A febbraio aveva attratto la nostra attenzione un commento di Massimo Famularo, pubblicato su www.creditvillage.news, dal titolo “Direttiva NPL: nuove regole per cessioni e gestione”. Si tratta di un’analisi della direttiva approvata dal Parlamento europeo il 24 novembre 2021, molto corposa e di non facile lettura: per questo abbiamo particolarmente apprezzato la sintesi elaborata da un professionista competente, per di più di gradevole lettura, che ha stimolato la nostra curiosità ad entrare nei dettagli di un argomento che ci sta molto a cuore. Infatti, in più occasioni avevamo pubblicato nostri commenti e fatto esposti a più funzioni competenti, per segnalare quanto fosse pericolosa, per la nostra economia e per il risparmio nazionale, una gestione improvvisata e forzata della vendita di crediti deteriorati (Npl), in presenza di un mercato senza regole, privo della capacità di assorbire ciò che alle banche era imposto di vendere, entro un termine definito, e noto all’acquirente. Citiamo e commentiamo alcuni passaggi.
- L’obiettivo di fondo della direttiva è la promozione di efficienza e trasparenza sui mercati secondari dei crediti problematici auspicando che possano diventare il canale preferenziale per ridurre sistematicamente la dimensione degli stock NPL a livello europeo. Che fosse necessito fare chiarezza sulla cessione degli Npl, lo avevamo pubblicamente denunciato sin dal 22 dicembre 2018. La loro vendita forzata in un mercato che non poteva assorbire i volumi di vendita imposti, ha procurato ingenti perdite ai risparmiatori che avevano investito nel sistema bancario, e notevoli guadagni a chi li aveva acquistati. Noi non siamo tanto ingenui da pensare che le autorità competenti non potessero prevedere un simile squilibrio. Come mai non hanno atteso la creazione delle condizioni necessarie ad equilibrare il rapporto tra domanda e offerta, prima d’imporre la vendita dei Npl?
- La direttiva ha pertanto la finalità di modificare il quadro normativo per supportare le banche nella riduzione dei NPL e nel trasferimento del rischio, liberando risorse per l’erogazione e rafforzando la stabilità del sistema. Che senso ha imporre svendite che generano perdite, per trasferire il rischio, allo scopo di liberare risorse per l’erogazione di nuovi prestiti? Attività che genererà nuovi crediti deteriorati. Un circolo vizioso apparentemente irrazionale, che impedisce alle banche di fare il loro mestiere, ossia, gestire il rischio con competenza, vendendo gli Npl quando le perdite che generano sono inferiori ai profitti derivanti dall’erogazione di nuovi crediti. Se la riforma intende creare le condizioni per facilitare le vendite di Npl volontarie, è la benvenuta. Farlo dopo 9 anni di vendite forzate, non ha certamente agevolato il sistema bancario, perché l’accumulo di crediti deteriorati era frutto anche di controlli poco efficienti. O forse dovremmo pensare che la vendita forzata in quel preciso momento intendesse favorire obiettivi diversi?
Il 4 aprile, Repubblica.it pubblicava l’articolo: Il governo spinge le fusioni, altri sei mesi di crediti fiscali. Autori Andrea Greco e Serenella Mattera. Ci ha incuriositi, perché, guarda caso, sembrava contenesse risposte implicite alle domande poste nei capoversi precedenti. Ci appariva come una conferma sulla fondatezza dei dubbi che avevano angustiato gli azionisti di Banca Carige. Si citava altro istituto di credito, ma conferiva una logica alle apparenti incoerenze che avevamo percepito nella direttiva UE sui Npl. Infatti, l’articolo proseguiva con: Allo studio un’estensione della norma introdotta due anni fa per facilitare il salvataggio di Mps e che può essere sfruttata dalle aziende. Si potrà ricapitalizzare con le perdite pregresse. Ebbene, a questo punto insorge spontaneo un nuovo quesito: Come mai la conversione in crediti d’imposta è un’agevolazione a favore delle imprese e non degli azionisti che hanno pesantemente pagato per l’accumulo di imposte attive differite (Dta), generate proprio dalla vendita forzata dei Npl?
La considerazione che ne consegue, ci fa venire i brividi. Il circolo vizioso è una trappola micidiale in cui si stanno soffocando le prospettive di sviluppo economico dell’intera Europa e a sponsorizzarlo sono proprio le istituzioni che dovrebbero proteggere i risparmi e attivare stimoli per favorire un sano sviluppo dell’economia. Proviamo a descrivere il circuito vizioso, prendendo ad esempio quanto accaduto con CARIGE.
- S’impone di vendere i crediti deteriorati in un mercato in cui il potere negoziale è a favore dei compratori, perché le vendite sono superiori al potenziale di acquisto.
- La banca che li cede contabilizza perdite e per adeguarsi ai requisiti imposti dalla vigilanza BCE, deve ricapitalizzare. Per riuscirci tranquillizza i risparmiatori dicendo che quell’aumento sarà risolutivo dei problemi della banca.
- La vigilanza impone nuove vendite di Npl, ci sono nuove perdite e si chiede nuovo denaro al mercato, facendo le solite promesse. Il ciclo si ripete per ben quattro volte.
- Alla quarta richiesta gli azionisti chiedono un piano industriale, che possa dimostrare che sarà l’ultima volta in cui viene richiesta loro un’iniezione di liquidità.
- Si decide di espropriarli, facendo una ricapitalizzazione con esclusione quasi integrale del diritto d’opzione. Per fissare il prezzo di emissione nuove azioni, si stabilisce che il valore della banca sia circa un trentesimo del patrimonio netto, perché la voce principale che lo aveva determinato erano le Dta.
