25 novembre 1999 La Repubblica aveva pubblicato un articolo per dare evidenza ad un fatto che, in quel periodo, poteva apparire quasi normale. Il titolo era: “Finmatica ancora sospesa, rialzo del 540 per cento”. Eravamo in piena bolla speculativa che gonfiava le quotazioni delle società che potevano essere configurate come attive nell’universo delle imprese riconducibili a internet (definite anche Dotcom). Riportiamo un capoverso di quell’articolo, perché documenta l’euforia che alimentava la lievitazione dei corsi azionari in una fase che stava facendo da preludio allo scoppio di una bolla e produceva effetti distorsivi sulle strategie degli investimenti azionari: “Anche oggi si profila una giornata tutta all’insegna del nuovo mercato. Quattro titoli su cinque in apertura di piazza Affari erano stati sospesi. Era operativa soltanto Tiscali, scambiata con un rialzo del 4,18 per cento. Ancora sospesi alle 10.30 anche gli altri titoli del nuovo mercato come Tecnodiffusione, Poligrafica San Faustino, Prima industria e Opengate”.
L’unico titolo presente nel nuovo mercato, che aveva aperto regolarmente le contrattazioni quel giorno, era Tiscali. Società la cui dimensione attuale è probabilmente nota a molti e può essere sintetizzata dalla sua capitalizzazione di borsa, che, a inizio giugno 2021, si aggira intorno ai 115 milioni. Questo titolo rappresenta benissimo il senso di cosa stesse accadendo sui mercati finanziari mondiali in quel periodo in cui Alan Grespan aveva allertato i mercati che riteneva fossero spinti da: “Esuberanza irrazionale”. Infatti, il titolo era arrivato a superare la capitalizzazione di borsa della Fiat.
Il 21 maggio 2021, avevamo pubblicato l’articolo dal titolo “Corporate governance”, in cui, traendo spunto dalla presentazione di un rapporto del commissario Consob, Paolo Ciocca, avevamo, segnalato il possibile esproprio dei piccoli azionisti con operazioni di delisting che, pur essendo legittime, possono essere gestite con abile arguzia, i cui meccanismi avevamo descritto dettagliatamente, per segnalare i vantaggi potenziali a favore di azionisti di controllo e a danno dei più vulnerabili piccoli azionisti. Ora vorremmo descrivere cosa sta accadendo alla Poligrafica San Faustino, che ci appare un caso molto particolare, perché il decorso del suo delisting è uscito dagli schemi abituali e merita di essere evidenziato. Primo perché dimostra come la comunione d’intenti di un gruppo di azionisti possa bloccare un progetto ed indurre chi aveva ipotizzato di raggiungere lo scopo con estrema facilità, a cambiare strategia. Secondo perché la sorpresa per il comportamento degli azionisti, ha costretto la loro controparte ad architettare strategie alternative, che dovrebbero spingere le autorità a definire nuove regole, che, come vedremo, potrebbero arginare gli eccessi di discrezionalità e tutelare con maggiore efficacia i risparmiatori che hanno fiduciosamente versato i propri risparmi in una società quotata.
La storia della quotazione della Poligrafica San Faustino, inizialmente nata come libreria di Brescia, a cui in seguito si era affiancata una tipografia, era iniziata il mese prima che fosse pubblicato l’articolo citato sopra: ottobre 1999. Borsa italiana aveva annunciato l’avvio di un nuovo comparto in cui sarebbero state inserite le società che, per lo sviluppo del proprio giro d’affari, avrebbero utilizzato le potenzialità di internet: Il nuovo mercato, che era anche affiancato da un proprio indice di settore. Consob aveva approvato il regolamento e Borsa italiana aveva annunciato il suo avvio il 28 gennaio 1999, con la seguente descrizione che estraiamo dal comunicato: “L’operatività del Nuovo Mercato – creato da Borsa Italiana per la quotazione delle imprese caratterizzate da elevate prospettive di crescita – è avviata da oggi”. I titoli della tipografia bresciana, come avrete dedotto dall’articolo di Repubblica, nell’ottobre 1999 erano stati quotati con inserimento nel Nuovo mercato, che con quella descrizione introduttiva, non poteva che alimentare le attese più rosee sul suo futuro percorso borsistico.
