Negli ultimi articoli che abbiamo pubblicato, abbiamo evitato di concentrare l’attenzione su un caso specifico, e cercato di dare evidenza alla progressiva erosione dei diritti che erano riconosciuti a chi investe i risparmi nella finanza, per sostenere lo sviluppo del paese, e nel contempo ottenere un reddito integrativo della pensione. Il percorso che abbiamo descritto in quegli articoli era iniziato da lontano, i cambiamenti erano stati diluiti nel tempo, e, come le tessere di un puzzle, necessitano di essere collegati tra loro, per vedere il quadro che concorrono a comporre. Diamo evidenza al caso delle azioni di risparmio di Banca Carige, perché la passiva accettazione dei singoli cambiamenti non permette di cogliere il reale effetto della loro introduzione, sino al momento in cui la loro applicazione congiunta fa emergere una realtà inattesa.
La categoria delle azioni di risparmio era stata introdotta negli anni in cui si era materializzata un’inflazione che era molto più elevata di quella che ci spaventa oggi. Lo scopo era di aiutare le società quotate a finanziarsi ad un costo meno oneroso del finanziamento bancario, senza diluire la quota di controllo degli emittenti. La loro introduzione serviva ad indurre i piccoli risparmiatori ad investire nei mercati azionari, concedendo loro privilegi patrimoniali ed economici, in cambio della rinuncia a diritti riservati ai possessori di azioni ordinarie, che erano di scarso interesse per i piccoli azionisti. I possessori di azioni di risparmio, inoltre, potevano eleggere un Rappresentante comune, a cui era consentito di presenziare alle assemblee ed avevano a disposizione un fondo alimentato dall’emittente, per eventuali azioni di accertamento danni causati dalle delibere degli azionisti ordinari, al fine di ottenere il risarcimento. Con l’abbassamento del costo del denaro, evidentemente, i privilegi concessi sono diventati troppo onerosi per gli emittenti che, con lenta e inesorabile progressione, hanno cercato di sostituire le azioni di risparmio, senza perdere i vantaggi ottenuti con la loro introduzione, mediante modifiche alle norme di riferimento.
È facile dedurre che, con la progressiva cancellazione delle azioni senza diritto di voto, gli effetti sugli emittenti sarebbero stati diluitivi della loro quota di controllo, se fossero state sostituite le azioni di risparmio con azioni ordinarie, oppure riduttivi del patrimonio, se si fossero riacquistate le azioni senza diritto di voto. Forse è proprio per contrastare le conseguenze citate sopra, che nel 2014 era stata introdotta la facoltà di emettere azioni con diritto di voto plurimo, che consentiva agli emittenti di mantenere il controllo sulla governance della società, senza incrementare il capitale investito. Non entriamo nei dettagli sugli sviluppi che sarebbero derivati da quella concessione, perché abbiamo affrontato l’argomento nell’articolo pubblicato il 16 agosto 2023. https://vocedegliazionisti.it/azioni-con-diritto-di-voto-plurimo/
È nostra opinione che sia impossibile stabilire il valore delle azioni di risparmio in assenza di una perizia tecnica indipendente, a causa delle numerose operazioni sul capitale sociale derivate da operazioni di conversione obbligazioni e azioni di risparmio, in azioni ordinarie. Inoltre sono avvenute molte ricapitalizzazioni e due raggruppamenti che hanno diviso il numero delle azioni per 100 nel 2015 e per 1.000 nel 2020. A documentare l’inaffidabilità di una stima per una conversione equa, è sufficiente citare la proporzione tra le azioni di risparmio e quelle ordinarie: nel 2002 era al 15,9% e ai due titoli era attribuito lo stesso valore nominale, nel 2020, prima della conversione, era sceso allo 0,000003 % e dal 2009 si era iniziato a dichiarare solo il numero delle azioni emesse, senza indicare il valore nominale. Se non bastasse, alla chiusura dell’ultimo giorno di negoziazione, prima della sospensione dalla quotazione, avvenuta il 2 gennaio 2019, il mercato aveva scambiato le azioni di risparmio ad un valore di 49,3 €, mentre le azioni ordinarie avevano chiuso ad un valore di 0,0015. Se si calcola il rapporto tra i due valori, si noterà che il mercato riteneva che un’azione di risparmio avesse un valor equivalente a 32.866 azioni ordinarie.
