La locuzione inglese usata come titolo, in italiano potrebbe essere tradotta in “Governo d’impresa” oppure “Governo societario”. Le due parole fanno riferimento all’insieme di leggi, norme, regolamenti e disposizioni che pongono limiti alla libera discrezionalità decisionale di chi è chiamato a ruoli di responsabilità in società o enti, siano essi pubblici, o privati. Abbiamo ritenuto opportuno fare un approfondimento su questo argomento, perché abbiamo letto l’intervento fatto da Paolo Ciocca, commissario Consob, il 6 aprile 2021, nel corso dell’evento di presentazione online del “Report sulla Corporate governance 2020”.
Riportiamo il link da cui e possibile scaricare la versione integrale da cui abbiamo estratto alcuni passaggi necessari a sostenere le nostre considerazioni: https://formiche.net/2021/04/corporate-governance-ciocca-consob-laffidabilita-delle-regole-e-un-elemento-essenziale-sia-della-tutela-dei-risparmiatori-sia-dellinvestimento-diretto-estero/
Il titolo, che condividiamo integralmente, era: “Corporate governance: Ciocca (Consob): L’affidabilità delle regole è un elemento essenziale”.
Estrapoliamo alcuni passaggi dall’intervento, perché li riteniamo meritevoli di essere evidenziati. Sono da noi condivisi e, in quanto tali, riteniamo utile confrontarli con le esperienze che molti risparmiatori hanno sperimentato nella loro operatività finanziaria.
- Definizione scopo del rapporto. “Assetti proprietari, organi sociali, assemblee, gestione dei conflitti di interesse: il rapporto fornisce una fotografia rispetto agli ultimi dati disponibili … Per la Consob, che è arbitro di queste vicende e garante di trasparenza, il rapporto è un fondamentale punto di riferimento di vigilanza e di policy”.
- La prima affermazione, parzialmente anticipata nel titolo: “L’affidabilità delle regole di corporate governance è un elemento essenziale sia della tutela dei risparmiatori sia dell’investimento diretto estero”.
- Contendibilità delle società quotate: “Per quanto concerne le caratteristiche strutturali, il mercato italiano resta a elevata concentrazione, pur confermandosi un moderato aumento della contendibilità delle quotate e del peso degli investitori istituzionali esteri”.
- Sul pericolo di esproprio dei piccoli azionisti: “Innanzitutto, l’importanza di adeguati presidi di governance a tutela dei rischi di espropriazione degli azionisti fuori dal gruppo di comando. Questi presidi rappresentano gli incentivi fondamentali, direi le pre-condizioni stesse per l’afflusso di capitali da parte di investitori esterni e per la liquidità e il buon funzionamento del mercato secondario”.
- Corretta informazione su accordi parasociali: “… sul caso Wirecard, che va proprio nella direzione d’introdurre tutele (in termini di controlli sull’informativa finanziaria e di enforcement – azione tesa ad ottenere il rispetto delle norme (ndr)- pubblico) già da tempo vigenti in Italia. Si pensi anche al voto di lista e alla trasparenza sui patti parasociali”.
- Sul rischio di delisting (ritiro del titolo dal mercato): “…Vi è poi anche il tema dell’adeguata informazione al mercato: il delisting è spesso associato – soprattutto in questo momento covid – al disallineamento tra i corsi azionari e i valori fondamentali impliciti dell’impresa, di non agevole valutazione”.
Ora confrontiamo le esperienze di numerosi risparmiatori, con le dichiarazioni più significative estratte dalla relazione con cui il commissario Paolo Ciocca ha illustrato l’operato della Commissione Nazionale per le società e la borsa nel 2020. Lo facciamo punto per punto, perché vorremmo evidenziare le differenze che emergono dal confronto tra dichiarazioni ufficiali ed esperienze vissute dai risparmiatori, nell’auspicio che quanto evidenziamo sia preso in considerazione e possa dare un contributo alla tutela degli investitori e all’affermazione dei diritti di chi investe nella finanza.
