Il principio enunciato nel sottotitolo, non può essere limitato solo alle informazioni periodiche da diffondere al mercato, ma deve ritenersi esteso a tutte le informazioni che gli amministratori comunicano a chicchessia e che non possono prescindere dai diritti spettanti a tutti gli azionisti, ai quali va riconosciuto parità di trattamento, che permetta loro di esercitare il potere di controllo, nel limite della quota azionaria posseduta.
La premessa serve per dare evidenza ad un secondo aspetto: quando gli amministratori consentono flussi d’informazioni diversificati fra gli azionisti, magari escludendone qualcuno, commettono un abuso e, noi riteniamo, le autorità di controllo e vigilanza dovrebbero intervenire per ripristinare il rispetto dei diritti.
Se il principio esposto fosse ritenuto insostenibile sul piano giuridico, ci scusiamo e vi consigliamo di interrompere la lettura. Ma se, come noi crediamo, fossa da ritenere una base su cui costruire le norme che regolamentano i comportamenti degli amministratori nel rispetto del diritto di controllo riconosciuto a tutti gli azionisti, provate ad analizzare cosa è accaduto in Banca Carige e come sia stata applicata la parità d’informazione in quel caso specifico.
Evitiamo di ricominciare dall’inizio e trascuriamo Berneschi, Montani, Bastianini e Fiorentino, su cui sarebbe facile fare molte considerazioni che potrebbero essere messe in relazione con l’argomento che stiamo cercando di approfondire. Iniziamo a osservare i fatti accaduti dal quarto trimestre 2018 e proseguiamo nell’analisi su quanto accaduto sino a fine 2020. Non citeremo il crollo del valore del titolo, perché non ha alcuna attinenza con l’argomento che stiamo trattiamo, pur essendo la più grave e diretta conseguenza imputabile al problema che vogliamo denunciare.
- La recente trascrizione di una conversazione telefonica, avvenuta il 30 ottobre 2018, resa pubblica dalla procura di Genova, per giustificare gli arresti domiciliari di un indagato, attesta che Pietro Modiano, presidente della banca Carige, avesse parlato con operatori di mercato per chiedere la loro disponibilità ad aderire a un aumento di capitale da 400 milioni, che si sarebbe dovuto deliberare per Banca Carige, prima che quella notizia fosse nota agli azionisti e al consiglio di amministrazione. È evidente che più di un soggetto, non possiamo sapere esattamente quanti, fossero a conoscenza di informazioni non note agli azionisti.
- Quell’aumento di capitale fu reso noto agli azionisti il 12 novembre 2018 e proposto all’approvazione dell’assemblea il 22 di dicembre. Parte degli azionisti, prima di approvarlo chiesero che fosse presentato un piano industriale sostenibile anche nella prospettiva dei nuovi parametri che la vigilanza BCE avrebbe imposto all’istituto di credito ligure per il 2019, perché indispensabili per determinare la vera necessità di mezzi freschi della Banca Carige. Era la quarta ricapitalizzazione che si richiedeva di approvare e nelle prime tre gli azionisti avevano creduto senza riserve alle promesse diffuse dagli amministratori con dichiarazioni pubbliche, senza che nessuna fosse rispettata. È quindi palese che il diritto di ricevere una corretta informazione non era stato rispettato nemmeno alla quarta occasione.
- La vigilanza BCE nominò 3 commissari, due dei quali erano stati Presidente e AD nel Cda che aveva preferito dimettersi anziché assumersi l’impegno di presentare un progetto industriale che documentasse l’uso che si sarebbe fatto del denaro richiesto agli azionisti. La decisione di commissariare Carige, documenta che anche la Vigilanza della banca centrale europea, non ritenesse degno di attenzione il diritto ad essere informati che dovrebbe essere riconosciuto agli azionisti che conferiscono i propri risparmi in società quotate. La motivazione con cui si era giustificata la decisione, fu la necessità di dare, con urgenza, una nuova governance alla banca. Qui giova segnalare che in tre mesi sarebbe stato certamente possibile soddisfare le richieste degli azionisti e convocare una nuova assemblea per approvare un aumento di capitale che fosse veramente l’ultimo.
- Con l’introduzione della gestione straordinaria, sono stati interrotti alcuni degli obblighi d’informazione al mercato e il titolo è stato sospeso dalla negoziazione. Filtravano solo indiscrezioni dalla stampa, la prima delle quali faceva riferimento ad un accordo raggiunto con BlackRock. Dopo tre giorni si è saputo che era stato bloccato dal comitato cui spettava il compito di approvarlo. Non miglior sorte toccò all’ennesim0 coinvolgimento di Apollo. Dopo oltre sette mesi di gestazione, è stato ufficializzato il raggiungimento di un accordo quadro tra Fondo interbancario di tutela depositi, Schema volontario d’intervento e Cassa centrale banca, approvato anche da Banca Carige. L’accordo era stato definito privato e, quindi, si rendeva noto solo il minimo indispensabile, quando imposto da motivazioni che rendevano indispensabile la conoscenza di qualche dettaglio. Qui è necessario sottolineare che nello statuto del Fitd, che insieme alla controllata SVI avrebbe acquisito lì80% del capitale, era prevista come condizione indispensabile per l’intervento in un istituto di credito, l’esistenza di un piano industriale. Ne possiamo dedurre che al Fitd era stato presentato, mentre quando lo stesso documento era stato richiesto dagli azionisti, nella quarta occasione in cui si manifestava la necessità di denaro fresco, quella domanda era stata considerata come una giusta causa di commissariamento. Dove si potrebbe cercare la parità d’informazione che noi non riusciamo a vedere?
