A Genova è stata costituita la prima banca al mondo, era il 1407, si trattava della Banca di San Giorgio. Nel 1472 a Siena, è iniziata l’attività del Monte dei Paschi, la più antica delle banche ancora attive. L’anno successivo la città della Lanterna ha ospitato la sede di quella che nel tempo avrebbe assunto il nome di Banca Carige, che è ancora operativa anche se i punti di forza che le hanno permesso di presidiare il territorio di origine per 548 anni, si sono fortemente deteriorati a causa di vicende note.
Una strana coincidenza ha accomunato il destino della banca genovese a quello dell’istituto di credito toscano, oltre al periodo in cui è stata avviata l’attività. Tutto ha avuto inizio quando i due numeri uno sono stati nominati ai vertici dell’Associazione bancaria italiana (Abi), nei ruoli di vicepresidente Berneschi e presidente Mussari. Preferiamo non esprimere opinioni, i fatti documentano che derivati, favoritismi politici e crollo di ogni inibizione etica, hanno fatto si che i due massimi responsabili degli istituti di credito citati, si dimenticassero del ruolo storico ricoperto dalle banche che presidiavano, per lasciarsi trascinare in un modello di attività creditizia che nulla aveva a che fare con le esperienze che avevano permesso di ottenere la fiducia dei risparmiatori rimasti fedeli alla banche del rispettivo territorio per secoli.
I manager che si sono avvicendati in Carige nel dopo Giovanni Berneschi, anziché cercare di recuperare i valori del passato e la fiducia di correntisti, azionisti e clienti, con un piano di risanamento convincente e risolutivo, hanno applicato la ricetta semplicistica di un frazionamento degli aumenti di capitale, ripetuti a breve distanza di tempo, intercalati da vendite di crediti deteriorati, che accentuavano le perdite e giustificavano nuove richieste di denaro fresco. L’effetto immediato di una simile strategia, è stato il crollo della fiducia dei correntisti, che hanno iniziato a trasferire i depositi in banche che ritenevano più affidabili. Quando, alla quarta ripetizione, l’azionista di maggioranza relativa ha chiesto un piano industriale che fugasse i dubbi su nuove eventuali future necessità di denaro fresco, la vigilanza della Banca Centrale Europea ha deciso di commissariare la Carige.
A quel punto la situazione era talmente complessa e densa d’incognite, che anche i fondi che la vigilanza aveva suggerito e sponsorizzato come potenziali soggetti disposti a fare un’offerta, hanno ritirato la propria disponibilità. I commissari hanno proposto un accordo quadro tra Fitd e Svi con Cassa centrale banca, un soggetto che, pur avendo negoziato un accordo di assoluto favore, ha preferito non esercitare l’opzione di acquisto. La banca è, così, ripiombata nell’incertezza più assoluta e la soluzione di una crisi bancaria che, per permettere la realizzazione di quell’accordo quadro fallito, aveva di fatto espropriato i vecchi azionisti, ha finito per generare la reazione di chi aveva iniettato mezzi freschi a più riprese. Per tutelare i propri diritti, alcuni azionisti avevano attivato un’azione di rivalsa e inoltrato richiesta d’impugnazione del commissariamento.
Parecchi mesi dopo il commissariamento, sono diventate pubbliche alcune intercettazioni telefoniche, da cui si deduceva che il presidente della banca stesse trattando con soggetti di mercato, un loro ingresso nel capitale della società, mediante l’adesione ad una nuova ricapitalizzazione, non ancora nota al consiglio di amministrazione e agli azionisti. La trascrizione di una delle 480 telefonate registrate, faceva riferimento all’intermediazione del presidente della regione Liguria e non poteva certo essere gradita ad azionisti espropriati da decisioni prese da un commissario che aveva tenuto il comportamento emerso dalle intercettazioni, mentre era presidente della banca. L’inerzia delle istituzioni ai reiterati esposti che segnalavano le incongruenze incorporate nell’accordo quadro definito riservato, che emergevano ogni volta in cui le parti erano costrette a rivelare qualche dettaglio, accentuavano la diffidenza dei risparmiatori e correntisti nei confronti della banca e dei soggetti preposti alla tutela dei loro diritti.
Ora che quanto è stato segnalato e denunciato, ha trovato conferma nei fatti, qualche figura di rilievo nel panorama sociale, economico, produttivo e politico, ha iniziato ad insinuare dubbi sull’efficacia delle proposte di soluzione con cui s’ipotizzava di portare Carige fuori da una crisi generata da una malagestione, escludendo i vecchi azionisti, senza avere mai considerato che la vera forza della banca erano e sono sempre stati loro. La crisi aveva preso consistenza a causa di chi aveva deformato i valori del rapporto plurisecolare necessario a consentire il benessere economico della regione che, per prima al mondo, aveva capito l’importanza di raccogliere il risparmio per destinarlo al sostegno dello sviluppo economico.