Il 29 aprile 2020 Banca Carige aveva convocato un’assemblea straordinaria in cui si chiedeva l’approvazione del raggruppamento delle due categorie di titoli. Nell’assemblea svoltasi il 29 maggio, il risultato del voto era scontato, perché gli azionisti storici erano stati diluiti a poco più del 11%, con un aumento di capitale con negazione quasi integrale del diritto d’opzione e, quindi, chi era subentrato nel controllo della banca, aveva facoltà di deliberare a proprio piacimento.
Si noti che, nel 2003, con l’introduzione della riforma definita nel decreto legislativo n° 6, del 17 gennaio, si modificava l’art. 2370 del c.c. togliendo la descrizione: – Possono intervenire all’assemblea gli azionisti iscritti nel libro dei soci almeno cinque giorni prima di quello fissato per l’assemblea, e quelli che hanno depositato nel termine stesso le loro azioni presso la sede sociale o gli istituti di credito indicati nell’avviso di convocazione– sostituendola con la disposizione descritta al primo comma dello stesso articolo: – Possono intervenire all’assemblea coloro ai quali spetta il diritto di Voto. Di fatto, con una interpretazione letterale della norma, il Rappresentate comune degli azionisti di risparmio, non poteva intervenire per sostenere le ragioni della categoria che rappresentava e, in mancanza della convocazione dell’assemblea speciale degli azionisti di risparmio, la categoria doveva subire qualsiasi delibera imposta da altri, senza nemmeno esprimere e fare verbalizzare un proprio punto di vista.
Il 18 novembre 2020, mentre le azioni non erano ancora state riammesse alla negoziazione, Banca Carige aveva rilasciato un comunicato stampa avente ad oggetto – CONVERSIONE FACOLTATIVA DELLE AZIONI DI RISPARMIO E RAGGRUPPAMENTO DELLE AZIONI ORDINARIE E DI RISPARMIO – la tempistica delle due operazioni era – Periodo di esercizio della Conversione Facoltativa dal 23 novembre 2020 al 4 dicembre 2020. Data di efficacia del Raggruppamento: 14 dicembre 2020 – Il rapporto di conversione proposto era – pari a n. 20.500 (ventimila cinquecento) Azioni Ordinarie di nuova emissione per ogni Azione di Risparmio che sarà portata in conversione. – per chi non avesse aderito alla conversione facoltativa era specificato – Le Azioni di Risparmio, non oggetto di conversione nell’ambito della Conversione Facoltativa, conserveranno comunque la caratteristica di convertibilità facoltativa nei termini di cui all’articolo 35 dello statuto sociale della Banca -.
Per documentare la beffa nascosta nel formalismo del comunicato stampa, è sufficiente riportare cosa prevedesse l’articolo 35 dello statuto di Banca Carige, per chi avesse deciso di non aderire alla Conversione facoltativa – I titolari di azioni di risparmio avranno la possibilità di ottenere la conversione delle azioni di risparmio in azioni ordinarie in pari quantità– che tradotto nel modo più semplice possibile, direbbe: Chi non aderisce alla conversione di 1 azione di risparmio con 20.500 azioni ordinarie, conserva la facoltà di convertirla in una azione ordinaria. Si noti anche che lo stesso rapporto di conversione era stato proposto nel 2019, quando le azioni ordinarie erano 55 miliardi, mentre nel momento in cui quel rapporto veniva riproposto, le azioni ordinarie erano diventate 785 miliardi in conseguenza dell’aumento di capitale iperdiluitivo con negazione quasi integrale del diritto d’opzione, già citato.
