Rif 1. Giovedì 11 marzo 2021, Il Secolo XIX ha pubblicato l’articolo “Banca Carige, crescono le perdite”. Ci siamo stupiti che i dati preliminari diffusi pochi giorni prima potessero essere rettificati in così poco tempo e, incuriositi, ci siamo immersi nella lettura per scoprire le motivazioni. Le perdite erano cresciute a 251,6 milioni, ben 66,3 in più del dato diffuso preliminarmente due settimane prima. L’incremento delle perdite era dovuto ad una riduzione delle DTA inserite a bilancio, perché s’ipotizzava che il loro recupero potesse avvenire in un periodo molto più lungo, quindi, il loro ridimensionamento, si ripercuoteva direttamente sull’ultima riga del conto economico.
Abbiamo dedotto che, se il CDA aveva fatto quella correzione, considerasse improbabile una fusione entro fine anno e che qualcosa di definitivo stesse emergendo rispetto alle valutazioni preliminari che, invece, ritenevano probabile il recupero di quelle imposte differite, nel momento in cui erano state inserite a bilancio. Abbiamo così intravisto una possibile conferma sui dubbi, espressi più v0lte, che CCB non fosse lo sposo adatto a maritarsi con Carige, nonostante la cospicua dote che sarebbe emersa in caso di fusion: 827 milioni di Dta a bilancio, più 491 fuori bilancio, che si sarebbero trasformati in 1,318 miliardi di crediti d’imposta in caso di fusione.
Rif. 2. Il 12 marzo, Il Messaggero, con l’articolo “La Ccb offre 1 euro per rilevare Carige – a un passo la rottura con il fondo tutela”, conferma che potrebbe essere intervenuta qualche variazione che ha indotto il Cda della Carige a rivedere il bilancio prima dell’approvazione. Leggendo l’articolo si scopre che Ccb, oltre all’offerta simbolica necessaria a giustificare il passaggio di proprietà delle quote azionarie, chiedeva anche una dote aggiuntiva di 500 milioni, necessaria a coprire un possibile aumento di capitale di pari importo, che Bce avrebbe chiesto a Ccb, come aumento di capitale per consentire la fusione con Banca Carige.
Rif. 3. Lunedi 15 marzo, in “Affari e Finanza”, allegato a “La Repubblica”, è stata pubblicata un’intervista all’amministratore delegato della banca ligure, Francesco Guido, dal titolo “Ora Carige è pronta per qualsiasi compratore”. Il manager spiega che gli scostamenti tra previsioni e risultati, non sono imputabili a esposizione di rischio, ma a costi per rettifiche, accantonamenti e imposte differite che possono essere integralmente recuperabili in caso di una fusione con altro istituto di credito. Il punto di forza della banca, dichiara Guido, è la qualità dei suoi attivi dopo la pulizia nei crediti deteriorati che sono scesi da un massimo di 7,3 miliardi a 600 milioni a fine 2020. Ora è pianificata la cessione di altri 100 milioni di crediti ad Amco, portando il rapporto dei crediti deteriorati sul totale di quelli concessi ai clienti (Npe) al 5,1 %, livello molto più basso della media nazionale.
Rif. 4. Il 14 marzo su La Stampa, è stato pubblicato l’articolo “Il salvataggio fa guadagnare lo stato, ma il futuro di Carige ora è un rebus”. Come in altre occasioni, il giornalista Gianluca Paolucci, riesce a cogliere fatti capaci di generare una comprensione particolarmente efficace su dettagli finanziari che emergono come conseguenza delle sue riflessioni analitiche.