- Il governo decide di premiare chi acquisirà quella banca con la trasformazione delle Dta in credito d’imposta e, quindi, in patrimonio netto tangibile.
- Non si riesce a trovare una banca che voglia acquisire l’istituto di credito espropriato perché ci sono in corso contenziosi legali e ci sono alti rischi che se ne possano aprire altri. Per farlo si è costretti a pagare chi comprerà ad un prezzo simbolico.
- Gli azionisti delusi e sfiduciati, non credono più nel sistema paese. Accumulano denaro nei conti correnti e contraggono i consumi, smettendo di sostenere l’economia con investimenti in capitale di rischio.
Come sempre, lo diceva già Freud, la percezione dei fatti può cambiare in funzione del punto da cui inizia la descrizione dell’accaduto: infatti, se il racconto inizia dal punto 5, emerge una verità diversa da quella che sarebbe percepita partendo dal punto 1. Peggio ancora, se s’inizia dal punto 4 semplificando l’accaduto nella frase: gli azionisti non hanno voluto aderire ad un nuovo aumento di capitale. Iniziando dall’imposizione di vendita Npl su un mercato che era noto a tutti non fosse perfetto (così lo aveva descritto il Presidente di Banca Carige, Pietro Modiano, a fine 2018), dovrebbe essere noto a tutti che le perdite che hanno generato l’accumulo di Dta, sono state contabilizzate a danno degli azionisti e che la trasformazione in patrimonio tangibile a favore di chi li ha espropriati, dovrebbe indurre a riflessioni profonde chi avrebbe il dovere d’imporre il rispetto dei loro diritti.
Se si escludono gli azionisti, tutti gli altri intervenuti nei passaggi finali del percorso di Banca Carige, hanno tratto profitto. Il sistema bancario aveva guadagnato perché, se la banca fosse stata messa in liquidazione, come minacciato per ottenere il via libera all’aumento di capitale, le stime dicono che avrebbe dovuto versare tra i 7 e 10 miliardi ai correntisti. Chi la compra, guadagna perché viene pagato per farlo e trarrà benefici da tutte le sinergie e dalla liquidità derivante dalla conversione delle Dta in credito d’imposta. Lo stato ha guadagnato attraverso AMCO, una sua società che aveva acquistato Npl da Carige e avrà altre poste attive perché le Dta che saranno convertite in credito d’imposta, hanno un valore molto inferiore rispetto al credito d’imposta generato dalle minusvalenze sul capitale investito, che gli azionisti non riusciranno a recuperare, perché il lancio di un’Opa, probabilmente, provocherà il delisting, riducendo al minimo di legge il tempo utile per il recupero del credito d’imposta
Il 27naprile Il Sole 24 Ore- Radiocor Plus riportava una dichiarazione del sottosegretario all’economia Federico Freni, il contesto era affine e, quindi, riportiamo solo la parte finale, che riteniamo importante evidenziare: “il ministero dell’Economia in particolare e l’Esecutivo in generale prestano la massima attenzione a tutto ciò che concerne sia la tutela degli investitori sia l’operatività di intermediari e mercati che, con la propria attività, contribuiscano a determinare, in via mediata, l’afflusso di finanziamenti alle imprese ed al settore produttivo. Si sta operando in tal senso nelle sedi preposte a livello di Unione europea nonché nella definizione di un rigoroso ed efficiente ambiente regolamentare a livello nazionale”.
La risposta che potrebbe dare un senso logico a tutti i dubbi sin qui illustrati, potrebbe essere: le Autorità europee e quelle nazionali hanno avvallato tutto ciò che abbiamo descritto, perché volevano favorire le aggregazioni bancarie. Ciononostante non ci sono riuscite, perché le forzature attuate per conseguire lo scopo, hanno introdotto rischi di contenziosi legali di cui nessun acquirente vuole farsi carico, e per acquisire Carige ad un prezzo simbolico, di fatto, pretendono di essere pagati. L’allontanamento dei risparmiatori dalla finanza è certamente un costo superiore ai benefici conseguiti.
Anche noi riteniamo che le aggregazioni bancarie siano una priorità per l’intera Europa. Però Il farle compromettendo la fiducia dei risparmiatori e conferendo una percezione nebulosa del sistema finanziario nel nostro continente, favorisce la fuga di capitali verso altri mercati, favorendo flussi di liquidità verso economie ritenute più affidabili. Una trappola che penalizzerà il sistema paese nei prossimi anni, quando, con l’introduzione della garanzia europea sui depositi bancari, le banche saranno spinte a ridurre la loro esposizione verso il debito sovrano perché, come descritto da Radiocor il 3 maggio, sotto il titolo Banche: compromesso E19, garanzia depositi in 2 fasi, sotto tiro esposizione debito sovrano. Nell’implementazione delle regole si prospetta che sia penalizzata la concentrazione di titoli di stato nei portafogli bancari. Creare le condizioni affinché i risparmiatori ritornino ad investire a sostegno del debito nazionale, è diventata una priorità non più procrastinabile, perché, quando le banche dovranno vendere titoli di stato, bisogna avere creato le condizioni che favoriscano il loro acquisto. Per non farsi cogliere impreparati, bisogna trovare una soluzione che ci faccia uscire dal circolo vizioso in cui ci ha condotto la superficialità di volere gestire le priorità del presente, senza una visione strategica sul futuro. La soluzione esiste e nei prossimi giorni la prospetteremo alle autorità competenti
Per riuscire ad esprimere tutto il potenziale latente nel risparmio, abbiamo bisogno che chi definisce le rotte della finanza, sappia guardare avanti, oltre il presente, per pianificare un domani migliore per i nostri figli, indirizzando i risparmi verso uno sviluppo economico che riconosca un giusto rendimento, in un ambiente che abbia saputo allontanare predatori e avvoltoi.