Pinto 1. Apprezziamo l’illustrazione dei compiti di Consob che viene definita come garante della trasparenza e arbitro degli eventi societari descritti nell’introduzione. Ci avrebbe fatto piacere che fossero citati, come quantità e per oggetto, gli esposti che erano stati analizzati nel periodo e quali interventi erano stati messi in atto per contrastare le criticità denunciate. Inoltre, sarebbe auspicabile che le conclusioni definissero e dessero visibilità mediatica agli errori di chi ha denunciato o di chi è stato accusato di avere commesso abusi a danno dei risparmiatori. Solo diffondendo dati sulla gestione dei conflitti, sarà possibile cambiare i comportamenti di chi commette errori. Una palese identificazione dei problemi che hanno generato conflitti, è condizione indispensabile per permettere alle dichiarazioni d’intenti di trovare conferme di efficacia a consuntivo.
Punto 2. Siamo assolutamente in sintonia con l’affermazione che senza affidabilità delle regole non vi possa essere alcuna tutela dei risparmiatori. Come possiamo considerare affidabili le regole che permettono ad un attore di mercato di potere acquisire l’80% di una società ad un prezzo scontato del 47% rispetto a quello cui possono aderire gli azionisti a una ricapitalizzazione in cui è stato loro negato quasi integralmente il diritto di opzione?
Punto 3. Come può un mercato avere un’elevata contendibilità se, come abbiamo notato nel sistema bancario italiano, l’inaffidabilità dei controlli porta a scoprire buchi di bilancio che costringono a prendere decisioni straordinarie, provocando la penalizzazione degli investitori che, con fiducia, avevano iniettato il proprio patrimonio in un sistema finanziario che brucia il loro capitale e spaventa chi vorrebbe investire? Soprattutto, quando accade che le soluzioni proposte sono norme tese a favorire le aggregazioni di sistema, penalizzando e, quindi, togliendo competitività, a quelle di mercato, come quelle ipotizzate a metà maggio 2021, che ipotizzavano benefici fiscali solo in caso di aggregazioni con un istituto di credito di dimensione maggiore?
Punto 4. Il passaggio con cui si parla di presidio dei rischi d’esproprio, per incentivare l’afflusso di capitali sul mercato finanziario nazionale, stupisce noi e meraviglia molti azionisti che si sono visti azzerare, o quasi, il capitale investito nelle banche. In particolare, stiamo parlando di chi ha investito nella Banca popolare di Bari (Bpb) e nella Banca Carige, che alla fine delle pluriennali drammatiche vicende, nonostante l’immissione di risorse fresche, hanno visto che il MCC è giunto a possedere il 97% delle azioni di Bpb, mentre i sottoscrittori dell’accordo quadro per l’ultimo aumento di capitale Carige, hanno acquisito il controllo della banca con oltre l’88 %. Non miglior sorte è toccata agli azionisti di Mps e a quelli delle banche risolte. Il primo presidio a garanzia di chi investe, è l’efficacia dei controlli, che deve anticipare l’identificazione dei problemi e bloccare la loro degenerazione, prima che il danno sia diventato irreparabile.
Punto 5. La corretta informazione sugli accordi parasociali, merita una particolare sottolineatura perché è un aspetto che ha disorientato gli azionisti Carige quando si sono visti espropriati da un accordo quadro tenuto riservato, i cui dettagli sarebbero emersi solo nel momento in cui sarebbero stati utili ai sottoscrittori, per dare evidenza a qualche particolare che era opportuno rendere pubblico. Chi aveva sostenuto la banca sino a quel momento, partecipando alle tre ricapitalizzazioni proposte nei quattro anni precedenti a quello in cui è stata proposta quella che si sarebbe conclusa con l’accordo quadro, ha dovuto subire, senza conoscere. A titolo d’esempio citiamo alcuni fatti che a noi appaiono addirittura vessatori e frutto di una totale autonomia decisionale di chi cercava di impossessarsi di una banca, senza che, chi aveva il potere e dovere di verificare la correttezza dell’operazione, attuasse un qualsiasi intervento.
