Cessato il regno del “Magro”, questo sembra fosse il soprannome con cui gli indagati, coinvolti nell’inchiesta indicavano Giovanni Berneschi, il consiglio di amministrazione presieduto da Cesare Castelbarco, ha deciso di nominare il primo amministratore delegato nella lunghissima storia di Banca Carige. Sarà Piero Montani, manager con esperienza comprovata nel risanamento di banche in difficoltà. Nel turbinio di cambiamenti che avrebbero avuto il compito di traghettare la banca fuori dalla crisi, anche il presidente di Fondazione CARIGE, Flavio Repetto, è stato inaspettatamente estromesso da un documento di sfiducia sottoscritto da diciassette consiglieri, il 30 ottobre 2013. Sarà sostituito dall’avvocato Paolo Momigliano insediatosi a inizio dicembre.
Dopo avere lasciato la banca popolare di Milano, in cui ricopriva la carica di amministratore delegato, Piero Montani, è tornato nella citta d’origine, dove aveva iniziato a lavorare nel Credito Italiano, per concentrarsi sui problemi di banca CARIGE, che non erano pochi. Il suo arrivo era stato preceduto da un’ispezione della guardia di finanza, che aveva richiesto la consegna di documenti sulla concessione di alcuni crediti e dalla richiesta di un aumento di capitale da 800 milioni, sollecitata da Banca d’Italia. Siamo a inizio novembre 2013. L’inizio del 2014 ha mostrato quanto fosse stretta e tortuosa la via che aveva davanti a sé Montani. La prima notizia, che allora poteva apparire come una normale modifica delle regole di sorveglianza sugli istituti creditizi, fu che Banca CARIGE sarebbe passata sotto la vigilanza diretta della BCE, anziché continuare a essere vigilata da Banca d’Italia. La seconda fu lo stop alla ricapitalizzazione che gli giunse da Fondazione Carige, socio di controllo della banca con una partecipazione intorno al 49%. Prima si doveva procedere con le dismissioni e poi deliberare la ricapitalizzazione per l’importo che sarebbe mancato a soddisfare le richieste della vigilanza.
Al di la del formalismo, che determina lo stile di comunicazione tra un socio di controllo e i vertici di una società quotata, la sostanza era che la fondazione non aveva a disposizione la liquidità per partecipare alla ricapitalizzazione e, di conseguenza, meno elevato fosse stato l’aumento di capitale, più alto sarebbe stato il peso percentuale delle azioni possedute dalla fondazione a ricapitalizzazione avvenuta. Cercare di prendere decisioni che sintonizzassero le necessità dell’azionista di riferimento e quelle dell’istituto di credito genovese, non era facile. La fondazione chiedeva il tempo necessario per fare dismissioni, la banca aveva bisogno di agire in fretta, per lanciare messaggi chiari che rassicurassero il mercato e soddisfacessero le richieste di banca d’Italia e, quindi, voleva far partire l’aumento a marzo 2014. Per evitare il passaggio in assemblea straordinaria degli azionisti, come richiesto dalla fondazione, si raggiunse il compromesso di avviare l’aumento a metà giugno, deliberandolo entro marzo. Nell’intervallo di tempo a disposizione, non e stato possibile fare alcuna dismissione e Fondazione CARIGE, che al momento in cui era stata approvata la ricapitalizzazione deteneva il 49% del capitale sociale, è stata costretta a vendere azioni sino a scendere al 19%, per procurarsi la liquidità necessaria a mantenere quella percentuale a ricapitalizzazione avvenuta. L’aumento di capitale sarà di 800 milioni, servirà a rafforzare la struttura patrimoniale e andrà a buon fine.