Le negoziazioni di borsa nel 1999 erano ancora in lire, ma per praticità e per non creare complicazioni inutili, diciamo che fu collocata sul mercato a 37 euro. Dopo poco pii di cinque mesi, Poligrafica San Faustino aveva superato i 200 euro. Poi, dopo lo scoppio della bolla il titolo è progressivamente sceso e negli ultimi cinque anni ha languito tra i quattro e gli otto euro. Poi, all’improvviso, l’azionista di maggioranza ha lanciato un’opzione pubblica di acquisto (Opa) a circa 7 euro. Una piccola frazione rispetto al prezzo di collocamento che diventa irrisoria se confrontata con il valore massimo realizzato nel marzo del 2000.
Tutto è accaduto in conseguenza della solita tempesta perfetta che porta al delisting di una società quotata. Il valore del titolo, complice la discesa dei mercati a causa della crisi economica prima e della pandemia, poi, è sceso a livelli di saldo, anche perché l’enfasi posta sulle prospettive future della società era ben diversa da quella utilizzata per favorire l’interesse per il suo collocamento e, naturalmente, chi decide sulla base di informazioni, non poteva che prendere le distanze da una società quotata che non ne diffondeva. Lo abbiamo detto più volte, un titolo è mosso più dalla psicologia che dai suoi fondamentali e tutto ciò che stiamo tratteggiando in questo articolo, documenta quest’affermazione con rinnovata forza.
In questa occasione, i piccoli azionisti hanno reagito in modo inconsueto: non hanno aderito in massa a quell’Opa, semplicemente perché hanno considerato che quel titolo valesse molto di più di quanto era stato offerto. Il ragionamento che li aveva dissuasi dall’accettazione era molto semplice: negli ultimi anni erano stati deliberati cospicui investimenti, per adeguare gli impianti all’evoluzione tecnologica e innovare i processi produttivi. Gli ultimi bilanci erano stati appesantiti dai costi sostenuti e, nel momento in cui l’azienda poteva iniziare a raccogliere i frutti di un’evoluzione strategica, era stata lanciata un’Opa che poteva mantenere i profitti a favore degli azionisti di controllo, con esclusione dai benefici futuri di quelli che erano entrati per sostenere lo sviluppo dell’impresa, con iniezione di capitali freschi. Per questa semplice ragione i piccoli azionisti hanno preferito mantenere il possesso delle azioni, anche se erano consapevoli che un eventuale successo dell’Opa poteva farli cadere nel ruolo marginale di chi possiede azioni non più negoziabili su un mercato ufficiale.
Anche se accaduto raramente, non era la prima volta che un’Opa falliva la quota di adesione che era stata posta come vincolo per l’acquisto delle azioni conferite, in questo caso il risultato era stato particolarmente lontano da quanto previsto come limite al momento del lancio, perché solo l’1 % delle azioni oggetto dell’opzione, aveva aderito all’offerta. Considerato il risultato, anche un eventuale rilancio aveva poche probabilità di successo, a meno che non fosse talmente elevato da documentare l’insostenibilità del confronto con la proposta iniziale.
Si poteva ipotizzare che i giochi fossero finiti e che il progetto di delisting era tramontato, invece no. I cinque fratelli Alberto, Giuseppe, Emilio, Francesco e Giovanni Frigoli, che detenevano il controllo di Campi S.r.l, hanno deciso d’incorporare Poligrafica San Faustino In Campi dopo averla trasformata in S.p.a. Poiché la famiglia detiene 48,117 % del capitale e il 5,59% è in possesso dalla stessa Poligrafica e, quindi, è senza diritto di voto, l’esito della votazione, appare scontato e gli azionisti di minoranza sono destinati ad accettare che il capitale investito sia trasferito da una società quotata ad una che non lo è e, quindi, a operazione conclusaci si sarebbe liberati anche dei vincoli cui è soggetta un’impresa che è quotata su un mercato regolamentato.
