PREFAZIONE
Iniziamo a parlare di Banca Carige, perché ciò che è accaduto nella sua crisi è rappresentativo dei problemi che sono accaduti agli investitori in più occasioni. L’esposizione della sua involuzione richiederà più articoli perché molteplici sono le domande cui si dovrebbe dare risposta o singolarità che richiedono approfondimenti su quanto accaduto e correttivi regolamentari per evitare che succedano in altre occasioni. Il caso CARIGE ha un’altra caratteristica che lo rende unico: una crisi iniziata con vecchie regole, è stata aggravata dall’introduzione di nuove norme, sia nazionali sia internazionali. Se avrete la pazienza di seguirci sino alla pubblicazione dell’ultimo articolo, vi accorgerete di quante sono state le cause che ci hanno portato al punto in cui ci troviamo, ma, soprattutto, quanti siano i responsabili del declino e quante cose si sarebbero potute fare per evitarlo.
In tutto quello che descriveremo, emergeranno solo tre certezze, tre punti fermi: quelli che non hanno avuto alcuna responsabilità sono gli azionisti, gli unici che hanno pagato sono stati gli azionisti, chi non ha mai potuto esprimere le proprie opinioni sono, ancora una volta, gli azionisti. Non dovrebbe essere difficile capire perché ci siamo sentiti in dovere di dare una voce a chi non ha mai parlato, non ha mai avuto alcuna responsabilità ed ha sempre dovuto pagare.
CARIGE 1 L’era Berneschi.
La carriera di Giovanni Berneschi e iniziata nel 1957, fu assunto in Banca CARIGE quando aveva diciannove anni e appena conseguito il diploma di ragioniere. Da semplice impiegato ha scalato tutte le posizioni, sino a diventare direttore generale e presidente dell’istituto bancario genovese. Cariche che è riuscito a mantenere sino al 2013, anno in cui le divergenze di opinione con il presidente della Fondazione CARIGE, generarono un conflitto tra lui e i soci forti.
La banca d’Italia aveva alzato l’attenzione sui bilanci CARIGE e le ripetute richieste di chiarimenti avevano fatto emergere delle criticità patrimoniali che imponevano di essere compensate con un aumento di capitale. Berneschi sosteneva l’ipotesi di un’alleanza con altra banca, mediante la cessione di azioni in cambio di denaro fresco. Soluzione che avrebbe ridotto la quota di controllo della fondazione. Flavio Repetto, presidente di fondazione Carige, insisteva affinché la maggior necessità di capitale fosse coperta con la dismissione di società, immobili e partecipazioni.
La fitta rete di conoscenze aveva permesso a Berneschi di ottenere la nomina a vicepresidente dell’ABI (associazione banche italiane) I. Nello stesso periodo il presidente dell’ABI era Giuseppe Mussari, che era anche ai vertici di MPS. Concomitanza molto curiosa, se si pensa alle analogie tra i problemi di Banca Carige e quelli dell’istituto di credito senese. Altra strana curiosità è che Berneschi sia stato coinvolto in ruolo di rilievo nell’ACRI, associazione tra le fondazioni e le casse di risparmio, quando Antonio Pattuelli lascia libera una poltrona per sostituire ai vertici dell’ABI Mussari, ormai travolto dallo scandalo MPS.
A fine settembre 2013, si arriva alla resa dei conti tra Berneschi e Flavio Repetto. Poche settimane prima la maggioranza dei consiglieri di Banca CARIGE si era dimessa, facendo cadere il CDA e costringendo il Presidente Berneschi a convocare l’assemblea degli azionisti per una nuova elezione del consiglio di amministrazione. Saranno presentate tre liste: una dalla fondazione che non propone più Berneschi, una della banca francese Bpce lom e una dai piccoli azionisti che sostenevano ancora Berneschi. Cesare Castelbarco Albani sarà il nuovo presidente di Banca Carige e da quell’assemblea, che lo aveva escluso da qualsiasi ruolo nella gestione della società, dopo venticinque anni trascorsi in plancia di comando, inizia il definitivo declino di Berneschi. A fine ottobre, Piero Montani, manager gradito a Banca d’Italia, ricoprirà il ruolo di amministratore delegato della banca.