Fatte queste premesse, riteniamo che la citazione dei contenuti di alcune interviste pubblicate da qualche giorno, possa aiutare a percepire un’evoluzione di pensiero che si avvicina all’unica ed efficace soluzione dei problemi di Banca Carige. Noi siamo fermi sulla nostra convinzione da fine 2018 e non possiamo che apprezzare e dare evidenza a posizioni che si avvicinano a ciò che abbiamo sempre e fermamente ritenuto risolutivo.
Un’intervista del giornalista Massimo Minella a Giovanni Toti, pubblicata il 17 marzo 2021, su la Repubblica Genova, riporta l’opinione espressa dal presidente della regione Liguria, sugli sviluppi futuri che avrebbe potuto avere il caso Carige. La dichiarazione era in leggero anticipo sull’ufficializzazione della rinuncia di Ccb a esercitare l’opzione di acquisto, che le avrebbe permesso l’assunzione del controllo di Carige. Era stata rilasciata proprio a causa dei molteplici dubbi emersi sulla possibilità che il piano con cui era stato giustificato l’esproprio a danno degli azionisti precedenti, si chiudesse come era stato prospettato al mercato e alle autorità.
Riteniamo doveroso mettere in risalto e complimentarci con il giornalista, per l’efficace premessa con cui ha evidenziato un aspetto non secondario della libertà di azione concessa a chi aveva proposto un progetto destinato a fallire: “Però l’ormai imminente fine delle trattative fra il Fondo Interbancario e Ccb impone rapidamente la scelta di nuovi percorsi che non possono vedere le istituzioni locali come osservatori esterni”.
Le dichiarazioni rilasciate da Toti, invece, hanno generato in noi un profondo senso di sconforto. Premette che la politica non deve sostituirsi a chi ha il compito di decidere e, poi, si trova in sintonia con tutte le proposte:
- se Ccb avesse acquisito il controllo della banca dei liguri, sarebbe stata la benvenuta;
- non ha nulla in contrario alla proposta del sindacato di un’aggregazione tra Monte dei Paschi di Siena, Banca popolare di Bari e Banca Carige, a condizione che mantengano il presidio del territorio e sopra ci sia una holding a controllo statale;
- è favorevole a perseguire la ricerca di un partner bancario se la soluzione imposta dalla BCE fosse ancora quella di un’aggregazione con altro istituto di credito;
- esprime giudizio favorevole sull’operato dei nuovi vertici, ma si aspetta una banca che dia un chiaro segnale di sostegno al territorio, con un evidente impegno ai progetti di crescita.
- “Banca Carige deve tornare ad essere protagonista”, è la conclusione dell’intervistato.
Nemmeno una parola sugli azionisti che avevano versato 2,2 miliardi di aumento di capitale, che hanno visto la loro quota di partecipazione ridursi all’ inverosimile, per favorire l’ingresso di un nuovo socio, che, poi, si sarebbe sfilato, facendo fallire un progetto industriale approvato dalle autorità preposte al controllo del mercato.
Come può Banca Carige tornare ad essere protagonista del sostegno allo sviluppo economico del territorio, se i suoi correntisti, azionisti e dipendenti hanno perso la fiducia in un istituto creditizio che dopo un capo azienda che ha creato le condizioni del dissesto, si sono succeduti altri 4 amministratori che hanno fatto dichiarazioni, rivelatesi sempre inaffidabili e che hanno provocato il quasi totale azzeramento del capitale investito? Dove può attingere il capitale per sostenere il suo storico ruolo, se nessuno ha saputo apprezzare il valore di azionisti, obbligazionisti e correntisti che hanno preferito spostare il capitale, almeno il poco rimasto, in altri istituti di credito?
19 marzo, sempre Massimo Minella, sullo stesso quotidiano, pubblica l’intervista al sindaco di Genova, Marco Bucci: “L’alleato giusto per Carige è una banca digitale“. Anche in questo caso il giornalista merita apprezzamento per avere posto una domanda per dare evidenza ai meriti di azionisti e correntisti che per anni hanno sostenuto la banca. Finalmente un personaggio politico che, senza volersi intromettere o sponsorizzare qualcuno, indica una soluzione che possa portare fuori dalle secche una banca che sembrava avere smarrito il senso del ruolo assegnatole sin dalla sua fondazione:
- Bucci ritorna a più riprese sulla necessità di evitare aggregazioni che possano generare sovrapposizioni e nuovi tagli occupazionali, suggerisce di puntare sulla ricerca di un partner che sia complementare, che possa valorizzare ed integrare le potenzialità della banca genovese, assicurando la permanenza del marchio e delle funzioni direzionali a Genova.
