Estraiamo quanto dichiarato dal Direttore generale di Consob, Antonietta Scopelliti, nell’audizione del 20 giugno 2023, presso la sesta commissione permanente del Senato, sull’emissione di azioni con diritto di voto plurimo – Merita considerazione la previsione che incrementa da tre a dieci il numero dei diritti di voto che può essere assegnato, per statuto, a ciascuna azione a voto plurimo (art. 13 che modifica l’art. 2351, quarto comma, del codice civile). Va rilevato come i sistemi che prevedono un diritto di voto multiplo siano ormai ampiamente diffusi negli ordinamenti degli Stati membri. Va in questo senso anche la proposta di direttiva, attualmente in corso di negoziato (nel cd pacchetto Listing Act), volta a consentire l’adozione di tali sistemi da parte delle società che intendono accedere ai mercati di crescita per le PMI. Il voto multiplo, infatti, potrebbe incentivare il ricorso al mercato da parte di società di ridotte dimensioni, fornendo uno strumento di stabilità all’assetto proprietario e decisionale. … In Italia già dal 2014, a seguito della riforma dell’art. 2351 del codice civile, è consentito alle società non quotate l’emissione di azioni con diritto di voto plurimo che possono permanere anche dopo l’eventuale ammissione a quotazione. La CONSOB condivide, quindi, l’opportunità di una riforma della disciplina vigente in materia …
La politica propone, la Consob condivide, quindi perché qualcuno dovrebbe avere una visione critica sulla proposta? Fino alla modifica dell’articolo 2351 del Codice Civile, introdotta il 24 giugno 2014 con il Decreto competitività, era in vigore quanto definito nel 1942 che, nel rispetto del diritto di proporzionalità, stabiliva che ad un’azione corrispondesse un diritto di voto. Poi, con l’introduzione di quel decreto, iniziò la lenta ma inesorabile erosione dei valori presidiati da quel principio, che in origine consentiva l’unica eccezione delle azioni Privilegiate, a cui era consentito un diritto di voto limitato alle sole assemblee straordinarie, e, a compensazione della limitazione, riconosceva diritti di prelazione in alcune circostanze. Nel 1974 sono state introdotte azioni senza diritto di voto, quelle denominate di Risparmio, a cui erano concessi alcuni privilegi e vantaggi economici. Le azioni Privilegiate e di Risparmio avevano alcune caratteristiche: un risparmiatore decideva liberamente di accettare la limitazione del diritto di voto, o l’assenza totale di quel diritto, in cambio di altri vantaggi e l’emittente riusciva ad aumentare il patrimonio, senza diluire lil proprio potere decisionale sulla governance societaria.
C’era la possibilità di scegliere, ed ogni investitore aveva la facoltà di farlo in modo consapevole, e tutte le decisioni erano deliberate dalle azioni ordinarie, nel rispetto della proporzionalità della quota posseduta da chi aveva ritenuto più vantaggioso mantenere il diritto di voto. Ora, in 9 anni, siamo passati dalla possibilità di voto plurimo pari a 3 volte il numero di azioni a cui era riconosciuto quel diritto, per società non quotate, alla proposta di elevare il voto plurimo a 10 volte, anche per le società quotate che lo prevedano nel proprio statuo. Proseguendo nella strategia di riduzione dei diritti degli azionisti, dove saremo tra 10 o 20 anni? Il diritto che non sarà mai cancellato, sarà quello di acquistare azioni, il resto sarà lasciato alla discrezionalità dell’emittente.
