Il 21 aprile 2021, giorno successivo all’assemblea della Banca Carige, in cui era stato approvato il bilancio che faceva riferimento al periodo compreso tra febbraio e dicembre 2020, Repubblica Genova pubblicava un’intervista al presidente della banca genovese, Giuseppe Boccuzzi. Il titolo era: Boccuzzi: “Nei prossimi mesi troveremo il socio di Carige”. L’articolo era firmato da Massimo Minella e ci ha incuriosito perché abbiamo colto toni più moderati nelle dichiarazioni del Presidente, rispetto a quelli con cui aveva descritto la situazione l’amministratore delegato Francesco Guido, solo pochi giorni prima.
Boccuzzi puntualizzava che il bilancio appena approvato: “… è il primo bilancio di gestione ordinaria, di 11 mesi, dopo 13 di commissariamento. Un bilancio che oggettivamente sconta le eredità negative del passato e non solo” …“La pandemia, è chiaro. Dobbiamo tenere conto di tutte e due gli elementi. Se pensassimo a uno solo, infatti, sbaglieremmo il bersaglio”.
Poi l’intervista al presidente Carige, si orienta verso la descrizione delle prospettive dell’esercizio in corso e attira l’attenzione sul miglioramento della gestione ordinaria, i cui obbiettivi di budget sono definiti e sui quali si concentra l’impegno di tutta la struttura. Ciononostante, ritiene che il 2021, anche se in miglioramento rispetto al 2020, si chiuderà ancora con i conti in rosso. Infine illustra le attività avviate, allo scopo di chiudere in tempi rapidi un accordo con altro istituto di credito, che porti a compimento il piano definito dalla vigilanza della Banca centrale europea: la fusione della Carige con altra banca. L’intervistato fa un accenno al fatto che sarà l’advisor (consulente cui si è conferito l’incarico) a proporre i candidati, tra i quali potrebbero anche esserci soggetti non bancari. Poi aggiunge che: “Anche per Carige non dobbiamo farci guidare dalla fretta, ma agire rapidamente, nei prossimi mesi”.
In chiusura d’intervista anche lui recita il mantra che la cessione di quasi tutti gli Npl, colloca la Carige ai massimi livelli nello scenario bancario nazionale, poi conclude: “Adesso però bisogna continuare sulla strada del rafforzamento. Dobbiamo recuperare due volte” … “Recuperare i volumi persi e recuperare la redditività”.
Da inizio maggio, i media hanno cominciato a diffondere indiscrezioni sulle iniziative del governo tese a incrementare il premio fiscale che avrebbe potuto incentivare le acquisizioni delle banche in difficoltà che, però, possedevano un tesoretto di imposte attive differite. Le proposte che si cercava d’introdurre nel Decreto Legge Sostegni bis, tendevano ad allungare i termini con cui la banca incorporante poteva godere dei benefici fiscali e ad incrementare il loro valore in modo sostanziale, perché la percentuale delle DTA convertibili in credito d’imposta, s’ipotizzava fosse elevata dal 2 al 3 % della somma delle attività dei soggetti partecipanti alla fusione.
Come riportato da La Stampa del 3 maggio 2021 nell’articolo “Il governo alza il premio fiscale per il compratore di Mps a 4,5 miliardi”, la proposta di modifica del decreto in essere, che scadeva a fine anno, lo avrebbe prorogato di sei mesi e includeva un limite che ci aveva preoccupato non poco. La proposta di modifica prevedeva che i benefici fiscali potessero essere fruibili solo nel caso che la banca acquisitrice del controllo, fosse di dimensioni maggiori rispetto a quella che portava in dote il credito d’imposta. La preoccupazione nasceva dal fatto che simili limitazioni potevano fare presupporre una soluzione di sistema e non di mercato, perché escludeva molte possibili soluzioni e nel caso della Banca Monte dei Paschi di Siena, poteva limitare la soluzione sino a farla considerare priva di alternative in competizione tra loro.