- Come conseguenza dell’accordo, è stata approvata una ricapitalizzazione con esclusione del diritto d’opzione, che era concesso solamente in piccolissima parte, a un prezzo molto più elevato di quello riservato ad uno dei sottoscrittori, che avrebbe potuto acquistare l’80 % del capitale sociale, rilevandolo da altro soggetto aderente all’accordo, con uno sconto del 47 %. Non contento, avrebbe provato a negoziarlo, cercando di elevarlo al 100 %, pretendendo anche una cospicua dote.
- Quando si sono dovute presentare le liste per il rinnovo di consiglieri, sindaci e cariche sociali, sia la lista di maggioranza che quella di minoranza sono state presentate dai sottoscrittori dell’accordo e uno di loro ha presentato una dichiarazione in cui affermava che tra le parti non esistevano vincoli che impedissero la presentazione di una lista di minoranza. Ci chiediamo come possa esistere un contratto che possa giustificare l’esclusione del diritto d’opzione quasi integrale e che nel contempo non preveda vincoli tra le parti? I fatti hanno documentato che quell’accordo ha escluso i vecchi azionisti dopo tre aumenti di capitale e Banca Carige è rimasta senza un partner industriale. Se non bastasse, aggiungiamo che Fitd, detentore dell’80 % della Carige, ha uno statuto che non gli consente di detenere il controllo di istituti di credito in assenza di una destinazione industriale che preveda il coinvolgimento di altro soggetto.
- Il sottoscrittore dell’accordo quadro che avrebbe dovuto acquisire il controllo di Banca Carige, non aveva ancora ricevuto dalla Bce l’autorizzazione a farlo e i suoi bilanci non erano mai stati controllati da Banca d’Italia e sarebbero entrati sotto la sfera d’influenza della Bce, solo dopo l’approvazione dell’aumento di capitale della Carige e la sua sottoscrizione.
Punto 6. La necessità che il mercato riceva un’adeguata informazione, preferiamo trattarla con considerazioni separate dai sei punti su cui abbiamo estrapolato stralci d’intervento. Il rischio delisting, lo affrontiamo e formuliamo nostre considerazioni, perché è un avvenimento che accade più frequentemente di quanto si immagini e spesso è dovuto a quella che noi chiamiamo “una reazione del mercato alla passività delle informazioni”. Con il corsivo, ci riferiamo al fatto che si mantiene il silenzio sul titolo, si dice il minimo indispensabile e lo si lascia scivolare nel dimenticatoio. In un momento di mercato Orso (tendenza ribassista), all’improvviso si lancia un’opzione pubblica di acquisto, ad un prezzo che in apparenza è a premio, ma solo nei confronti della quotazione in quel momento. In realtà è inferiore al valore che dovrebbe avere la società e, frequentemente, più basso del prezzo cui era stato offerto il titolo quando era stato collocato in borsa. Poi, dopo qualche anno, in una fase di mercato favorevole e in seguito a dati di bilancio eccellenti e un martellamento mediatico, è possibile che il titolo compia il percorso per tornare sul mercato. Naturalmente sarà collocato ad un prezzo superiore a quello pagato per il delisting. Tutto apparirà conveniente grazi e ad una campagna mediatica che enfatizza le potenzialità di crescita del suo valora. Che questa operatività sia diffusa lo documenta un quaderno citato nell’intervista, da cui si evince che quasi i due terzi delle Opa lanciate tra il 2007 e il 2019 avevano come scopo il delisting. In questo caso si è passati dalla parte opposta rispetto ai buchi di bilancio non rilevati dai controlli: un eccesso prudenziale delle stime di alcuni valori di bilancio, può portare ad abusi che danneggiano i risparmiatori. Solo controlli precisi, puntuali e costanti, possono dare trasparenza ad un mercato, che, in mancanza di appropriate normative, sarà paragonabile al campo dei miracoli; metafora azzeccatissima, di Carlo Collodi, che è ancora attuale dopo oltre un secolo e mezzo.