In seguito, è iniziata una progressiva modifica delle condizioni che garantivano l’equilibrio che aveva consentito la coesistenza di più tipologie di azioni. La mutazione avvenne in modo quasi impercettibile, a causa della limitata visibilità mediatica concessa all’’emissione di azioni con diritti di voto plurimo, perché nel 2014 era consentita solo alle società non quotate, però, il diritto di voto multiplo restava in vigore in caso di ammissione alla quotazione. Da quel momento, intravista un’alternativa meno onerosa, le società quotate hanno intensificato le offerte d’acquisto o di scambio sulle azioni di risparmio, eliminando privilegi e vantaggi economici che le caratterizzavano. Per mantenere salda la presa sul controllo della società, hanno considerato che fosse molto più conveniente emettere azioni con diritto di voto multiplo. La scelta consentiva di mantenere il potere decisionale sulla società, anche in presenza di un investimento molto più limitato di quanto servisse in precedenza. Nei casi in cui le norme di riferimento non consentivano di sfruttare l’opportunità derivante da quella scelta, la globalizzazione della finanza consentiva di spostare la sede nei paesi che avevano adeguato le norme alle esigenze di chi cercava quelle opportunità.
Ora segnaliamo uno studio dell’Università Cattolica in collaborazione con Assogestioni, pubblicato il 17 luglio 2023. Titolo – Fuga delle italiane in Olanda: il ruolo delle azioni a voto multiplo – Citiamo solo le conclusioni, e consigliamo di scaricare la versione integrale a chi fosse interessato ad approfondire un tema che si è insinuato in modo subdolo tra emittenti e risparmiatori italiani. Il nostro scopo è quello di dare evidenza al cambiamento di paradigma generato da una finanza che si è globalizzata e si confronta con una politica che non riesce a reagire, per presidiare il proprio ruolo, perché frammentata ed incapace di coalizzarsi per imporre regole rispettose dei diritti, come condizione indispensabile alla permanenza su mercati finanziari senza privilegi.
Per individuare le motivazioni per cui le società spostano la sede fuori dai nostri confini, dopo avere analizzato i dati relativi al trasferimento di sede da parte di società che avevano un peso del 22% sulla capitalizzazione del nostro mercato, i ricercatori hanno concluso che:
- – In sintesi, secondo i ricercatori, il problema maggiore legato alle azioni con diritti di voto multipli(MVR), così diffuse in Italia, è che hanno ripercussioni durature sulle dinamiche di corporate governance, in quanto conferiscono agli azionisti di lungo termine un potere sproporzionato su qualsiasi decisione soggetta al voto degli azionisti -.
- – In conclusione, il fenomeno del forum shopping (scelta opportunistica del foro o trasferimento dove le norme sono più favorevoli N.d.R.) gioca un ruolo crucialenella decisione delle aziende italiane di delocalizzare all’estero, mentre i vantaggi fiscali e strategici hanno un’importanza secondaria. Ciò è particolarmente vero per le imprese che si trasferiscono in Olanda, in quanto il loro grado di separazione tra proprietà e controllo diventa molto più alto sia di quello prevalente prima della delocalizzazione sia di quello consentito dalla legislazione nazionale attraverso le azioni con diritto di voto multipli. Inoltre, il grado di separazione dopo il trasferimento in Olanda è molto più pronunciato rispetto a quello delle imprese italiane che si trasferiscono altrove, delle altre società europee che si trasferiscono nei Paesi Bassi e delle aziende olandesi -.
- – Infine, l’Italia è il Paese europeo che presenta il maggior flusso di aziende in uscita, sia in generale che verso i Paesi Bassi,nonostante la regolamentazione CEM in altri Paesi sia talvolta altrettanto o addirittura più restrittiva di quella italiana. Forse, suggeriscono i ricercatori, ciò può essere legato al fatto che le politiche di rafforzamento del controllo messe in pratica dalle aziende italiane sono molto diverse da quelle delle loro colleghe europee. Le italiane, infatti, tutelano il potere di voto dell’azionista di controllo (tramite le azioni MVR), mentre le altre imprese europee tendono a introdurre disposizioni di supermaggioranza, conformandosi così alla prassi standard olandese di proteggere la stabilità del consiglio di amministrazione, non il potere degli azionisti -.