Unica via d’uscita per gli azionisti, potrebbe essere il diritto di recesso, che, però, è consentito solo a chi non abbia espresso voto favorevole nell’assemblea che ha deliberato la fusione, in quel caso otterrà che le azioni possedute gli siano pagate al prezzo della media aritmetica calcolata sul valore di chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione della convocazione dell’assemblea straordinaria. Se fosse consentita questa operazione, la strategia troverebbe una conferma ufficiale e i piccoli azionisti avrebbero una ragione in più per non conferire capitale nella finanza, perché anche altri operatori potrebbero valutare di attuare la stessa strategia, sin dal momento in cui decidono di collocare un titolo in borsa, utilizzando la volatilità dei mercati come meccanismo per collocare ad alto prezzo un’impresa sul mercato e riappropriarsene a basso costo alla prima inversione del ciclo economico, dopo avere creato le condizioni per massimizzare i vantaggi ottenibili.
Esponiamo un’idea che ci è venuta mentre scrivevamo questo articolo. Nessun problema è senza soluzione, quando la si vuole trovare. In questo caso basterebbe una norma semplicissima: quando un azionista di controllo lancia un’Opzione pubblica di acquisto, qualsiasi azionista, in proprio o con capitali di terzi, è legittimato a chiedere a chi ha lanciato l’Opa, di cedergli le azioni da lui possedute allo stesso prezzo con cui era disposto ad acquistarle dagli altri azionisti. Gli effetti ottenibili potrebbero essere molteplici:
- Sarebbe più probabile ottenere una valorizzazione più corretta delle società su cui è lanciata un’Opa;
- Si garantirebbe una maggior tutela degli investitori più vulnerabili;
- Sarebbe probabile un incremento della fiducia che i risparmiatori avrebbero nei confronti dei mercati finanziari;
- si faciliterebbe il reperimento di capitali alle imprese che ricorrono alla finanza per sviluppare progetti industriali in cui credono.
- Si indurrebbe un allontanamento dei furbi dalla finanza, perché chi agisce in malafede si troverebbe con meno strumenti a disposizione per strategie potenzialmente penalizzanti per i risparmiatori;
- anche i furbi potrebbero subire danni dai propri tentativi di approfittarsi della buona fede dei risparmiatori.
Un altro pezzo del percorso finanziario dei fratelli Frigoli, merita di essere tratteggiato, perché, anche in questo caso, si è fatto ricorso ad un’operatività che esce dai canoni consueti: l’aumento di capitale lanciato nel 2004 in più tranches. Estraiamo e riassumiamo alcuni passaggi del prospetto informativo, per permettere ai lettori di farsi una propria opinione; noi, come consuetudine, ci limitiamo ad esporre i fatti.
- (1.1 del prospetto) si espongono le finalità dell’aumento di capitale che sintetizziamo noi: finanziare investimenti per l’attività caratteristica della società per consolidare la leadership sul mercato di riferimento. Poi c’è un passaggio che riportiamo integralmente: “Il Consiglio ritiene, altresì, che corrisponda all’interesse della Società, per garantire il buon esito dell’operazione, che tale aumento venga offerto, con esclusione del diritto di opzione, ad investitori istituzionali in grado di assumersi, in un momento di incertezza dei mercati finanziari e di perdurante difficoltà di collocamento degli strumenti finanziari di nuova emissione, un impegno di sottoscrizione a fermo”. Dopo questa precisazione, si riporta che è già stato negoziato un accordo con Societé Generale, che sarà formalizzato al più presto.
- (1.6.1 del prospetto): Si definiscono le modalità di calcolo del prezzo minimo di collocamento: “Alla luce del disposto dell’art. 2441, 6° c., c.c., il prezzo minimo non può essere inferiore a quello risultante dal valore del patrimonio netto, tenuto conto del prezzo ufficiale di Borsa dei titoli Poligrafica San Faustino s.p.a. nel corso del semestre precedente alla data della delibera di aumento”.
