Alla base del dissesto della Bancal Monte dei Paschi di Siena ci sono tre fatti ben precisi che documentano un cambio di strategia operativa e un maldestro tentativo di uscire dal tradizionale percorso che aveva permesso alla banca di sopravvivere alle crisi finanziarie per ben più di cinque secoli.
- La banca aveva una sovraesposizione ai titoli di stato italiani. Mediamente ne possedeva circa il doppio rispetto alle altre banche nazionali, non a valore assoluto ma nel rapporto con il patrimonio.
- Per coprire il rischio generato da quell’esposizione, dal 2005 la banca senese ha fatto ricorso ai derivati, che sono strumenti finanziari molto complessi e di non facile comprensione nemmeno per i banchieri più scaltri. Nel tempo ne ha negoziati più volte, dire con precisione quante, non è possibile, nelle varie inchieste ne sono stati identificati almeno tre: Alexandria, Santorini e Fresh.
- Nel 2008 Mps acquista banca Antonveneta per 9 miliardi, un prezzo esorbitante se si aggiungono i 7 miliardi di debiti che la banca acquirente ha trasferito nei propri bilanci con l’acquisto.
Monte dei Paschi di Siena, presa in contropiede dalla crisi finanziaria generata dal fallimento della banca statunitense Lehman Brothers, si trovò nella situazione di dovere prendere decisioni rapide sui derivati acquistati, in un momento di particolare turbolenza dei mercati finanziari. La gestione di prodotti così poco liquidi, non è mai semplice e l’efficacia delle decisioni si complica se non si ha il tempo di fare valutazioni precise su attività finanziarie particolarmente complesse. Quei prodotti sono proposti da professionisti che, ovviamente, hanno interessi contrapposti a quelli dell’interlocutore con cui stanno negoziando e la scarsità di tempo gioca a favore di chi conosce bene il prodotto che si sta proponendo. Solo osservando i fatti da una prospettiva che permette una fredda visione, senza alcun coinvolgimento emotivo, si riesce a dare una spiegazione logica e imparziale sul come fosse stato possibile che i responsabili di Mps abbiano sempre venduto sui minimi e acquistato sui massimi, i prodotti che hanno contribuito, insieme ad altre sfortunate decisioni, a portare la banca nella condizione di dovere essere salvata da un intervento esterno.
È necessario considerare che quegli strumenti, in pochi minuti, potevano generare profitti o perdite enormi a causa della volatilità che imperversava sui mercati in quel periodo e dell’effetto leva con cui sono negoziati e gestiti. Un investitore che opera in derivati, ha la possibilità di guadagnare o perdere cifre molto maggiori del capitale investito. In una fase di mercato così articolata, in cui la finanza stava facendo sfumare in secondo piano l’attività caratteristica della banca, inspiegabilmente, si è deliberata un’acquisizione di un istituto di credito che da anni era in difficoltà e di cui vale la pena tratteggiare alcuni passaggi con cui descriveremo l’insorgere del problema Antonveneta.
Nell’estate del 2005 Banca Antonveneta era al centro dell’attenzione per l’interesse manifestato da alcuni istituti di credito per una sua acquisizione. Tra i possibili acquirenti che avevano evidenziato il proprio interesse, emergevano la Banca Popolare di Lodi, al cui timone c’era Giampiero Fiorani (noto anche come Gianpy, uno dei “furbetti del quartierino”) e Abn Amro, una banca olandese con sede ad Amsterdam. Fu quest’ultima a conquistare Antonveneta, nel settembre 2005. Il titolo della banca padovana fu ritirato dal mercato italiano, dopo il completamento dell’operazione con offerta di acquisto obbligatoria, nella primavera del 2006. Una nuova scalata finanziaria, organizzata dalla cordata Royal Bank of Scotland, Banco Santander e Fortis crea le condizioni per cui nell’estate del 2007, la banca olandese finisca sotto il controllo degli scalatori. Le banche che avevano costituito il consorzio, si suddivideranno i marchi confluiti nella banca olandese e gli asset di Antonveneta passeranno sotto il controllo dell’istituto di credito spagnolo.
Stranamente, solo pochi mesi dopo, l’8 novembre, Mps annunciava di avere raggiunto un accordo con Banco Santander per l’acquisizione di Banca Antonveneta, dal cui perimetro sarebbe uscita Interbanca, che restava al venditore. Il prezzo dell’acquisizione sarebbe stato di 9 miliardi e si sarebbe concretizzato nella primavera del 2008. Negli anni successivi sarà appurato che non fu seguita la prassi consueta nei casi di passaggio di proprietà, per verificare la corretta valutazione della società che si vorrebbe acquisire (fare una “due diligence”). Un passaggio che, per trasparenza, viene comunemente messo in atto, per documentare ai soci di capitale e agli organi sociali di chi acquista e della società ceduta, che il prezzo di cessione e di acquisto siano congrui. Abbiamo fatto questa precisazione perché il prezzo pagato era molto superiore a quello sostenuto da Abn Amro, a cui andavano aggiunti altri 7 miliardi di debiti, buona parte dei quali dovuti a prestiti concessi da Banco Santander per risanare i conti della banca che avrebbe cambiato proprietà.
