Il 15 marzo 2021, due giorni prima che Cassa centrale banca (Ccb) annunciasse la propria rinuncia all’acquisto dell’80% di Banca Carige posseduto da Fondo interbancario tutela depositi (Fitd), l’amministratore delegato della banca genovese, Francesco Guido, ha rilasciato un’intervista a “ Redazione” in cui ha fatto alcune dichiarazioni che citiamo per permettere a chi ci legge di dare un senso compiuto alle considerazioni che seguiranno e ad alcuni confronti tra dichiarazioni fatte da attori diversi, che occupano ruoli di rilievo in società quotate.
- Il titolo era: “Guido (Carige): la banca fu costretta a scrivere una delle pagine più oscene della finanza italiana”.
- La prima affermazione: “Il futuro è una certezza, al di là del fatto che sia Cassa Centrale, una fondazione, altri privati o altri soggetti“.
- La seconda: “C’è una Carigeche è descritta nei numeri, quella dei conti 2020, con un attivo di elevatissima qualità”.
- Esponiamo solo la parte finale con cui si attribuiscono i problemi al passato e si elogiano i dipendenti: “Tutto questo è avvenuto per errori gestionali ma grazie all’impegno dei dipendenti si è mantenuto il rapporto con quasi tutti i clienti. Ora stiamo dimostrando che si sono ricostruite le condizioni per tornare a essere protagonisti”.
- La visione futura: “La prospettiva di Carige è già disegnata ed è quella di una banca sana, ripulita dai crediti deteriorati”.
La sintesi emerge chiara ed è: Banca Carige ha un attivo di elevatissima qualità, perché è ripulita dai crediti deteriorati ed il merito è dei dipendenti. Si omette di dire che parte dei dipendenti erano anche azionisti e, dopo avere investito decine di migliaia di euro della loro liquidazione nei titoli della banca, molti di loro hanno perso la qualifica di azionista e hanno visto liquidare, con pochi centesimi di euro, la posizione nella riga corrispondente al possesso di azioni Carige nel proprio conto titoli.
I dipendenti che sono riusciti a mantenere la qualifica di azionisti, hanno aderito a uno o più aumenti di capitale, iniettando nuova liquidità nei bilanci della banca, hanno, così, contribuito alla costruzione di un attivo di elevatissima qualità, che sarebbe servito ad allettare potenziali acquirenti della società. Quanto appena descritto è stato un vero gesto di fiducia e generosità delle maestranze, nei confronti di un istituto di credito cui avevano dedicato la vita. Peccato che nessuno lo abbia mai riconosciuto.
Gli addetti allo sportello di banca Carige sono stati indotti a realizzare le condizioni che abbiamo più volte descritto, per favorire l’approvazione dell’aumento di capitale proposto il 20 settembre 2019. Erano in conflitto d’interesse, ma il clima generato dagli slogan diffusi in azienda e nella regione, non lasciava possibilità di fare valutazioni su ciò che stava accadendo. Come ringraziamento hanno ottenuto un quasi azzeramento del capitale investito e poi, come beffa finale, si sono visti attribuire meriti che quasi nessuno aveva riconosciuto loro, nemmeno quando hanno dovuto arginare la fuga dei depositi causata delle decisioni di vertici aziendali che avrebbero dovuto definire piani industriali e strategie, per una società che aveva presidiato il risparmio della regione per parecchi secoli.
L’attività caratteristica di una banca, consiste nella raccolta di capitale e nel prestare denaro a prenditori in grado di restituirlo remunerando il tempo necessario ad azzerare il debito, nel gestire con abilità e saggezza il rischio quando il ciclo economico avverso crea problemi ai clienti e nel creare le condizioni affinché il debitore possa rispettare gli impegni. Oppure, in ultima istanza, nel recuperare il credito esercitando i diritti sui beni conferiti in garanzia. Ci risulta difficile credere nelle capacità professionali di un banchiere che esibisce come un successo la vendita sistematica dei crediti deteriorati, quando, per farlo, si è trasferita ricchezza dalla banca agli acquirenti, facendo gravare le perdite sugli azionisti, come se una simile decisione fosse frutto di una sottintesa abilità professionale.
Il 30 marzo 2021, su “L’ECONOMIA, Corriere della Sera”, il giornalista Stefano Righi ha pubblicato un articolo, da cui estraiamo alcune affermazioni che possono aiutare a capire come le dichiarazioni diffuse in ambito finanziario possano essere parziali e finalizzate ad ottenere uno scopo diverso dal trasmettere notizie utili ai risparmiatori per prendere decisioni d’investimento.
- Il titolo era: “La rete del Monte dei Paschi tiene. Ma adesso serve una banca. A Siena inizia il mese delle decisioni”
- Si fa un confronto diretto con Banca Carige, evidenziando una riga del suo conto economico con la voce corrispondente in quello di Mps: “Ma sopra ogni altra cosa si evince che Mps non brucia cassa per sostenere la propria attività caratteristica, come invece continua ad accadere a Carige, che non riesce ancora a pagarsi le spese”.
- Si evidenzia che Unicredit durante le ultime gestioni ha perso terreno nei confronti di Banca Intesa sul mercato nazionale e sono elargiti consigli al nuovo AD di piazza Gae Auletti, che assumerà la carica dopo un paio di settimane dalla pubblicazione dell’articolo, per spingerlo ad agire in fretta, nel tentativo di recuperare il terreno perduto, facendo nuove acquisizioni tra le opportunità reperibili nel sistema bancario nazionale: “Orcel è chiamato a fare qualcosa di significativo. E a farlo in tempi rapidi”.