Quattro mesi dopo, cominciano a verificarsi eventi che preferiamo non aggettivare. Sia chiaro, per riuscirci dobbiamo farci una vera violenza, ma noi vogliamo esporre fatti e proporre possibili soluzioni, lasciamo che siano i lettori a esprimere opinioni. Banca Carige passa dalla sorveglianza di Banca d’Italia a quella della BCE, che riconosce i progressi della banca, ritenendo che i suoi conti siano in equilibrio, ma sulla base degli stress test, ha detto che non sarebbero stati in grado di superare una fase economica particolarmente avversa. Una vera beffa per quegli investitori che avevano deciso di aderire alla ricapitalizzazione di quattro mesi prima, perché convinti che, sulla base di dichiarazioni pubbliche e commenti di stampa, gli ottocento milioni fossero più che sufficienti a mettere in sicurezza la banca. Nella prima ricapitalizzazione i vertici di Carige avrebbero voluto fare un aumento di capitale più consistente ma Banca d’Italia aveva ritenuto che 800 milioni fossero sufficienti. Con il passaggio della supervisione alla vigilanza BCE, i parametri di valutazione sono stati cambiati e qualunque fosse la ragione per cui si era ritenuta adeguata la ricapitalizzazione effettuata a metà giugno, a ottobre, tutti quelli che vi avevano aderito, dovevano leccarsi le ferite e rammaricarsi per avere avuto fiducia nella banca, nei suoi vertici e nelle disposizioni di Banca d’Italia.
Potremmo entrare in valutazioni tecniche per sostenere l’incongruenza di quanto stesse avvenendo, ma non servirebbe a nulla. I fatti sono che a distanza di quattro mesi si richiede una nuova ricapitalizzazione da 814 milioni a banca CARIGE, portando a supporto di quella decisione un ipotetico scenario avverso che avrebbe potuto anche non accadere mai. La conseguenza di quelle imposizioni è che, nella prima metà di maggio 2015, l’assetto azionario di banca CARIGE era totalmente cambiato. La fondazione era scesa al 2% nel capitale della banca ed erano entrati nuovi soci, la famiglia Malacalza aveva acquisito poco più del 10% e l’imprenditore Gabriele Volpi con il 2%. Entrambi i nuovi soci avevano dichiarato la propria disponibilità ad aumentare la quota di partecipazione in Banca Carige.
Noi auspichiamo che chi ci legge si sia accorto con rammarico che non abbiamo parlato dei piccoli azionisti, di cosa sia successo loro e di come fosse il loro stato d’animo quando hanno letto cosa stava accadendo in Banca CARIGE. Anche se non siamo ancora arrivati alla fine di questo passaggio sula storia della banca, riteniamo di dovere fare una precisazione molto importante. Per raccogliere informazioni su quanto stiamo scrivendo, abbiamo attinto agli archivi degli organi d’informazione e, a parte qualche pietoso accenno ai casi più clamorosi fra le decine di migliaia di persone che hanno visto svanire il capitale investito, nessuno ha parlato di possibili soluzioni per l’azionariato diffuso. Poiché noi vogliamo dare evidenza ai fatti, desideriamo evidenziare che questa è la costatazione più rilevante nella narrazione che stiamo facendo.
L’8 giugno 2015 inizia il nuovo aumento di capitale Banca CARIGE. Si punta a un’emissione di nuove azioni per un controvalore di circa 850 milioni, che, aggiunti a quanto ricavati dalla cessione delle assicurazioni, elevano il rafforzamento patrimoniale ben sopra le richieste dalla vigilanza BCE. A fine ricapitalizzazione la famiglia Malacalza controllava più del 17% della società, Gabriele Volpi più del 5% e alla fondazione era rimasta qualche briciola. Naturalmente a tutti gli altri azionisti non poteva essere toccata una sorte migliore, rispetto alla fondazione, perché se avessero partecipato alla prima ricapitalizzazione, pur mantenendo inalterata la propria quota percentuale, avrebbero perso anche buona parte del nuovo capitale investito. Tutti i soci contavano su un importante miglioramento nel bilancio dell’esercizio in corso, che avrebbe iniziato a ripagare i sacrifici degli ultimi anni.
A inizio gennaio 2016 il valore delle azioni Banca Carige iniziò a scendere in modo anomalo. Montani rilasciò un’intervista in cui affermava che Carige era una banca patrimonialmente solida, che stava rispettando gli obiettivi che si era posta. Nella stessa dichiarazione aggiunse che l’oscillazione della sua quotazione di borsa era imputabile ad attacchi speculativi. Il 2 di marzo il socio di maggioranza relativa Malacalza investimenti, presenta una propria lista per il rinnovo del CDA che è in scadenza. Primo della lista Giuseppe Tesauro, ex presidente della Corte Costituzionale, secondo Vittorio Malacalza e terzo Guido Bastianini, il primo era proposto per la presidenza, il secondo per la vicepresidenza e il terzo alla carica di amministratore delegato.