Il giornalista ha messo in relazione tra di loro, alcuni dati estratti dal bilancio di Amco, società creata dallo stato per acquistare i crediti deteriorati, dando visibilità a numeri significativi, da cui è possibile fare derivare considerazioni molto interessanti: l’incidenza dei 2,8 miliardi di crediti ceduti da Banca Carice a fine 2019, era pari al 7 % della massa dei Npl gestiti dall’intermediario. Emerge una sproporzione molto evidente, se si confronta il risultato con un altro rapporto, quello tra ricavi generata dai crediti conferiti da Carige, sul totale dei ricavi 2020 di Amco, che si attesta al 37 %. Dai numeri emerge, quindi, con chiarezza la sproporzionata differenza tra le due incidenze percentuali. Le spiegazioni possibili sono due, o i crediti ceduti da Carige erano di facile riscossione, o il prezzo a cui sono stati ceduti consentiva margini molto più elevati a causa di un prezzo di cessione inferiore a quello attribuito dal mercato a quei crediti.
Questa analisi dimostra, nel caso ve ne fosse ancora bisogno, che è certamente necessaria la creazione di un mercato dei crediti deteriorati, che permetta valutazioni trasparenti sull’operato di chi li vende, chi li acquista e sui margini generati dalla loro gestione, perché è ormai più che evidente che la loro cessione forzata generi trasferimento di ricchezza dagli azionisti delle banche a chi li acquista. Non ci dilunghiamo oltre e, per ulteriori approfondimenti sul tema, rimandiamo agli articoli pubblicati in precedenza sull’argomento, in particolare: Europa: una landa finanziaria (Pubblicato il 16 feb. 21) e NPL in cerca di soluzioni (pubblicato l’8 mar. 21)
Rif. 5. Il Giornale ha pubblicato l’articolo “Carige, Ccb scombina i piani di Franco”, il 16 mar. 2021. Questo articolo merita di essere segnalato perché esce dallo schema proposto dalla maggioranza delle altre testate e introduce una possibile variante al risiko bancario, che potrebbe mettere in dubbio i progetti del neo ministro dell’economia. Il giornalista ipotizza che Unicredit possa ritenere una fusione con Carige più appetibile di quella con Mps. In un altro passaggio affronta un aspetto che potrebbe dare una risposta a temi che abbiamo più volte evidenziato ma a cui nessuno ha ancora risposto. Lo fa quando afferma: “Anche per questo la Bce sta spingendo i protagonisti a trovare una soluzione entro fine mese”.
Finalmente qualcuno fa un accenno ad un fatto di primaria importanza, anche se non lo esplicita chiaramente: la Bce si sente in diritto di chiedere cosa voglia fare Ccb, prima di esprimere un parere sui suoi bilanci. È doloroso ammetterlo, perché lo avevamo più volte segnalato nei nostri esposti, ma Ccb non ci risulta ancora che sia stata autorizzata ad acquisire il controllo di Banca Carige e da ben oltre un anno, sentiamo ipotesi su cosa farà, ma ancora oggi non ci è dato sapere se avrebbe mai potuto mettere in atto ciò che, la stragrande maggioranza dei media, ha ipotizzato non voglia fare.
Rif. 6. La mattina del 17 marzo MF-DJ, anticipando il comunicato che avrebbe rilasciato Fitd dopo la riunione del suo Comitato di gestione, annuncia, citando un articolo de “La Stampa”, che il possessore dell’80 % delle azioni di Banca Carige sta preparando il ritorno alla negoziazione del titolo entro l’estate, con lo scopo di trovare un istituto di credito disposto a rilevare la quota di controllo in suo possesso.
Rif. 7. La sera del 17 marzo, dopo la riunione del consiglio Fitd e del comitato di gestione Svi, è stato rilasciato un comunicato con cui si ufficializzava che Ccb non avrebbe esercitato il diritto di acquisto sulle azioni di Banca Carige, che le avrebbero consentito di acquisirne il controllo. La motivazione del ripensamento era attribuita a: “Il grado di aleatorietà della pandemia sul mercato, la sua imprevedibile evoluzione e i rischi connessi a questo eccezionale scenario, hanno indotto il consiglio di Ccb a questa decisione”.