- Si evidenzia che una banca potrebbe ottenere benefici maggiori di un fondo, se acquisisse Mps perché: “Tra le due situazioni ballerebbero infatti 2,5 miliardi di crediti fiscali, che Unicredit potrebbe far valere sui bilanci a venire”.
- È segnalata la necessità, per favorire manifestazioni d’interesse da parte di possibili compratori, che banca Mps ottenga una dote che possa coprire da alcuni rischi latenti: “Una dote necessaria a mettere al riparo il possibile acquirente dalle carenze di capitale reclamato dalle autorità di vigilanza e dal monte-cause che potrebbe venir raggiunto in sede giudiziale”.
Ora proviamo ad analizzare le possibili opacità rilevabili da quanto sinteticamente estrapolato dall’articolo che cerca di rendere interessante l’acquisizione di Mps. Emerge con sufficiente chiarezza il tentativo di confronto con Banca Carige, che potrebbe avere lo scopo d’insinuare dubbi sull’opportunità di puntare sull’acquisizione della banca ligure, evidenziando un confronto su una sola riga di conto economico, che sarebbe certamente penalizzante, per Carige, se paragonato con il dato equivalente del bilancio Mps.
Anche nella citazione dei punti di maggior vulnerabilità della banca senese, si cerca di trasformarli in un qualcosa di appetibile, perché è ventilata l’ipotesi che il governo possa predisporre una dote che copra la carenza di capitale evidenziata dalla vigilanza e i rischi di soccombenza nelle cause. In questo caso si evita di esporre gli enormi valori in gioco, più volte stimati e citati da altre testate, semplicemente perché sarebbero enormemente penalizzanti, per Mps, se messi in rapporto con gli equivalenti rischi che deriverebbero da una fusione con Banca Carige.
Il puerile tentativo di influenzare le decisioni che dovrà prendere il nuovo amministratore delegato di Unicredit, riteniamo sia un vero atto di presunzione da parte di un giornalista che ha già dimostrato in altra occasione di volere enfatizzare i meriti di un amministratore, Guido Bastianini, che era stato sfiduciato dal Cda di Banca Carige. Noi abbiamo spesso criticato gli errori dei vertici bancari che hanno contribuito a generare la crisi del sistema bancario italiano, ma non abbiamo mai pensato che potessero essere così sprovveduti da non potere fare un confronto tra i numeri esposti nei bilanci di due banche, per capire quale sarebbe la preda economicamente più appetibile per un’acquisizione.
In tempi molto recenti, era frequentemente pronunciata la frase: “Il teatrino della politica”. Ora, il suo utilizzo, si è assai rarefatto, e potrebbe andare in disuso. Auspichiamo non sia la conseguenza di un’accettazione passiva di modelli di comunicazione inconcludenti, usati così di frequente da farceli accettare come se fossero normali. Essere giunti a questa considerazione, ci ha molto stupiti, perché eravamo profondamente convinti che il termine “teatrino” avrebbe dovuto diffondersi, in breve tempo, ad ambiti diversi dalla politica. Ne avevamo data evidenza in altre occasioni, senza entrare nei dettagli analitici del modello di comunicazione cui facevano riferimento. Per esempio: avevamo segnalato come le assemblee delle società fossero diventate una semplice formalità, una rappresentazione con esposizione mediatica, per dare riscontro pubblico su esiti che i media avrebbero riportato come conclusivi, senza entrare nei dettagli e senza riportare le motivazioni dei dissenzienti.
Il rispetto formale di regole che impongono un’assemblea pubblica, senza la sostanza di un confronto tra competenze che potrebbero dare un valore aggiunto efficace per il conseguimento del miglior risultato possibile, su ciò che si dovrebbe deliberare, generano i risultati cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio nella finanza italiana. Sono la causa principale del mancato sviluppo tecnologico e della bassa crescita economica ed è un vero spreco non riuscire a valorizzare le potenzialità che potrebbero essere sostenute da un saggio utilizzo del risparmio nazionale, rispettando i diritti degli investitori
Le due interviste riportate sopra non fanno altro che confermare una verità che ci spaventa. L’esposizione mediatica serve ad influenzare chi riceve la comunicazione, per condizionarne i comportamenti. Si fa un uso distorto della psicologia, per favorire un proprio fine. Poi tutto termina lì, se anche nulla di ciò che si è affermato si verificherà, non importa, tanto chi ha rilasciato quell’intervista non ne dovrà rendere conto a nessuno. Tutto si apre e si chiude sul palcoscenico mediatico, i contenuti con cui si sono condizionate le persone, non contano, perché lo scopo non era la realizzazione delle promesse, ma ottenere l’approvazione di ciò che si era proposto.
Se qualcuno riuscisse a mettere in dubbio la nostra conclusione, saremmo felici di ammettere il nostro errore. Chiediamo solo che ci sia data una spiegazione sulle prime tre ricapitalizzazioni di Banca Carige e sulle dichiarazioni con cui gli amministratori hanno convinto gli azionisti a versare denaro fresco. Poi, sarebbe utile giustificare la reazione che ha portato al commissariamento con negazione, quasi integrale, del diritto d’opzione alla quarta richiesta, solo perché si era osato chiedere un piano industriale credibile e realizzabile, prima di versare nuova liquidità.