Il valore dell’azione CARIGE, che dopo le fibrillazioni d’inizio anno si era ripreso, e in una settimana era risalito del 40%, entrò nuovamente in tensione quando la BCE, poco dopo l’annuncio della lista presentata da Malacalza investimenti, dichiarò di aspettarsi un nuovo piano industriale in brevissimo tempo. Con uno strano tempismo, anche uno dei più autorevoli quotidiani tedeschi lanciò un incomprensibile affondo sulle banche italiane e nuove tensioni si abbatterono su un titolo che necessitava solo di tranquillità, di fiducia e del tempo necessario a lasciare lavorare i vertici che si sarebbero insediati a fine mese e, invece, dovevano subire incredibili intimidazioni ancora prima di sapere come sarebbe stato composto il nuovo consiglio di amministrazione.
L’incomprensibile accanimento contro le banche italiane in genere e contro CARIGE in particolare, si collocava, stranamente, tra la presentazione della lista che proponeva nuovi vertici e l’offerta di un fondo comune americano che si offriva di acquistare NPL a un prezzo così scontato, che, probabilmente, avrebbe permesso di utilizzare parte delle plusvalenze ottenibili dal recupero di quei crediti, per acquisire il controllo della banca. Come se non fosse sufficiente quanto già esposto, si diffuse la notizia che la vigilanza BCE esercitasse pressione affinché fosse accettata l’offerta di quel fondo d’investimento. Se la notizia fosse stata vera, sarebbe stata gravissima e degna di un approfondimento da parte delle autorità competenti, ammesso che ce ne fossero. Se fosse stata falsa, sarebbe stata opportuna una decisa smentita da parte della vigilanza, in mancanza della quale il danno d’immagine della banca sarebbe rimasto e il comportamento di correntisti, azionisti e investitori sarebbe stato condizionato da quella notizia .
Si sa, la vita è imprevedibile e le coincidenze possono anche verificarsi con una frequenza statistica poco probabile, ma, se la loro interferenza è sistematica, è naturale che insorga qualche dubbio, specie nelle persone più propense a valutare quanto la concomitanza ciclica degli avvenimenti produca effetti sul valore dei titoli. A fine marzo 2015, l’assemblea degli azionisti elesse ai vertici di Banca CARIGE le figure proposte da Malacalza investimenti, confermando solo due dei consiglieri presenti nel precedente CDA.
Proviamo a proporre alcune soluzioni.
- Un corretto funzionamento dei mercati finanziari è basato sulla trasparenza e la fiducia, la correttezza del flusso d’informazioni. Se esistessero norme che impongano smentite chiare e tempestive e prevedano interventi severi su chi non lo faccia, forse gli investitori sarebbero meno danneggiati e i loro patrimoni più tutelati.
- Se non si fosse cercato di tutelare la storica quota posseduta da Fondazione Carige nella prima ricapitalizzazione e si fosse deliberato un aumento di capitale più elevato, per la fondazione non sarebbe cambiato nulla, ma gli altri azionisti avrebbero potuto prendere una decisione più consapevole e non si sarebbero esposti oltre le loro possibilità.
- Noi crediamo che la costituzione tuteli i risparmi dei cittadini, in un caso come questo, chi aveva il dovere di farlo? Chi doveva opporsi a decisioni chiaramente poco rispettose dei più elementari diritti degli investitori.
- Noi siamo convinti che chi investa in capitale di rischio debba essere disposto a perderlo, nel caso avesse deciso di azzardare una spericolata speculazione. Che colpa può essere attribuita a un investitore che ha visto il proprio investimento perdere tutto il suo valor a causa di un comportamento fraudolento che le autorità competenti non hanno saputo evitare e che è stato ulteriormente penalizzato da comportamenti scoordinati a causa di un passaggio di competenze tra due livelli di vigilanza?