L’acquisizione fu approvata da Banca d’Italia, che l’anno precedente aveva trovato problemi nei bilanci di Antonveneta e che, ipotizziamo, conoscesse i valori con cui si sarebbe conclusa la transazione. Al momento evitiamo di aggiungere quanto emerso dalle indagini e dai processi e che è stato confermato dalle sentenze, perché preferiamo rimarcare il vero punto critico della finanza globalizzata, non solo italiana. Ci sono fatti così chiari, che la metà delle funzioni di controllo previste dalle norme vigenti, sarebbe stata più che sufficiente a bloccare l’acquisizione della banca padovana. Invece no, non accade quasi mai e le approvazioni spesso sono deliberate all’unanimità e, l’esito del voto, è enfatizzato come garanzia sulla correttezza dell’operazione. Possibile che nessuno abbia chiesto se fosse stata fatta una due diligence sull’acquisizione di Banca Antonveneta? La mancanza di una verifica approfondita sui rischi connessi a quell’acquisizione e sulla correttezza di quanto dichiarato dal venditore, doveva indurre il consiglio di amministrazione a non approvare un’operazione che poteva esporre a rischi imprevedibili gli azionisti.
Ancora: se la complessità degli strumenti finanziari utilizzati per mascherare le perdite e spalmarle sugli anni futuri, aveva permesso a Giuseppe Mussari di nascondere le perdite ai propri azionisti e al mercato, come mai nessuno ha preso iniziative per vietare alle banche l’uso di strumenti che possano manipolare la realtà dello stato patrimoniale di una società quotata? I soldi che si mettono a rischio con quegli artifizi contabili, sono quelli dei risparmiatori e le autorità di controllo dovrebbero avere particolare sensibilità sulla necessità di fornire informazioni trasparenti al mercato. Pochi mesi dopo, a metà settembre 2008, per gli stessi problemi che avrebbero affossato Mps, falliva Lehman Brother. Sarebbe stato il più grande fallimento della storia finanziaria mondiale. Nessuno ha fatto nulla per evitarlo e nemmeno per vietare gli strumenti che avevano consentito di nascondere le sue perdite, che, nel momento in cui sono emerse, hanno fatto emergere debiti pari a 630 miliardi di dollari.
L’interdipendenza tra le economie di tutti i paesi industrializzati, fa sì che un forte trauma economico in un paese, generi una crisi che si propaga anche alle economie di tutti i paesi industrializzati. La crisi del 1929 avrebbe dovuto insegnarci molto, in quel caso la cura adottata da molti governi, fu il ricorso a decisioni che restituissero l’autosufficienza al proprio paese (autarchia). La medicina fece più danni della malattia. Nel 2008 con l’economia globalizzata tutti subirono conseguenze disastrose e il caso Mps è la dimostrazione che la politica deve mettere limiti a banchieri che continuano ad aumentare i propri emolumenti e a introdurre strumenti che tolgono trasparenza e sottraggono denaro al mercato, senza minimamente preoccuparsi dei danni provocati alla qualità della vita dei risparmiatori.
Abbiamo stabilito che Mps a inizio dell’estate 2008 avesse una forte esposizione ai Btp, aveva preso posizione su strumenti finanziari rischiosi e poco liquidi e aveva acquisito una banca con alto indebitamento, a un prezzo esorbitante. L’improvviso shock generato da Lehman Brothers ha generato tre effetti che hanno profondamente appesantito i bilanci della banca:
- la capitalizzazione di borsa degli istituti di credito è precipitata, a causa della paura che altri operatori finanziari si trovassero nella stessa situazione della banca d’affari statunitense;
- Un rapido rialzo dello spread tra i nostri titoli di stato e i Bund tedeschi, ha determinato una risalita dei tassi a cui l’Italia poteva rifinanziare il proprio debito, a causa di un’accresciuta percezione di rischiosità, facendo crollare il valore dei titoli posseduti da Mps;
- le posizioni aperte in derivati, negoziate in condizioni di mercato diverse, cambiate repentinamente, hanno contribuito ad aggravare una posizione finanziaria insostenibile.
Prima di proseguire, vale la pena segnalare chi ha tratto profitto da tutte le operazioni descritte sin qui e quali sono gli ordini di grandezza di cui stiamo parlando, senza trascurare chi ha subito le perdite che hanno permesso i profitti ad altri:
- JPMorgan, Nomura e Deutsche Bank sono alcuni degli istituti di credito che hanno venduto i prodotti finanziari (derivati) che hanno generato perdite a Mps e, quindi, hanno tratto profitto per importi complessivi valutati in oltre 700 milioni di euro dal Pm di Milano Stefano Civardi, in audizione alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche che allora era presieduta da Pierferdinando Casini;
- Abn Amro, Royal Bank of Scotland, Banco Santander e Fortis, sono le banche coinvolte nei passaggi che anno fatto confluire Antonveneta nel perimetro della banca senese ad un prezzo molto più alto di quello di partenza, con debiti più elevati e con la sottrazione di un asset come Interbanca; quindi, anche se non possiamo suddividere con precisione quanti di quei miliardi siano andati a ciascuno di loro, nel complesso hanno ricavato cifre enormi se si pensa che il primo passaggio era avvenuto per 6,5 miliardi;
- Consiglieri, Sindaci, Revisori, Consulenti, hanno ricevuto compensi, parcelle rimborsi spese e hanno permesso che tutto ciò accadesse;
- lo stato ha coperto parte dei buchi e vedremo se e quanto potrà rimetterci;
- Gli azionisti e la fondazione hanno perso quasi tutto il capitale investito.
