’opzione quasi integrale, che di fatto espropriava i vecchi azionisti. Come da noi più volte pronosticato, la banca che avrebbe dovuto acquisire Carige, all’ultimo momento si era defilata e, quindi, è arrivata l’offerta di Bper. La quale stranamente, ha dimostrato sin dall’inizio di non volere avere nulla a che fare con gli azionisti che avevano investito risparmi per permettere la sopravvivenza della banca ligure.
Per permettere agli azionisti di mantenere la possibilità di recuperare le enormi minusvalenze, senza limiti di tempo, abbiamo iniziato a denunciare a Consob tutte le situazioni che ritenevamo fossero state create ad arte per condizionare le scelte degli azionisti. Alla fine abbiamo presentato cinque esposti a Consob, e anche ad altro destinatario che riteniamo corretto non citare, ma fino ad oggi non ci risulta alcun intervento che possa porre rimedio a ciò che avevamo denunciato. Per dare una dimostrazione documentata su una piccola parte di ciò che abbiamo denunciato, riportiamo due passaggi estratti da documenti ufficiali. I quali dovrebbero indurre tutti a riflessioni molto approfondite sulla trasparenza con cui sono stati informati gli azionisti di Banca Carige sin da prima del 2013.
- Nella parte conclusiva del comunicato emesso da Bper, pubblicato sul sito ufficiale di Borsa Italiana il 3 agosto e ampiamente ripreso dai media, si leggeva: “Anche nel caso in cui, ad esito del periodo di sell-out, non venisse raggiunto il 95% del capitale ordinario, Borsa Italiana disporrà il delisting delle azioni Carige” -” Gli azionisti dell’emittente che non avranno ceduto le proprie azioni ordinarie residue nell’ambito della procedura per l’adempimento dell’obbligo di acquisto ex articolo 108, comma 2, del Tuf, diverranno titolari di azioni non quotate in alcun mercato regolamentato con conseguenti difficoltà di liquidare in futuroil proprio investimento“.
- Un passaggio estratto dalla Comunicazione n. 0183968 del 1 giugno 2018 emessa dalla Consob, dice: In proposito, va considerato che, in base a quest’ultima disposizione, chiunque giunga a detenere una partecipazione superiore al 90% del capitale rappresentato da titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, se non ripristina entro novanta giorni un flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni del titolo, ha l’obbligo di acquistare i restanti titoli da chi ne faccia richiesta.
- Nel comunicato stampa (1) non è stato fatto alcun cenno sull’intenzione, più volte dichiarata da Bper, di volere fare la fusone entro l’anno. La logica conseguenza sarebbe che, prima di avviare la fusione, Bper dovrà togliere tutte le azioni ordinarie di Banca Carige dal mercato, acquistandole o convertendole in azioni Bper. Prova ne è, che l’offerente sarebbe stata costretta a comunicare il concambio di 25 azioni Carige in 9 titoli Bper.
Il passaggio riportato al punto 1, teso a spaventare gli azionisti di Banca Carige inducendoli a consegnare le azioni possedute, non aveva alcuna ragione di essere inserito, perché era una precisazione quantomeno equivoca, e semmai da citare come informazione relativa alle sole azioni di risparmio, perché quanto riportato ai punti 2 e 3, documenta che non poteva avere alcuna attinenza con la tutela di chi possedeva azioni ordinarie e quindi, risulta evidente lo scopo di suscitare una falsa percezione dell’operazione, per indurli a consegnare i titoli in Opa o a venderli.
Ci fermiamo qua. Negli esposti abbiamo scritto molto di più e potranno essere oggetto di ulteriori approfondimenti se nessuno intervenisse. In questa fase ci eravamo posti solo lo scopo di mettere in relazione ciò che era stato comunicato, con ciò che non era stato evidenziato, per dimostrare la concretezza dei nostri esposti, se considerati alla luce di documenti e dichiarazioni ufficiali, perché nessuno possa dire che non fosse il caso di intervenire per informare i risparmiatori, mettendoli nella condizione di operare la miglior scelta possibile per loro.
È difficile per gli azionisti credere ancora nella corretta diffusione di informazioni al mercato, dopo quello che hanno subito credendo alla lunga sequenza di dichiarazioni rilasciate dagli amministratori, sempre smentite dai fatti, mai punite dalle autorità competenti
La fotografia che accompagna questo articolo necessita di una breve spiegazione. È stata scattata pochi metri dopo la sorgente. È il Danubio e dovrà percorrere 2.900 chilometri prima di giungere al mare. Niente potrà impedire all’acqua di compiere il suo percorso e nessuno riuscirà a fermarla, aggirerà o travolgerà gli ostacoli, riempirà invasi o dighe. In origine erano solo gocce d’acqua destinate ad evaporare, si sono organizzate in rivoli, per sfuggire ad una sorte che sembrava inevitabile, poi in torrente, infine in un inarrestabile fiume. Il messaggio che vorremmo mandare è il consueto, i singoli risparmiatori sono come gocce d’acqua, noi abbiamo provato ad aggregarci e siamo dei rivoli, quello che abbiamo descritto dovrebbe farci capire che se ci trasformiamo in categoria, saremo inarrestabili, perché come un fiume riusciremo a definire il nostro percorso e a travolgere chiunque provi a prevaricare i nostri diritti.