Con l’introduzione della proposta di modifica citata sopra, si sarebbe fatto un regalo inatteso a Credit Agricole, che aveva acquisito Creval da alcune settimane. La banca francese avrebbe portato a termine la fusione entro fine anno, cogliendo i benefici fiscale del decreto che si ipotizzava di modificare, ma che, avendo tutti i requisiti previsti, poteva sfruttare le modifiche che si stava cercando d’introdurre, cogliendo un’opportunità di maggiori benefici fiscali, che non era stata preventivata quando era stata lanciata l’Opa sul Credito valtellinese.
Milano finanza si era occupato degli stessi argomenti evidenziati da La Stampa, il giorno 3 maggio e il 5 aveva aggiunto alla lista delle banche che potevano trarre vantaggi dalle proposte di modifica che si stavano analizzando, anche Banca Carige, spiegando che il beneficio fiscale per chi l’avesse acquisita sarebbe salito da 360 a oltre 500 milioni.
Il 19 maggio, Repubblica Genova ha pubblicato l’articolo dal titolo: Guido, Carige “Ecco che cosa significa banca del territorio”. Lo abbiamo letto e, con stupore, ci siamo trovati in sintonia con l’Amministratore delegato di Banca Carige, in molti degli argomenti da lui approfonditi. Consigliamo di leggerlo integralmente, perché il contenuto merita di essere confrontato con il travagliato percorso degli azionisti. La conoscenza integrale dell’articolo, permetterà di cogliere l’evidente divergenza tra le prospettive di sviluppo che sarebbero derivate da una fusione con Ccb, che avevamo più volte sottolineato come priva di qualsiasi sinergia strategica e, soprattutto, culturale con la banca ligure. Riportiamo alcuni passaggi, tra cui riteniamo utile inserire alcuni fatti che possono dare evidenza all’evoluzione che il pensiero di Guido potrebbe imprimere al futuro di Banca Carige, che assume contorni molto diversi dalle esperienze vissute dagli azionisti nel recente passato.
- ” È tempo di pensare che il credito non è solo una questione quantitativa, ma è anche e soprattutto qualitativa”. Un’analisi non solo economica ma anche sociale del ruolo che un soggetto finanziario come questo (Banca Carige ndr) deve avere nella relazione con imprese e famiglie. Queste affermazioni definiscono la strategia operativa e la percezione che azionisti, correntisti e clienti avevano di Banca Carige, sino a quando un manager ha pensato di allinearsi ai modelli di banca emergenti e, poi, le autorità di controllo e vigilanza hanno approvato una Business combination che non avrebbe più consentito alla banca di tornare ad essere quello che era sempre stata. Ci sembra veramente fuori luogo ipotizzare un ruolo sociale futuro di Banca Carige, senza una presa di coscienza palese del danno sociale arrecato agli azionisti e al territorio con le decisioni e i comportamenti degli attori che si sono avvicendati ai vertici della banca nell’ultimo decennio.
- Ogni attività umana è rivolta alla realizzazione di un fine che può essere pratico o ideale. Le due dimensioni possono essere fra loro alternative, ma nella misura in cui invece un’idea riesce ad anticipare e ad ispirare un’azione i risultati sono di ben altro valore. Tutto condivisibile, purché la scelta tra pratico e ideale avvenga solo dopo avere considerato i diritti. Una decisione non dovrebbe mai essere presa, senza avere fatto una preventiva valutazione del suo impatto sul rispetto dei diritti, che deve sempre essere considerato condizione di assoluta priorità su ogni deliberazione assunta nello svolgimento dell’attività bancaria.