Focalizziamo la nostra attenzione sul denaro che nei vari passaggi è stato trasferito dalle tasche dei risparmiatori a istituzioni finanziarie straniere. È importante cominciare a memorizzare questi trasferimenti perché stanno diventando una costante che alimenta la ricchezza degli altri paesi e riduce quella degli italiani. Anche quando scrivevamo di Banca Carige avevamo sottolineato l’insistenza con cui si cercava di fare confluire la banca tra le braccia di fondi esteri. Anche la vendita di crediti deteriorati, che sino a qualche tempo fa non avevano acquirenti nazionali, seguivano lo stesso percorso. Non andiamo oltre, perché su Carige avevamo fatto ampi approfondimenti in altre occasioni. Giova avere fatto questa precisazione perché supporta la conclusione cui potremmo giungere: gli italiani sono dei bravi creatori di ricchezza, perché sono il secondo paese manifatturiero d’Europa, forse farebbero bene a dotarsi di banchieri più preparati, per evitare che la ricchezza sia trasferita da professionisti più abili di chi sta gestendo i loro risparmi.
Ora facciamo una sintesi del percorso che ha portato al dissesto di Mps, mediante i fatti esposti nell’audizione dei Pm di Milano, nella audizione citata sopra e avvenuta nel mese di novembre 2017, su convocazione della commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche:
- Le origini dei problemi dell’istituto di credito senese, iniziano prima del 2005, anno in cui, per non evidenziare le perdite s’iniziò ad operare sui derivati, investendo 400 milioni di euro nel derivato Alexandria, che genererà ingenti perdite nel momento in cui Lehman Brothers porterà i libri in tribunale, proprio per il possesso di titoli assimilabili a quelli posseduti da Mps;
- Per spalmare i 220 milioni di perdite su 30 anni, Mps cedette il titolo a Nomura e acquistò tre miliardi di Btp trentennali, il cambio di destinazione dell’investimento, proprio nel momento in cui emerse la sfiducia del mercato sul debito italiano, innestò un crollo del valore dei titoli posseduti, favorendo la ripresa di quello ceduto;
- Nel frattempo aveva acquistato obbligazioni convertibili con l’operazione denominata Fresh, che, a detta della procura, avrebbe dovuto permettere di recuperare un miliardo necessario ad acquisire Antonveneta alle condizioni descritte sopra.
Mettendo insieme tutto quanto descritto, non è difficile capire come mai la banca non avrebbe potuto sopravvivere senza l’iniezione di ingenti quantità di capitale fresco. Ciò che meraviglia sono i dettagli che diventeranno noti al mercato e agli azionisti molti anni dopo. Nessuno poteva capire i problemi nascosti nelle pieghe dei bilanci, sino al cambio dei vertici della banca e approfondimenti molto dettagliati su operazioni finanziarie talmente complesse, da fare passare inosservata la loro pericolosità.
Un amico, con cui scambiamo opinioni ormai da molto tempo, ci ha mandato con gli auguri di Pasqua un pensiero, una foto e una domanda. Ci fa piacere condividerli con tutti i nostri lettori perché abbiamo tutti un tremendo bisogno di ritrovare speranza, ottimismo e serenità, aggiungiamo anche una risposta, con l’auspicio che chi ha il potere di cambiare le cose, ci ascolti.
- Buon giorno Franco, ti mando la fotografia della Magnolia Pasquale, una pianta ornamentale che allieta il mio giardino. Il fior rosa di questa pianta, simboleggia il Pudore, virtù che sembra i banchieri abbiano definitivamente perso. La natura non ci tradisce mai, a primavera le piante fioriscono e c’inondano di buon umore, speranza e fiducia; quando mai potremo tornare a provare queste sensazioni scrutando il nostro conto titoli?
All’amico Flavio e a tutti voi posso dire che sarebbe facile diventare ottimisti, se una volta indicata la soluzione a un problema, chi ne ha la competenza l’adottasse. Purtroppo non basta, la risposta al quesito di Flavio sarebbe contenuta nelle motivazioni di una sentenza di primo grado che riportiamo, perché riguarda proprio il titolo Monte dei Paschi di Siena e che, se prese in considerazione e attuate, potrebbero facilmente evitare lo scempio cui abbiamo assistito nel settore bancario. Sono riportate in un articolo di Milano Finanza del 7 aprile 2021:
“L’organismo di vigilanza ha assistito inerte agli accadimenti nella vorticosa spirale degli eventi, che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato”.