Banca Carige è stata più volte descritta come una banca assimilabile a tutte le altre che hanno attraversato momenti di difficoltà e sono entrate in crisi a causa di manager con pochi scrupoli. Se una simile valutazione poteva essere ritenuta valida sino al momento in cui Banca d’Italia è intervenuta per bloccare la distribuzione di un dividendo già promesso, imponendo, invece, una prima ricapitalizzazione, da quel momento in poi una simile affermazione non sarebbe stata più sostenibile.
A determinare la differenza è stato il comportamento dei suoi azionisti. Gli azionisti delle altre banche hanno, con pieno diritto, richiesto che fossero riconosciuti i danni a causa di comportamenti non in sintonia con le regole del mercato, che loro avevano subito, mentre quelli di Banca CARIGE hanno deciso di rispondere compatti alla richiesta di capitale imposta da Bankitalia, convinti, anche dalle dichiarazioni degli amministratori, che la banca sarebbe tornata presto alla redditività, come accaduto ad altre banche di maggiori dimensioni, che avevano dovuto affrontare problemi analoghi.
Per affrontare un passaggio particolarmente difficile del sistema bancario europeo, si è deciso fosse necessario un sistema di controllo che facesse riferimento alla BCE. E’ stato istituito con molta fretta e senza un’accurata definizione dei suoi compiti, dei suoi limiti e opportuni contrappesi utili a evitare pericolosissimi conflitti d’interesse, in un’istituzione gestita da funzionari proposti da una nazione, che potevano deliberare su istituzioni finanziarie di uno stato confinante e/o con cui era in competizione su più attività economiche, senza alcun arbitro che riequilibrasse i poteri quando agiva in conflitto d’interesse.
Su Banca CARIGE si sono addensate le nubi che l’hanno portata a quattro incomprensibili ricapitalizzazioni in pochi anni. Se si fosse deciso subito di fare una mega ricapitalizzazione, tutto sarebbe stato più comprensibile. Chi avesse voluto e potuto, avrebbe aderito; chi avesse preferito uscire, lo avrebbe fatto con la consapevolezza di non aumentare il capitale in un investimento che non era andato come avrebbe desiderato. Per chiarezza precisiamo che chi era a capo della vigilanza, aveva la facoltà di prendere decisioni, ma anche il dovere di rispettare i diritti degli investitori. Il problema è nato dal fatto che non esistessero norme in grado d’imporre limiti ed evitare eccessi dannosi per l’economia di nazioni in competizione tra loro e per risparmiatori, cui si diceva che dovevano versare ancora denaro, poco dopo avere fiduciosamente aderito a una ricapitalizzazione dichiarata risolutiva.
La sequenza d’inasprimenti normativi e richieste di denaro fresco a raffica, ha creato le condizioni che abbiamo descritto nell’articolo: “L’indicatore della paura”. Le particolari caratteristiche della banca in cui, spesso, i dipendenti erano anche clienti e azionisti, hanno minato la credibilità dell’istituto di credito ed hanno contribuito a indurre chi generava il suo giro d’affari a prendere contatto con nuovi interlocutori per i servizi finanziari. Chi, con ostinazione, continuava a credere nelle potenzialità della banca, ha continuato a versare denaro e a credere, a causa della solidità patrimoniale dell’istituto di credito e delle dichiarazioni delle figure al vertice nel consiglio di amministrazione, che presto sarebbe tornata all’utile, restando regolarmente delusi dagli interventi della vigilanza BCE, che,raggiunti con una ricapitalizzazione gli obbiettivi prefissati, ne stabiliva di nuovi che richiedevano altra iniezione di liquidità.
Alla quarta richiesta di mezzi freschi, gli azionisti erano disorientati e, costatata la mancanza di un piano industriale, in assenza di una certezza che fosse l’ultimo aumento richiesto, perché non erano ancora note le cessioni di crediti deteriorati che sarebbero state imposte per il 2019 e il nuovo livello di capitale di rischio richiesto dalla vigilanza, considerando che il prestito obbligazionario sottoscritto da Fondo interbancario Tutela Depositi aveva coperto gli adempimenti richiesti per la fine dell’anno, l’azionista di maggioranza relativa ha deciso di astenersi, impedendo che l’assemblea avesse i numeri necessari per approvare l’aumento di capitale. La disponibilità a esprimere voto favorevole, quando fosse stato presentato un piano industriale credibile e sostenibile, nel rispetto delle nuove richieste della vigilanza BCE e il mantenimento della fiducia sui vertici aziendali, avrebbe dovuto permettere una risoluzione dei problemi di banca CARIGE entro il primo trimestre 2019.