- Sei ” del territorio” non quando concedi credito al territorio, mantenendo il potere deliberativo attraverso dirette emanazioni, ma quando quel credito sostiene la competitività vera e quando quella sfida competitiva incorpora un orizzonte talmente profondo da anticipare trend non solo territoriali ma anche globali. Ottime considerazioni, che, se rilette nell’ottica delle decisioni prese nella Banca genovese, si ripiegano su sé stesse e, private dall’enfasi di una pubblica dichiarazione, assumono il significato di una beffa per chi si è visto chiedere ricapitalizzazioni a raffica, con false promesse di uscita dalla crisi e aveva ben presente che un simile comportamento poteva solo compromettere il rapporto di fiducia tra banca, correntisti, azionisti e clienti. Dov’era l’orizzonte profondo con cui si prendevano, in quel momento, decisioni che avrebbero dovuto garantire il sostegno alla futura sfida competitiva? Se, come noi pensiamo, la fiducia è patrimonio indispensabile per il corretto funzionamento di un istituto di credito, come si potevano ipotizzare prospettive future dopo avere deluso tutte le categorie coinvolte?
- È quindi tempo di cominciare a pensare che il credito non è soltanto una questione quantitativa o di matrice territoriale della decisione, ma è anche e soprattutto una questione qualitativa per la capacità di quel credito di sviluppare la leva competitiva. Se è privo di qualità, il credito diventa tanto più distruttivo quanto più è copioso. Nella storia delle crisi bancarie degli ultimi anni non esiste ancora sufficiente evidenza di questo aspetto, si pensa che sia soltanto un problema di governance e di gestione. Bravissimo Dottor Francesco Guido! Le diamo il benvenuto nel gruppo di chi si sta impegnando per segnalare la necessità di un cambiamento. Se queste sue dichiarazioni sono frutto di una presa di coscienza, le siamo grati per avere avuto l’audacia di scrivere le considerazioni che abbiamo avuto il piacere di leggere. Ciò che è accaduto agli azionisti della banca genovese e di molte altre banche, merita un’analisi approfondita che vada ben oltre alla vendita dei crediti deteriorati e successiva ricapitalizzazione, per coprire le perdite facendole pagare a chi aveva creduto nella banca e investito i propri risparmi. Le visioni strategiche di lungo periodo, non possono essere prive della massima considerazione per il rapporto di fiducia che lega la banca al territorio. È evidente che la distruzione del valore derivante dalla rottura di quel legame plurisecolare, è ben più grave del danno provocato da un presidente che ha patteggiato un accordo per le operazioni che avevano dato il via alla crisi della Carige.
Il 20 maggio Milano Finanza ha pubblicato un articolo in cui si evidenziava che l’incremento dei valori delle imposte attive differite, che potevano essere convertite in crediti d’imposta, segnalato come possibile nelle indiscrezioni uscite su alcuni quotidiani nei giorni precedenti, non era stato inserito nel decreto legge sostegni bis, approvato dal consiglio dei ministri. Il giorno seguente, anche Il Sole 24 Ore riportava una notizia analoga, in cui si precisavano anche altri dettagli. Il titolo dell’articolo era: “Banche, saltano (per ora) gli incentivi alle fusioni”. L’aumento della percentuale dei benefici fiscali non era stato introdotto nel nuovo decreto, però il prolungamento dei termini per l’approvazione da parte delle assemblee degli azionisti, di eventuali accordi proposti dai consigli di amministrazione entro il 31 dicembre 2021, era stato dilatato sino a fine 2022.
Il 22 maggio, La Repubblica ha pubblicato un’intervista a Salvatore Maccarone, Presidente del Fondo interbancario di tutela depositi (Fitd). Il titolo dell’articolo era: Maccarone “Il risiko bancario aiuta la vendita di Carige”. Riportiamo alcune sue affermazioni per conferire una maggior consistenza alle nostre considerazioni finali.
- Sulle possibilità di trovare partner interessati a Carige: “Il settore bancario mostra una certa vivacità e io sono fiducioso che Carige possa essere parte di una delle operazioni di riassetto che si vanno profilando o ipotizzando sul mercato. Vi sono segnali che ci paiono favorevoli”
- Sui tempi per una possibile chiusura di un accordo: “Confido in una tempistica non troppo lunga: entro giugno ci aspettiamo le prime manifestazioni di interesse e ritengo che con questo si dovrebbero avere indicazioni su un possibile processo di cessione. Siamo soddisfatti del lavoro che il nostro advisor, Deutsche Bank, sta sviluppando e mi aspetto che nella seconda parte dell’anno si arrivi alla formulazione di un’ipotesi concreta.