Sull’adeguatezza delle informazioni al mercato riportiamo alcuni esempi che dovrebbero riuscire a rendere palese l’enorme differenza tra le dichiarazioni ufficiali e la percezione del mercato maturata dai risparmiatori, perché è generata da esperienze dirette, sperimentate nel corso di normali operazioni che documentano una realtà ben diversa da quella che si potrebbe maturare con la lettura dell’intervista citata all’inizio dello scritto:
- Come potrebbero ritenere adeguate le informazioni ricevute, gli azionisti di Monte dei Paschi di Siena, dopo avere saputo che i periti del tribunale di Milano avevano presentato un’analisi di 5.562 pagine sui conti dal 2012 al 2017, accompagnate da una sintesi che segnalava come fossero stati tenuti nascosti al mercato ben 11,42 miliardi di crediti deteriorati? La perizia faceva seguito alla diffusione della sentenza di condanna dei vertici aziendali che avevano condotto la banca nei primi anni di quel periodo.
- Per gli azionisti di Banca Carige, la delusione è ancora più cocente: si sono viste proporre 4 aumenti di capitale, tutti dichiarati risolutivi dei problemi della banca prima dell’aumento,
poi nuova richiesta di denaro fresco dopo qualche mese dall’adesione al precedente. Un azionista che avesse posseduto 50.000 azioni a inizio 2014, le avrebbe dovute dividere per 100 con la ricapitalizzazione del 2015 e per 1.000 dopo quella del 2019 e a fine 2020 si sarebbe accorto di avere perso la qualifica di azionista vedendosi accreditare circa 50 centesimi di euro in c/c, a saldo del suo investimento. Come potrebbe ritenere adeguate le informazioni ricevute se, ascoltando le dichiarazioni dei vertici aziendali avesse deciso di aderire alle quattro ricapitalizzazioni proposte dal 2014?
Con le nostre considerazioni vogliamo evidenziare un problema: i risparmiatori non possono avere alcuna voce in capitolo quando si introducono norme che dovrebbero garantire i diritti di chi investe nei mercati finanziari. La politica ha come unici referenti professionisti che, a vario livello hanno fatto carriere brillanti nel sistema finanziario e, quindi, sono autoreferenziali. Possibile che nessuno abbia mai pensato che solo ascoltando chi inietta capitale nel sistema si possono trovare soluzioni efficaci. Gli stipendi dei manager bancari sono cresciuti a dismisura negli ultimi venti anni e i risultati economici ottenuti dagli azionisti e di riflesso dalla nostra economia, documentano che non meritavano quegli incrementi di remunerazione.
Noi crediamo che sia giunto il momento di riformare profondamente la finanza, di fare uscire dalla roccaforte inespugnabile, in cui gode plenipotenziaria libertà di decisione, chi pensa di potere imporre soluzioni che prevaricano i diritti dei risparmiatori. Crediamo sia necessario avviare un dibattito aperto a tutte le componenti del mondo finanziario, senza escludere chi in quel sistema ci deposita la materia prima. I fatti stanno dimostrando che, nonostante i casi Montedison, Parmalat, Sci, Bond Argentini, Mutui subprime, Diamanti e Sistema bancario nazionale, nulla è cambiato e niente è stato fatto per evitare il ripetersi di comportamenti che hanno negativamente inciso sull’economia italiana e sui risparmi di cittadini che hanno investito concedendo fiducia a un sistema finanziario, per garantire un futuro sereno alla propria famiglia.
C’è un caso, solo apparentemente marginale, che dimostra come analizzare gli esposti degli azionisti possa contribuire in modo significativo a bloccare i comportamenti tesi ad appropriarsi del denaro dei risparmiatori: è il caso Bio-on. Il caso è esploso a seguito della denuncia del fondo Quintessential, azionista della società, che aveva capito come ci fossero palesi incoerenze nelle dichiarazioni diffuse dai vertici della società. Dopo la denuncia, la magistratura è intervenuta, riuscendo a bloccare danni che avrebbero potuto ampliarsi per molto tempo ancora. Possibile che solo azionisti e magistratura facciano sistematicamente emergere ciò che chi dovrebbe controllare, non vede?