La presidenza della vigilanza BCE era in scadenza alla fine dell’anno, a subentrare sarebbe stato un italiano. Saggezza e logica, considerato l’evidente conflitto d’interesse, avrebbero imposto che a decidere fosse un indipendente e, invece, in quattro giorni lavorativi si è deciso di commissariare la banca e dodici mesi dopo abbiamo assistito all’approvazione di un nuovo aumento di capitale che abbiamo cercato di evitare con cinque esposti con cui si è evidenziata la violazione di più diritti e la prevista conclusione, con un esproprio che avrebbe emarginato definitivamente chi aveva contribuito a mantenere la banca sul mercato, aderendo ai primi tre aumenti di capitale.
Dalla semplice esposizione dei fatti, è facilmente intuibile la differenza tra gli azionisti delle altre banche e quelli di Banca CARIGE. Questi ultimi, anche se danneggiati da chi dirigeva la banca, hanno aderito a tre aumenti di capitale e si sono visti espropriare una banca con un notevole patrimonio netto. Gli azionisti delle altre banche hanno chiesto, giustamente, tutela pubblica per i danni subiti, non hanno aderito ad aumenti di capitale e hanno perso una banca con patrimonio netto azzerato e in alcuni casi negativo.
Se le differenze fossero solo queste, si potrebbe dire che gli azionisti delle altre banche sono stati furbi, mentre quelli di Banca CARIGE f… Però esistono incongruenze vere che devono ancora essere esposte. Il FITD per il prestito obbligazionario concesso alla banca genovese, chiede un interesse annuo del 16 % e, per esplicita ammissione pubblica del presidente in carica quando è stato sottoscritto quel tasso, il motivo per cui era così alto, e stato giustificato come stimolo agli azionisti affinché aderissero all’aumento di capitale. Se ne deduce che un presidente pagato dagli azionisti, ha negoziato un tasso elevato per condizionare le loro decisioni. Naturalmente, alle autorità, appare perfettamente normale questa commedia dell’assurdo.
Non abbiamo ancora finito, sempre FITD è disposto a investire ancora centinai di milioni in Banca CARIGE con la prospettiva di venderli a CCB, scontati del 47%. Poi, con un nuovo slancio di generosità, non ancora soddisfatta, cederà, dopo averli convertiti in azioni, anche i soldi prestati a CARIGE, per cui pretendeva interessi del 16% dal debitore, sempre a sconto del 47%. Noi, a detta di molti ingenuamente, nel corso dell’assemblea del 20 settembre, avevamo pubblicamente offerto a CCB di permettere agli azionisti di acquistare con lo sconto ridotto al 35%. Nessuno ci ha risposto, nonostante il palese rischio di deling, nessuno ha nemmeno provato a valutare quella proposta. Altri hanno affermato che eravamo ingenui, fra CCB e FITD era stato sottoscritto un accordo che mai avrebbe permesso la cessione di quelle azioni a terzi. L’accordo era privato e nessuno poteva conoscere il suo contenuto.
Da alcuni giorni è noto, perché pubblicamente dichiarato da CCB, che il contratto privato sottoscritto con FITD e SVI non prevede alcun vincolo di alienazione delle azioni possedute. In parole più semplici: in assemblea avevamo dichiarato la disponibilità di molti azionisti ad acquistare le azioni possedute da FITD e SVI a un prezzo pari al 65% del capitale investito, ma nessuno ha provato ad aprire un tavolo sulla nostra proposta perché, non ne comprendiamo la logica, si preferisce cedere le azioni al 53% a CCB se e quando deciderà di acquistarle.
Riassumiamo la business combination: una banca che non ha ancora ottenuto l’autorizzazione a farlo, ha il diritto di, se e quando lo desidererà, assumere il controllo di una banca controllata dalla vigilanza BCE nel modo che abbiamo descritto sopra, ottenendo lo sconto del 47% sull’80% del capitale sociale, nonostante i suoi bilanci non siano stati controllati da Banca d’Italia e la BCE abbia dichiarato che inizierà a farlo dal 1° gennaio 2020. Tutto questo dovrebbe giustificare l’esproprio dei suoi azionisti che avevano aderito a 3 aumenti di capitale e si erano dichiarati disponibili a fare il quarto a condizione che si fosse presentato un piano industriale credibile e sostenibile, nel rispetto della nuove richieste della vigilanza BCE. Tutto avviene con l’approvazione di CONSOB, Banca d’Italia, BCE e con il tacito assenso delle autorità politiche cui erano stati inviati per conoscenza alcuni esposti.
Ringrazio Pasquale che mi ha fornito i documenti attestanti la dichiarazione di CCB, a dimostrazione di come possa essere efficace l’interazione tra azionisti che hanno competenze diverse, come accaduto in altre occasioni con il contributo di Mariano.