- Sulla rinuncia di Ccb: “In realtà, non siamo mai arrivati a discutere di prezzo, la Cassa ci ha comunicato che non era più nelle sue intenzioni esercitare l’opzione e noi abbiamo subito attivato un percorso alternativo nella ricerca di un altro acquirente.
Maccarone ripete per ben due volte che l’unico vincolo è che la banca non possa più stare da sola. Poi, dichiara che per il resto tutto sia possibile, che il partner possa anche essere di estrazione non bancaria: “… da escludere è che Carige possa avere un futuro in autonomia, tutto il resto è teoricamente possibile”
A inizio 2019 avevano commissariato banca Carige; quel provvedimento aveva provocato la sospensione del titolo dalla negoziazione. Ci avevano detto che entro qualche mese le azioni sarebbero tornate in borsa e che si sarebbe trovato un partner industriale. Di mesi ne sono passati 29, molti risparmiatori hanno perso anche la qualifica di azionisti e hanno visto liquidare con pochi centesimi la riga del conto titoli che attestava il capitale investito nella loro banca di riferimento, senza che avessero più avuto la possibilità di vendere le azioni. Nel 2015 sono state divise per 100 e nel 2021 per 1.000. Al 31 03 2014 l’azione valeva 0,6187 e per conservare la qualifica di azionisti nel 2021 bisognava possederne almeno 100.000 con un investimento di 61.870 euro. Per chi le avesse acquistate prima, il costo avrebbe potuto essere molto più elevato. Ebbene, nel 2021 quel risparmiatore avrebbe potuto mantenere la qualifica di azionista, perché il possesso di 100.000 azioni del 2014 permetteva di averne ancora una nel 2021 e il suo valore sarebbe stato di circa 1 euro. Tutte le operazioni attuate in quel periodo erano state dichiarate risolutive dei problemi di Banca Carige, dal management della banca.
Come avete letto, abbiamo commentato le dichiarazioni dell’ultimo mese in cui si è detto tutto e il contrario di tutto. Con le ipotesi d’inserimento di nuovi benefici fiscali nel DL sostegni bis, s’è provato a cucire un abito addosso alle banche che necessitano di essere acquisite, poi si è cambiata idea. A fine 2018 avevano rifiutato di fornire un piano industriale che avrebbe potuto convincere il socio di riferimento ad iniettare altra liquidità in Banca Carige e, poi, avevano espropriato gli azionisti che avevano già ricapitalizzato Carige per tre volte. Oggi siamo ancora al punto di partenza, senza una soluzione e possiamo solo auspicare che ne arrivi una. Ci hanno detto che nulla è definito. Con il solito mantra diffuso a profusione ci si vanta del lavoro compiuto: “Abbiamo venduto gli Npl, Carige è una delle banche con i parametri più elevati a livello nazionale, ma non può continuare a vivere in autonomia”.
La foto che accompagna questo articolo, sintetizza e rappresenta visivamente la sensazione che ci pervade quando pensiamo alla fumosità del fiume di dichiarazioni che abbiamo sentito in questi due anni e mezzo. La sensazione è proprio quella assimilabile a quando si presenta il fenomeno meteorologico chiamato caligo, la nebbia sul mare che pervade la costa. Quando le condizioni atmosferiche favoriscono la sua formazione, riesce a nascondere tutto l’ambiente che permea, mare compreso, lasciando perfettamente visibile tutto ciò che emerge al di sopra dei pochi metri di spessore della sua coltre. Da un punto un pochino più elevato, lo sguardo è libero di spaziare sino all’orizzonte. Ebbene, le inconcludenti dichiarazioni che abbiamo udito per anni, ci hanno indotto a pensare che fossero rilasciata per non fare emergere l’unica cosa che nessuno ha mai voluto evidenziare: le dichiarazioni pubbliche con cui s’inducevano gli azionisti a iniettare capitale in una banca, che poi sarebbe stata vergognosamente e cinicamente espropriata.