- A CCB era stato rilasciato un diritto d’opzione d’acquisto, con sconto 47%, sulla quota di ricapitalizzazione coperta da Fitd, concedendo 29 mesi di tempo per decidere. Ai vecchi azionisti era stato richiesto un incremento dal 13 al 16% degli interessi che stavano pagando sul prestito obbligazionario che era stato attivato in attesa della ricapitalizzazione. Quindi, a chi era stato reso noto il piano industriale dopo sette mesi di gestazione, se ne sono concessi altri 29 per decidere, mentre ai vecchi azionisti che lo avevano richiesto, è stato negato il diritto d’opzione e sono stati espropriati perché non si poteva attendere i tre mesi necessari ad approvare un aumento di capitale, dopo avere ottenuto le informazioni utili a conoscere la destinazione del denaro che avrebbero versato. Chiediamo umilmente scusa, non riusciamo a trovare un caso in cui i vecchi azionisti abbiano ottenuto la parità di trattamento, possibile che siamo diventati tutti paranoici?
- A noi azionisti era stata proposta una ricapitalizzazione da 400 milioni di euro. Con il trascorrere delle settimane quell’importo continuava a salire. A settembre ci è stato richiesto di approvare un aumento di capitale da 700 milioni, più 200 di prestito obbligazionario. È deduzione logica che la richiesta di capire meglio, non fosse così pretestuosa e che i nostri dubbi hanno trovato conferma nei fatti. Anche in questo caso è legittimo ipotizzare che le informazioni date al mercato non fossero sufficienti a prendere una decisione consapevole in nessuna delle occasioni cui avevano aderito e men che meno in quella in cui avevano chiesto di essere informati.
- Per fare approvare la ricapitalizzazione si sono date il minimo delle informazioni necessarie e, dopo averla ufficializzata al mercato, si era enfatizzato che l’unica soluzione possibile fosse l’approvazione di quanto proposto, in mancanza della quale la banca sarebbe stata chiusa e i dipendenti avrebbero perso il posto di lavoro. I clienti azionisti sono stati convocati in banca dai dipendenti che li hanno convinti a partecipare all’assemblea e ad esprimere voto favorevole, senza comunicare loro che con quel voto avrebbero perso il diritto di rivalsa. Certamente nessuno potrà considerarci di parte se diciamo che le informazioni descritte agli azionisti dai dipendenti della banca, fossero state esposte da persone in conflitto d’interesse. Quante probabilità c’erano che la descrizione dei fatti, comunicata da chi aveva paura di perdere il posto di lavoro fosse fatta nell’esclusivo interesse degli azionisti?
- Solo prima dell’avvio aumento di capitale, ma dopo la sua approvazione nell’assemblea del 20 settembre 2019, si è deciso che si dovessero diffondere informazioni esaustive. Su richiesta di Consob i commissari dovettero ammettere che non potevano certificare che il bilancio del primo semestre 2018 fosse stato presentato nel rispetto dei principi contabili imposti dalla vigilanza BCE. Anche qui segnaliamo che l’aumento di capitale che si doveva approvare a dicembre 2018, fosse stato proposto senza quell’informazione. Ciononostante i commissari hanno proposto un aumento di capitale con la quasi totale esclusione del diritto d’opzione, a danno di chi aveva chiesto di avere informazioni.
- In anticipo rispetto all’approvazione dell’aumento di capitale e sino a poche ore prima del suo inizio, avevamo fatto denunce, esposti, segnalato pericoli nascosti e credevamo che l’aumento non fosse approvato da Consob a causa delle condizioni con cui era stato impostato e degli enormi rischi che nascondeva. Non avendo visto la pubblicazione del prospetto informativo, c’eravamo illusi che sarebbe stato sospeso. Invece, stupore! Scoprimmo che l’aumento si sarebbe avviato regolarmente perché Consob aveva approvato il prospetto informativo di oltre 430 pagine che era stato pubblicato sul sito alle 23 e 30 di martedì 3 dicembre 2019, meno di 10 ore prima dell’avvio. Questa volta le modalità di diffusione informazioni ha superato ogni possibile record: più di 430 pagine per spiegare i rischi che avrebbero potuto derivare a chi avesse deciso di aderire e meno di 10 ore a disposizione per chi avesse deciso di approfondire l’argomento prima che iniziasse l’aumento, ammesso che fosse disposto a perdere la notte di sonno. Nelle precedenti ricapitalizzazioni, i prospetti informativi erano stati resi noti con giorni d’anticipo, nonostante le integrazioni richieste da Consob ed erano stati affiancati da note di sintesi e i giornalisti avevano avuto il tempo di elaborare valutazioni e pubblicarle per informare i lettori che avevano fiducia nelle loro analisi.