Rif. 8. Il 18 marzo “la Repubblica Genova” ha commentato la decisione presa dalla holding trentina nell’articolo “Carige, Ccb rifiuta. Tutto da rifare per la banca”. Nell’esposizione dei fatti si conferma che era stata Bce a chiedere una decisione definitiva prima della scadenza dei termini prevista per fine anno. Nel finale dell’articolo s’ipotizza che non ci sia alcuna urgenza di trovare un nuovo partner per la banca dei liguri, i cui conti sono in miglioramento, nonostante le perdite. L’articolo si chiude con la frase: Unico obbligo, già indicato da Bce, è che si tratti di un “soggetto bancario”.
Rif. 9. La sera del 18 marzo Radiocor sintetizza la lettera con cui Ccb cerca di spiegare la rinuncia all’acquisizione del controllo di Banca Carige. Il titolo era: “CARIGE: CCB ROMPE IL SILEBZIO, STOP ACQUISTO DECISIONE SOFFERTA”. Si fa riferimento alla lettera che Giorgio Fraccalossi, numero 1 di Ccb, ha mandato alle 77 banche di credito cooperativo che compongono il gruppo. Nulla di nuovo che meritasse di essere citato in questo articolo, a parte il riferimento alla sofferenza.
Ora proviamo ad utilizzare tutto ciò che è stato evidenziato da alcuni quotidiani, integrandolo con considerazioni logiche, per impostare un’oggettiva valutazione del trattamento subito dagli azionisti che avevano creduto alle dichiarazioni fatte per indurli a coprire le numerose ricapitalizzazioni della banca ligure (il numero corrisponde ai fatti riportati dai quotidiani e identificati con lo stesso numero di riferimento).
- La revisione delle perdite, dopo pochi giorni dalla diffusione dei dati preliminari, ha segnalato un cambiamento di rotta repentino dopo che ha preso consistenza l’ipotesi che Ccb non avrebbe esercitato l’opzione di acquisto. Noi non riteniamo di poter escludere che sia stata una manovra fatta per trasferire perdite nell’esercizio precedente e rendere più interessante il titolo nell’esercizio in corso.
- La richiesta di una dote di 500 milioni fa presupporre, come accennato da alcuni articoli, che servissero per ottenere da Bce l’autorizzazione ad acquisire il controllo di Carige. Ma se, come descritto dal Dott. Francesco Guido, la preda ha parametri cosi appetibili, per quale ragione il controllore riteneva necessaria una nuova iniezione di capitale fresco? Non potrebbe essere che il problema fosse nel bilancio di una holding i cui conti non erano mai stati controllati?
- Come mai il Cda della Carige ha ritenuto di dovere modificare gli accantonamenti e le rettifiche dopo che hanno iniziato a circolare indiscrezioni sulle reali intenzioni di Ccb? Non è possibile che lo abbia fatto per facilitare il ritorno del titolo a piazza Affari, con una bella trimestrale, ora che lo sposo che non apprezzava l’impegno di dovere togliere il titolo dal mercato, ha rinunciato alle nozze?
- Se i 2,8 miliardi di crediti deteriorati conferiti da Carige ad Amco, hanno inciso per il 7% sul suo stock, contribuendo per il 37 % sui suoi ricavi, come mai l’amministratore delegato ritiene così vantaggioso cederne altri 100 milioni, sapendo che nessun vincolo lo impone, e che i margini realizzati da chi li acquista corrispondono a perdite nei bilanci della banca? Non è possibile che la loro cessione sia un incentivo per chi volesse acquisire il controllo della banca, perché abbassa il valore di acquisto e consente benefici futuri sul pagamento delle imposte?
- L’ipotesi elaborata dal giornalista sul gradimento che potrebbe essere riservato da un potenziale acquirente a Banca Carige, appare come una conferma di quanto abbiamo sempre sostenuto: si è fatta pagare la pulizia dei conti ai vecchi azionisti, per offrire una sposa con dote a chi volesse sposarla. La tesi sostenuta nell’articolo conferma che c’è qualcosa di non detto nel rifiuto di Ccb, che pretendeva una dote aggiuntiva di 500 milioni a quella già contenuta nei bilanci della banca che, se non bastasse, ha indici ai migliori livelli nazionali, come asserito da Guido nell’intervista a Repubblica.