Chi crede nell’affidabilità dei mercati finanziari e possiede un’equilibrata propensione al rischio, non tiene i propri risparmi nei depositi bancari, come avviene, invece, in Italia. La politica dovrebbe capirlo ed evitare le silenziose introduzioni di modifiche che, di fatto, allontanano il risparmio da una finanza che appare progressivamente sempre più aleatoria, perché da decenni riduce le tutele e i diritti di chi vorrebbe investire in un sistema finanziario capace di generare benessere per tutti, non solo per gli emittenti. Concetto che appare ancora più evidente con un’ulteriore citazione del lavoro svolto dai ricercatori della Cattolica: – Gli effetti sulla corporate governance dell’adozione di determinate politiche CEM piuttosto che altre sono profondamente diverse. In primo luogo, sottolineano gli autori, i meccanismi di rafforzamento di controllo adottati dalle imprese italiane separano in modo aggressivo il controllo dalla proprietà, seguendo una logica per cui la soglia per detenere il controllo e quella di voto sono molto distanti, e rafforzando così la posizione dell’azionista di controllo. In secondo luogo, l’ampio ricorso alle azioni di MVR da parte delle imprese italiane permette agli azionisti di controllo di aumentare la propria influenza su quasi tutte le decisioni prese dall’assemblea generale, mentre le clausole di supermaggioranza adottate altrove si applicano di solito solo a un numero limitato di questioni (ad esempio, la nomina o la revoca degli amministratori).
Non facciamo considerazioni sulla proposta d’aumento da 3 a 10 per i voti consentiti alle azioni con diritto di voto plurimo, perché il concentrare l’attenzione del lettore su un dettaglio assolutamente marginale, la distoglierebbe da quello che noi riteniamo sia il vero e unico problema. Infatti, a nostro avviso, la politica ha commesso un errore enorme nell’ingaggiare una competizione a chi è disposto a cancellare il maggior numero di diritti degli azionisti, per stimolare gli emittenti a quotarsi sul proprio mercato. Il risultato finale sarebbe che nessuno inietterebbe liquidità in un sistema finanziario senza diritti e tutti ne uscirebbero sconfitti: le imprese sane che non avevano mai adottato meccanismi lesivi dei diritti, perché sarebbero costrette a rinunciare al capitale di rischio per fare ricorso al credito bancario, la crescita economica che avrebbe perso il sostegno allo sviluppo, il risparmio che vedrebbe limitate le difese contro l’inflazione, i conti pubblici che vedrebbero scendere il gettito fiscale e salire il rapporto tra indebitamento e Pil …
La soluzione? Probabilmente non facile da realizzare, ma inevitabile: la politica si deve globalizzare per prendere decisioni condivise tra tutti i paesi convinti che la competizione tra gli stati, per ridurre i diritti dei risparmiatori, sia indegna di una società civile. Per cui diventa indispensabile introdurre dazi sui servizi e i prodotti forniti sul territorio nazionale dalle imprese che hanno fatto scelte di Forum shopping. Anziché competere con gli stati che si ostinano a cancellare i diritti, bisognerebbe introdurre sanzioni a carico delle nazioni che riducono i diritti di chi investe, per agevolare il trasferimento d’impresa.
I risparmiatori italiani hanno perso ogni fiducia nella finanza, a causa della lunga sequenza di casi di risparmio tradito a cui hanno assistito negli ultimi decenni. La delusione maggiore l’ha procurata il sistema bancario: bond argentini, vendita diamanti, accumulo di Npl, aumenti di capitale a ripetizione con promesse rivelatesi troppo spesso inattendibili, e carenze di capitale emerse dal nulla e quasi mai rivelate da chi ricopriva ruoli di vigilanza istituzionale o all’interno delle società. Tutti eventi che hanno evidenziato la perdita di affidabilità e trasparenza del sistema finanziario. Era rimasta una sola speranza, l’intervento della politica che contrastasse l’introduzione di strumenti finanziari che favorivano operazioni speculative. Invece, sta proponendo regole a favore di chi ha commesso abusi e non a tutela di chi li ha subiti, nonostante la nostra Costituzione imponga la tutela del risparmio. Le nuvole che avevano progressivamente avvolto la finanza, anziché dissolversi, si sono ulteriormente stratificate, sino al punto di convincere gli investitori che nel suo cielo non tornerà più a splendere la luce della fiducia e della trasparenza.