- (1.6.2) Si definisce il modello di calcolo per stabilire il valore di collocamento che sarà probabile sia diverso per ogni singola tranches: “Il prezzo di emissione delle azioni oggetto delle singole tranches (corrispondente alla somma del valore nominale e del sovrapprezzo) sarà pari ad un importo corrispondente al 94% del prezzo medio ponderato, sulla base dei volumi negoziati, del titolo Poligrafica San Faustino s.p.a., nel corso dei venti giorni di borsa aperta successivi alla data delle singole offerte in sottoscrizione, fermo restando che tale prezzo non potrà comunque essere inferiore al prezzo minimo sopra indicato”.
Gli investimenti citati al punto uno, da cui deriverebbe la necessità di fare l’aumento di capitale, non facevano più riferimento all’attività per la quale si era richiesta l’ammissione del titolo alla negoziazione sul mercato borsistico nazionale. Se ne potrebbe dedurre che il progetto che aveva determinato il collocamento della società, non fosse andato secondo le previsioni. Sono cose che possono accadere e un imprenditore può certamente rivedere i propri progetti. Al punto 2 si definisce che il prezzo minimo non potrà essere inferiore al valore del patrimonio netto per azione; se non fosse uguale o maggiore, non si potrebbe negare il diritto d’opzione agli azionisti. Al pinto tre si dice come sarà calcolato il prezzo di emissione di ogni singola tranche.
A stupirci, non è il fatto che un gruppo di soci di controllo abbia sottoposto all’approvazione dell’assemblea l’aumento di capitale descritto, ma che abbiano potuto farlo, senza che nessuno sia intervenuto. La sintesi del percorso borsistico di Poligrafica San Faustino è la seguente:
- si è collocata una società in borsa in piena bolla speculativa con un progetto che non ha dato i risultati sperati;
- Circa cinque anni dopo, si era delibero un aumento di capitale per fare investimenti che ridessero slancio all’attività che la società svolgeva prima del collocamento in borsa;
- l’aumento prevedeva l’esclusione del diritto d’opzione che solitamente spetta agli azionisti;
- l’aumento di capitale prevedeva uno sconto del 6 % rispetto al prezzo medio di mercato nei venti giorni successivi alla data di sottoscrizione; in pratica chi sottoscriveva l’aumento avrebbe avuto la possibilità di fare operazioni, anche allo scoperto, nei venti giorni utili per determinare il prezzo cui sarebbe stata pagata quella tranche, ricevendo comunque uno sconto del 6%;
- dopo altri quindici anni si è stata lanciata un’Opa per delistare il titolo, che però non era andata a buon fine;
- i soci di controllo hanno proposto un’assemblea per deliberare la fusione con società non quotata, che è controllata da loro stessi;
- agli azionisti non resta altro che esercitare il diritto di recesso, che, probabilmente valorizzerà le azioni ad un prezzo inferiore rispetto a quello che avrebbero ottenuto aderendo all’Opa.
Se prima avevamo proposto una soluzione ad un problema, ora possiamo solo evidenziarne un altro che ci appare enorme: la finanza sembra diventata una partita a scacchi, in cui le controparti di chi ci ha messo i soldi per sostenere lo sviluppo di una società, hanno la facoltà di compiere una mossa con cui fare uscire l’avversario dalla partita. L’incauto investitore è destinato sempre e comunque a tacere e a subire o a intraprendere costosissime azioni legali che spaventano persone che non sono mai entrate in contatto con un legale. Dopo queste costatazioni, l’unica proposta che possiamo avanzare è che si ricominci tutto da capo. La prima regola dovrebbe essere: è sempre vietato, ciò che non è esplicitamente consentito. Tutte le regole che seguiranno dovranno essere riscritte con il coinvolgimento di chi non ha mai contribuito alla definizione delle regole che dovrebbero tutelare i diritti garantiti dall’articolo 47 della nostra costituzione: la categoria dei risparmiatori che investono i risparmi con il preciso scopo di garantirsi un futuro sereno, non di passarlo in ansia perché costretti a coinvolgersi in complesse azioni di rivalsa.