- Si spinge a suggerire che una banca digitale potrebbe essere il candidato con più potenzialità di sviluppo e con meno sovrapposizioni.
- Sottolinea che Genova è attaccata alla sua banca; azionisti e correntisti hanno limitato una fuga che in altri luoghi sarebbe stata massiccia, anche questo è un punto di forza che non può essere trascurato se si vuole trovare la soluzione più efficace e meno dolorosa.
Non possiamo che condividere le opinioni espresse con discrezione dal sindaco della città che ospita la sede della banca da sempre e rammaricarci che queste ipotesi non siano state considerate come soluzioni possibili a fine 2018, quando sarebbe stato ancora proponibile un piano industriale credibile e sostenibile, per ottenere l’approvazione ad una ricapitalizzazione che portasse la banca fuori dalle difficoltà, senza traumi, con il sostegno di chi aveva sempre creduto nella reciproca dipendenza tra banca e sviluppo economico del territorio.
20 marzo, nuovamente la Repubblica Genova e sempre Minella, per un’intervista al presidente di Confindustria Genova, Giovanni Mondini: “Carige senza Ccb? Non è una grande sorpresa. Ora Fitd trovi un altro alleato”. Il titolo e il contenuto avvicinano l’evoluzione del pensiero espresso nelle tre interviste a quanto abbiamo scritto negli oltre due anni dall’apertura del sito. Produciamo una sintesi anche dei concetti esposti nell’ultima intervista:
- un invito al pragmatismo con sottolineatura che l’ostinato attaccamento ad un modello di crescita tradizionale ha generato i problemi maggiori alla banca, costituiscono una realistica introduzione su ciò che esporrà poi, il numero uno degli industriali genovesi;
- il passo indietro di Ccb non è stata una grande sorpresa, ora è necessario definire in tempo utile una nuova soluzione e scegliere un alleato perché non è più pensabile una Carige che presidi i propri confini come se fuori ci fossero solo nemici.
- non bisogna vivere immersi nel passato, ma guardare il presente e progettare il futuro; cita come esempio dell’eccellenza ligure la storia di Amedeo Giannini, nato in val Fontanabuona ed emigrato negli Stati Uniti dove aveva fondato la banca che, nel tempo, sarebbe diventata Bank of America, solo per sostenere che non si può continuare a vivere di ricordi;
- ritiene si debba osservare con attenzione tutte le possibili soluzioni, senza avere pregiudizi su nessuno; un grande istituto di credito, non può essere considerato un problema, ma una delle soluzioni possibili;
- Suggerisce di valorizzare l’esperienza dei dipendenti per fare emergere il valore di questa banca, senza dimenticare il supporto ricevuto dagli azionisti che con generosità hanno contribuito alla sua sopravvivenza.
Anche su questa intervista siamo lieti di esprimere il nostro apprezzamento per le considerazioni di un manager che, come il sindaco Bucci, indica un metodo di approccio con una pragmatica esposizione dei comportamenti passati, che hanno generato problemi ancora irrisolti. Non è stato detto, ma noi lo evidenziamo, ipotizzando che che fosse sott’inteso: i problemi di Carige sono iniziati quando, per incrementare i ricavi, si sono acquistati gli sportelli che altri avevano deciso di dismettere, anziché usare il capitale investito in quelle operazioni, per sviluppare il modello di banca emergente, investendo nella tecnologia e nella formazione del personale. Anche il declino di Monte dei Paschi di Siena era iniziato dalla costosa acquisizione di Banca Antonveneta. Questa concomitanza documenta che le due banche hanno fatto male ad uscire dell’ambito che dominavano e che, se si fossero concentrate sull’evoluzione tecnologica del servizio reso alla clientela, avrebbero affrontato con maggior tranquillità il loro futuro e avrebbero potuto uscire vincitrici dalla sfida di inizio secolo, in cui la diffusione di internet stava sostituendo il lavoro delle persone allo sportello.
La metafora con cui ci fa piacere immaginare Banca Carige, dal 2014 a oggi, ci fa pensare a un cavallo di razza lasciato al pascolo, dopo una splendida carriera agonistica, perché non ha più trovato il team di professionisti capaci di farle esprimere la potenza che aveva fatto di lei una vincitrice. Solo quando ritroverà un proprietario che crede nel suo ritorno alla competizione, un allenatore in grado di riportarla in forma, un fantino capace di impostare una strategia rispettosa delle sue peculiarità, un maniscalco capace di ridarle equilibrio con la ferratura adeguata ad esprimere il suo potenziale e un artiere sensibile alle sue esigenze, potrà ritornare a vincere sul territorio in cui nessuno era mai riuscito a scalfire la sua supremazia.