Anche se sconfitto, la fitta trama di relazioni che aveva intessuto nel corso degli anni, faceva sentire Giovanni Berneschi sicuro di sé. Forse troppo sicuro, perché alcune intercettazioni hanno permesso agli inquirenti di aprire una breccia nella corazza protettiva che gli aveva permesso di non essere mai stato sospettato dei reati che gli sarebbero stati attribuiti. Le indagini che da qualche tempo si erano insinuate nella rete di comportamenti illeciti messi in atto da Giovanni Berneschi, a maggio 2014, hanno portato all’arresto dell’ex presidente di banca CARIGE e di altre sei persone, con l’accusa di avere messo in atto una truffa alla compagnia assicurativa Carige Vita Nuova. Giovanni Berneschi e gli altri indagati sono stati messi agli arresti domiciliari con la contestazione del reato di associazione per delinquere finalizzata alla truffa e al riciclaggio.
L’accusa riteneva che la truffa compiuta da Berneschi in concorso con altri indagati, consistesse nel fare acquistare alle assicurazioni controllate da banca Carige, immobili e quote di società a un prezzo superiore al loro valore reale, purché gli imprenditori che le possedevano fossero disposti a dividere la maggiorazione di valore, per reinvestire in Svizzera e altri paesi stranieri la plusvalenza fraudolenta ottenuta da quelle transazioni. Quando sono stati imposti gli arresti domiciliari a Giovanni Berneschi, i correntisti che avevano concesso la loro fiducia alla banca sino a diventarne azionisti, erano increduli. La loro fiducia in un manager che era emerso dal nulla e aveva fatto crescere nel tempo la banca del loro territorio, non era scalfibile da accuse, la cui veridicità non era ancora stata confermata da una sentenza. Dal loro punto di vista, Berneschi aveva favorito lo sviluppo economico dell’intera regione, aveva creato posti di lavoro, aveva distribuito dividendi che remuneravano il capitale investito di chi aveva avuto fiducia in banca Carige. Non potevano credere alle accuse mosse contro di lui da chi si sarebbe dovuto accorgere di eventuali irregolarità.
Nel corso del processo, il pubblico ministero ha comunicato di avere calcolato che la truffa avrebbe provocato danni molto elevati alle assicurazioni controllate da Carige, nel periodo in cui erano stati documentati i passaggi di denaro tra gli indagati. Il PM Silvio Franz ha chiesto sei anni di carcere per Berneschi. Nel febbraio 2017 è stata emessa la sentenza di primo grado e il giudice ha stupito tutte le persone coinvolte nel processo ed ha condannato Berneschi a una pena di otto anni e due mesi, molto superiore alla richiesta del pubblico ministero. Naturalmente i commenti i dei legali esprimevano ottimismo sui ricorso in appello.
A luglio 2018, in appello, è stata confermata la sentenza e aumentata la pena a otto anni e sette mesi per Berneschi, nonostante la pena richiesta dall’accusa fosse di sei anni e otto mesi.
Sino a qui le considerazioni che si possono fare sono fin troppo scontate, sono le stesse del caso Parmalat e dei molti altri che l’hanno preceduto e seguito: cosa hanno controllato il CDA, i sindaci, i revisori dei conti, CONSOB e Banca d’Italia? Chi paga i costi di tutti questi controllori?
Proviamo a proporre alcune soluzioni.
- Se esistesse un fondo di garanzia per tutelare chi paga i controllori, nel caso commettano errori, forse la finanza sarebbe più giusta.
- Se ci fosse un ufficio cui fare denuncie riservate e un premio per gli impiegati che denunciano le irregolarità dei vertici aziendali, certamente ci sarebbero meno irregolarità oppure si scoprirebbero molto prima che il danno diventi irreparabile.
- Se ci fossero regole che espellono dal mercato i controllori che sbagliano, gli errori che penalizzano gli investitori potrebbero diminuire, perché è veramente strano che nessuno si sia accorto di ciò che stava accadendo in banca CARIGE. Provate a contare quante persone l’avrebbero potuto fare.