- La priorità attribuita all’informazione di volere riportare il titolo alla negoziazione di borsa, fa sorger il dubbio che sino ad oggi si sia tergiversato per assecondare le esigenze di Ccb. Se così fosse, sarebbe estremamente grave, perché il titolo non è negoziabile da oltre due anni con gravi danni per chi, nel frattempo, ha pagato imposte sulle plusvalenze maturate, mentre avrebbe potuto usarle per recuperare il 26 % delle perdite generate dall’investimento in Carige.
- Le motivazione addotte da Ccb per giustificare il proprio ripensamento, servono solo a documentare che l’accordo quadro con cui si è tolto il diritto d’opzione ai vecchi azionisti era insussistente e lasciava piena libertà di movimento ad una delle parti che, per di più, godeva di privilegi (lo sconto 47 %) che avrebbero penalizzato tutti gli azionisti che avessero deciso di aderire alla ricapitalizzazione, rendendo assai flebile la possibilità che il titolo mantenesse i requisiti indispensabili per restare negoziabile a piazza Affari.
- L’unico obbligo segnalato da Repubblica con la frase conclusiva dell’articolo, suona come una conferma della volontà di espropriare gli azionisti, togliendo loro il diritto d’opzione, per perseguire un progetto di aggregazione tra istituti di credito. Anche qui nulla di nuovo. Speriamo solo che non s’intimidiscano potenziali acquirenti nazionali, segnalando come attori preferiti fondi stranieri.
- Il riferimento alla sofferenza ha generato in noi una vera reazione di profondo disgusto. Noi conosciamo benissimo la sofferenza dei dipendenti che hanno votato a favore di quell’aumento di capitale, approvando un esproprio e rinunciando al diritto di rivalsa, che a fine anno si sono scoperti esodati e pochi giorni fa hanno avuto la sorpresa che le azioni possedute si erano ridotte ad una piccola frazione, in cambio della quale si sono visti accreditare pochi centesimi sul conto corrente, in sostituzione delle decine di migliaia di euro del proprio TFR investiti nella banca cui avevano dedicato la propria vita. Porto un solo esempio della sofferenza patita dalle decine di migliaia di azionisti, che non lavoravano nella banca. Per rispetto non posso citare gli avvenimenti più drammatici, ma ricordo il già segnalato caso di chi è stato in coma per cinque giorni, a causa dell’accumulo di psicofarmaci nel proprio corpo, il cui uso si era reso indispensabile perché non riusciva più a prendere sonno. Ebbene, non possiamo accettare che il termine “sofferenza” possa essere utilizzato come paravento, da uno, della lunga fila di soggetti che, con dichiarazioni mai andate a buon fine, hanno convinto gli azionisti di banca Carige a versare denaro, per poi indurli ad approvare un aumento di capitale che trasformava le decine di migliaia di euro in centesimi e trasferiva il possesso potenziale della banca ad un soggetto che, “con sofferenza”, ha rinunciato al regalo confezionato per lui.
È avvenuto ciò che era fin troppo facile prevedere, ciononostante si è voluto validare un progetto industriale che non aveva alcuna ragion d’essere. Se lo scopo era questo e fosse stato perseguito con un’operazione di mercato trasparente, tutto sarebbe stato accettabile. Ciò che l’ha reso esecrabile è che prima si sono indotti gli azionisti a versare danaro per tre volte e, poi, come se chiedere un piano industriale fosse un reato, è stato negato loro il diritto d’opzione e si sono utilizzati i dipendenti della banca per raccogliere deleghe che espropriavano e che avrebbero tolto il diritto di rivalsa a chi le conferiva.
Abbiamo dovuto lavorare molto per ridurre all’essenza e comprensibile a tutti l’ingarbugliata matassa di ciò che è accaduto agli azionisti di Banca Carige. Se ora tutto appare più complicato, è solo perché: se si ha l’abitudine di andare sempre in giro spettinati, quando si vuole mettere in ordine la testa, è naturale che i nodi arrivino al pettine.