- Ci siamo già espressi più volte sul tema, ma non possiamo esimerci dall’inserirlo in questa analisi, per cui produciamo un riepilogo. A fine gennaio 2020 c’era l’assemblea di Banca Carige per eleggere il consiglio d’amministrazione. Serviva una lista di minoranza, l’ha presentata CCB. Per vedersi riconosciuto il diritto a farlo, ha dichiarato che nell’accordo quadro non era previsto alcun vincolo tra le parti che lo avevano sottoscritto, quindi, si sentiva legittimato a presentare la lista di minoranza. Abbiamo segnalato che se non c’erano vincoli tra i contraenti, l’accordo quadro non esisteva e, di conseguenza, se ne poteva dedurre che fosse solo una scusa per espropriare i vecchi azionisti. Poiché era una delle informazioni non rese pubbliche, ci aspettavamo che qualcuno intervenisse, la banca era ancora sotto la gestione straordinaria e tre pubblici ufficiali avevano ricevuto quella comunicazione. Nessuno si mosse e l’accaduto fu ritenuto perfettamente nella norma, compreso il fatto che, oltre ad un accordo senza vincoli tra le parti, chi poteva presentare la lista di minoranza, possedesse un’opzione che poteva esercitare 5 mesi dopo, per arrivare a detenere più dell’88 % del capitale sociale.
- Nell’assemblea del 31 gennaio 2020 ci organizzammo per porre molte domande e riuscire così a documentare che non avremmo ricevuto risposte. Le abbiamo pubblicate tutte sul sito per documentare quanto fossero fondati i nostri sospetti. Poiché avevamo fatto molti esposti sulla raccolta deleghe, definendola anomala perché Computershare, per l’assemblea del 20 settembre 2019 ne aveva raccolte poco meno di 16.00, chiedemmo anche quante ne fossero state raccolte in quella del 31 gennaio 2020. Non ottenemmo nemmeno quella risposta. Il motivo era molto semplice, ne erano state raccolte solo 3 e il dichiararlo, avrebbe documentato la validità delle nostre denunce. Credevamo che nulla potesse essere più rappresentativo del disprezzo riservato agli azionisti di una società quotata, del rifiuto a dare quella semplice risposta. Ci sbagliavamo; provate a vedere cosa descriviamo al punto successivo.
- Anche in questo caso non scendiamo nei dettagli, perché l’argomento è oggetto di azione legale. Con riferimento a quanto citato al punto 10, poiché eravamo ricorsi per danni al tribunale di Genova, ritenevamo logico evidenziare che CCB aveva pubblicamente dichiarato che non esisteva alcun vincolo che obbligasse le parti nell’accordo quadro sottoscritto con Fitd e Svi, noi sostenevamo la tesi che in assenza di vincoli non poteva esistere alcun accordo. A fine luglio 2020, nelle memorie presentate da CCB è stata inserita la descrizione dell’intesa sull’opzione d’acquisto stipulata con Fitd e Svi, con cui si voleva documentare che i possessori delle azioni oggetto del diritto di acquisto a favore di Ccb fossero vincolati a non cederle sino al 31 dicembre 2021. Questa informazione non era nota agli azionisti e, inconcepibile, appariva del tutto normale che nessuno intervenisse, nonostante la dichiarazione pubblica inviata a Carige per legittimare la presentazione di una lista di minoranza.
Potremmo continuare, ma dovremmo entrare in argomenti che sono stati sottoposti a valutazione dei giudici, ci asteniamo dal farlo, perché riteniamo che quanto oggetto di confronto in giudizio non possa essere dibattuto sui siti internet. Dopo l’esposizione dei 12 punti citati, provate a confrontare il comportamento tenuto dalle funzioni che avevano responsabilità in quanto accaduto agli azionisti di Banca Carige, con la notizia riportata nell’articolo de “Il sole 24 ore” di ieri 25 gennaio 2021, dal titolo “Cattolica-Generali, faro della Consob: nel mirino l’accordo di partnership” in cui si specifica che la divisione mercati della Commissione avrebbe chiesto documenti e registrazioni alle due società come previsto dall’articolo 187 del testo unico della finanza, motivando l’iniziativa con l’ipotesi di abuso d’informazioni privilegiate. Complimenti agli uomini che vigilano sul mercato per evitare che si commettano abusi a danno degli azionisti.
Come mai nulla è stato fatto a seguito delle numerose denunce e fatti emersi, sempre a danno degli azionisti di banca Carige?
Noi non ci arrendiamo, continuiamo a denunciare con pacata e serena determinazione. Speriamo di aprire una breccia nella parete di granitica indifferenza che ci circonda, siamo certi che nel momento in cui si inizieranno ad intravedere le nostre ragioni, tutti saranno costretti a meditare su cosa si debba cambiare per ritornare ad una finanza che non si appropri del valore generato da altri, ma lo gestisce, generando benessere in una società più giusta e rispettosa dei diritti.