Sulla proposta di conversione delle azioni di risparmio in azioni ordinarie, che era definita con molta enfasi “Facoltativa”, riteniamo sia utile fare alcune considerazioni entrando nel merito delle alternative che sarebbero state a disposizione degli azionisti con la machiavellica impostazione della conversione proposta dall’emittente.
- La conversione doveva avvenire prima del raggruppamento, quando non si conosceva il valore del titolo ordinario alla riammissione, senza che fosse concessa la facoltà di recesso, e in presenza di un rapporto di conversione notevolmente inferiore a quello riconosciuto dal mercato nell’ultimo giorno di negoziazione e uguale a quello proposto prima che il numero delle azioni ordinarie fosse moltiplicato per 13,73.
- Chi non avesse aderito alla “Conversione Facoltativa” si sarebbe trovato in possesso di titoli non più negoziabili, perché dopo il raggruppamento le azioni di risparmio, ammesso che fosse stato possibile raggruppare tutte le frazioni di mille possedute dagli azionisti di risparmio, sarebbero diventate 25 ed era evidente che non fosse possibile mantenere un titolo quotato con quel numero di azioni in circolazione.
- Come era possibile definire facoltativa una conversione di titoli che, non consentiva visibilità sul valore dell’azione che si sarebbe ricevuta, e che, oltre all’alternativa descritta al punto 2, consentiva solo il ricorso in giudizio contro l’emittente?
Come mai si è preferito fare una simile proposta, per di più senza l’intervento dell’autorità di vigilanza, perché priva delle informazioni indispensabili per conoscere il valore del titolo che si sarebbe ricevuto, quando esistevano soluzioni che avrebbe concesso di rimuovere tutte le criticità descritte, consentendo una vera facoltà di scelta consapevole, nel rispetto dei diritti di chi aveva investito i propri risparmi per sostenere la banca del territorio?
La nostra opinione è che si fosse scelto il percorso definito nel comunicato stampa del 18 novembre 2020, perché il vero scopo era quello di cancellare le azioni di risparmio. Se così non fosse stato, era possibile proporre soluzioni diverse.
- Lo statuto prevedeva la conversione facoltativa delle azioni di risparmio nel rapporto di 1 a 1 con le azioni ordinarie. Affinché questa facoltà non fosse considerata una provocazione, si sarebbe potuto allineare il loro numero affinché il concambio potesse essere considerato interessante, anche con l’emissione di warrant sulle azioni ordinarie.
- Oppure facendo un’offerta economica realistica per la loro cancellazione, mediante una perizia indipendente, e condivisa perché credibile.
- Oppure proponendo la conversione delle azioni di risparmio in un rapporto equo con quelle ordinarie, considerando tutte le operazioni che avevano divaricato il loro valore.
In questa occasione riteniamo sia utile commentare la metafora fotografica che accompagna questo articolo: le tessere mancanti nel puzzle, rappresentano le norme che la politica dovrebbe introdurre per imporre agli emittenti il rispetto dell’articolo 47 della nostra Costituzione. La soluzione per attirare gli emittenti, non può essere una competizione tra gli stati, tesa a ridurre i diritti degli investitori. Gli emittenti che si quotassero solo perché attirati da simili condizioni, non troverebbero investitori disposti ad acquistare i loro titoli, quotati su un mercato che consente agli emittenti di fare quello che vogliono con il denaro versato dagli investitori. Servono norme sovranazionali per riportare sui mercati i risparmi di chi li ha ritirati a causa degli episodi di risparmio tradito, che si stanno ripetendo con frequenza inaudita. Solo allora gli emittenti si quoteranno su mercati in cui i risparmiatori sono in competizione per acquistare i titoli più solidi, facendo raggiungere capitalizzazioni che non sarebbero mai realizzabili in un mercato privo di diritti, in cui scorrazzano predatori di ogni genere, anziché imprenditori che hanno a cuore il benessere collettivo.