Il 2022 è stato veramente un anno inconsueto per l’economia in generale e per il sistema bancario in particolare. L’anno non è ancora finito, ma vale la pena tratteggiare alcuni passaggi particolarmente significativi, nell’auspicio che siano una fase transitoria per sostituire contraddizioni e diffidenze con soluzioni atte ad avviare una trasformazione dei dubbi in una saggia presa di coscienza di cosa sia indispensabile fare per uno sviluppo economico durevole. Il recupero dei valori persi, in mancanza dei quali la credibilità del sistema finanziario è stata travolta, è diventato un passaggio obbligato e una priorità non più dilazionabile.
Una prima e interessante opinione era stata espressa il 10 febbraio 2022 dall’economista Alessandro Penati, in un articolo pubblicato sul quotidiano Domani. Il titolo era: Banche, i numeri record del 2021 nascondono problemi strutturali. L’articolo era uscito nel momento più favorevole della propensione all’ottimismo, perché pubblicato quando s’iniziavano a diffondere buone previsioni sull’evoluzione della pandemia, la Federazione Russa non aveva ancora invaso l’Ucraina, e l’impennata dell’inflazione non era nemmeno ipotizzabile. La puntualizzazione è d’obbligo, perché se il lettore leggesse l’articolo senza identificare con precisione il momento in cui era stato scritto, potrebbe ipotizzare che le priorità del paese siano ben diverse dai tre punti introduttivi.
- Le banche hanno appena reso noto i risultati di bilancio per il 2021 che si è chiuso con utili record. Si sono dunque lasciate alle spalle la fase critica legata alla pandemia e ora promettono lauti dividendi e buyback per la felicità degli azionisti.
- La disintermediazione delle banche nel mercato del credito dell’area euro appare un trend inarrestabile, anche perché implicito nella regolamentazione e nella politica dei governi.
- Ma non preoccuparsi di come e con che cosa sostituirle nel finanziare le imprese e promuovere il capitale di rischio genera forti dubbi sulla capacità del nostro sistema finanziario di sostenere la crescita.
Poi l’articolo riporta numeri che permettono di comprendere la concretezza del lavoro di Alessandro Penati, che si prefigge di evidenziare la trasformazione in atto nel sistema bancario italiano ed europeo.
- Il rapporto tra Patrimonio di base e attività (CET1) del terzo trimestre 2021 raggiunto dalle banche principali italiane era pari al 15,3 %, circa 5 punti in più del minimo richiesto.
- Ipotizza che buona parte di quell’eccesso di capitale venga distribuito come dividendi o impiegato in acquisto di azioni proprie, rispondendo alle aspettative di remunerazione del capitale, a favore di chi lo aveva conferito.
- L’imposizione dell’incremento del patrimonio da parte del regolatore, ha ridotto la redditività del sistema bancario che negli ultimi anni ha incrementato i prestiti alle famiglie e ridotto quelli alle imprese, perché considerati più rischiosi, ed ha esteso il volume degli investimenti in titoli di stato, perché ritenuti privi di rischio.
Dall’articolo emerge un concetto chiaro, il finanziamento alle imprese deve arrivare direttamente dai risparmiatori, non dalle Banche che, anziché ricoprire il ruolo storicamente svolto, ora vogliono generare profitti con l’erogazione di servizi ai risparmiatori, trasferendo i rischi di erogazione del credito su di loro. Nulla in contrario, se il passaggio avvenisse in un contesto in cui ruoli, tutele e diritti fossero chiaramente definiti e ritenuti affidabili. I risparmiatori come potrebbero concedere la propria fiducia ad un sistema finanziario che è stato capace di distruggere i patrimoni che centinaia di migliaia di famiglie avevano investito proprio nelle banche?
Il risparmio deve sempre essere tutelato, lo dice l’articolo 47 della nostra costituzione. Non può essere considerato solo come una fonte da cui attingere quando necessitano flussi di liquidità, o peggio, da utilizzare per sopperire alle inefficienze o le furberie di intermediari ed emittenti. Le aggregazioni tra banche sarebbero un altro obbiettivo chiaramente condiviso dai risparmiatori, se avvenissero con trasparenza sul mercato, ma diventano un nuovo veicolo di diffidenza se perseguite con i giochi di sistema, con cui si espropria chi aveva fiduciosamente investito, credendo ai consigli di consulenti in chiaro conflitto d’interesse.
Uno studio dell’università Bocconi sulle Banche di credito Cooperativo (Bcc), commentato in un articolo di START del 29 giugno 2022, dal titolo – La verità sulle Bcc. Report Bocconi – smentisce, documentandolo con analisi oggettive sui dati di bilancio, la convinzione di redditività più elevata attribuita alla maggior dimensione degli istituti di credito, con cui si giustificano i reiterati richiami ad un consolidamento del sistema bancario. Anzi, scorrendo l’articolo sino alla fine, si trova una considerazione che afferma l’esatto opposto.
Dal studio emerge che la redditività e l’efficienza di una Banca, non sono diretta conseguenza di una maggior dimensione, ma dipendono dalle stesse scelte gestionali che determinano il successo di qualsiasi attività imprenditoriale – la conoscenza e l’adozione dei corretti criteri di tecnica industriale e aziendale (strategie e obiettivi, analisi di mercato e concorrenziale, modelli e processi organizzativi, meccanismi operativi e distributivi, tecnologie, prodotti e servizi, efficienza, efficacia e competitività, marketing, controllo di gestione, ecc.), oltre al possesso in capo agli amministratori dei requisiti di onorabilità, professionalità e competenza, che assumono particolare rilievo proprio nelle banche.
Concentrando la nostra attenzione sulla frase in grassetto: riflettendo sulle crisi degli ultimi dieci anni, potremmo scoprire che il vero problema della finanza risieda proprio nella mancanza di uno o più di quei requisiti, negli amministratori delle società coinvolte. Limitando le considerazioni all’evoluzione in atto negli istituti di credito, la sintesi di ciò che sta avvenendo sarebbe: le banche diventano erogatrici di servizi a pagamento e i risparmiatori, che nel frattempo, hanno deciso di tenere i risparmi nei depositi bancari, dovrebbero sviluppare le competenze mancanti ai banchieri.
Peccato che, se da tempo i risparmiatori affidano i propri risparmi a emittenti esteri, è proprio perché hanno perso ogni fiducia in quelli nazionali. Sono stanchi di affidare i risparmi a chi li incanta con la suadente ripetizione di frasi che, come il suono del pifferaio magico, li inducono a depositarli in attività dove restano congelati per anni. Poi il suono magico consiglia di versarne altri per difendere i primi, poi ancora, sino a quando ci sono risparmi a disposizione. Il numero delle azioni possedute da centomila diventa mille, poi una e, alla fine, ci si accorge che non è più possibile recuperare alcunché.
E l’economia del paese chi la sostiene? Forse dovremmo capire che la vera soluzione sarebbe quella di dotarsi di amministratori capaci, rispettosi dei diritti e in grado di recuperare la fiducia dei risparmiatori. La politica dovrebbe vedere il risparmio come un generatore di qualità della vita per il paese, un bene da proteggere con norme chiare e in grado di punire chi agisce in malafede. Se politica e organi di controllo e vigilanza prestassero ascolto alle denunce dei risparmiatori, e facilitassero il dialogo con loro, tutti i problemi sarebbero individuabili in un baleno. Tutto diventerebbe facile ed automatico se il vero scopo della finanza fosse il sostegno all’economia e la valorizzazione del risparmio.