Le domande che avevamo posto il 31 gennaio erano molte, non ci aspettavamo certamente di ottenere risposte a tutte, ma almeno a una speravamo si rispondesse. Non importa a quale domanda, ma almeno una risposta che ci aiutasse a fare riflessioni sui nostri dubbi. Una risposta che, dopo avere prestato attenzione alla domanda, fosse buttata in faccia agli interlocutori per fare capire loro che la verità non sta mai da una sola parte, che sui temi opinabili è normale che ci siano posizioni diverse, che le assemblee degli azionisti non sono un dialogo tra sordi, ma un’occasione d’interazione costruttiva, nell’interesse del titolo e di chi ha investito i propri risparmi. Invece no! Abbiate la pazienza di seguirci fino in fondo e capirete perché gli azionisti disertano sistematicamente le assemblee.
Intervento Adriana C
Sulla raccolta deleghe sono stati presentati due esposti, chiunque volesse visionarli li può reperire sul sito www.vocedegliazionisti.it. Oggi noi desideriamo presentare domande che non sono ancora state fatte, perché abbiamo udito troppe lamentele da parte di molti che hanno votato sì, perché spinti a farlo solo dalla convinzione che, con quel voto, avrebbero salvato la banca. Proviamo ad approfondire per capire meglio.
Le deleghe raccolte sono state – 20 settembre 2018, 10. 22 dicembre 2018, 5. 20 settembre 2019 16.517. Per l’assemblea di oggi, quante deleghe sono state raccolte da Computershare? (non avendo ottenuto risposta in assemblea, aggiungiamo noi ciò che i commissari non hanno voluto dire, ma che era certamente noto a loro) Sono state 3, una delle quali è stata conferita da Alleanza Assicurazioni)
Vi sembra normale una simile differenza? Perché era così importante avere tutti quei votanti che esprimessero voto favorevole? Per fare passare la delibera assembleare? No perché se Malacalza Investimenti fosse entrata in assemblea e si fosse astenuta, tutto sarebbe stato inutile. Chi poteva giovarsi di tutto quello sforzo a spese degli azionisti? Diamo ancora una risposta noi: “I nuovi arrivati”.
Gli azionisti votando avrebbero permesso di raggiungere il quorum, votando sì avrebbero autorizzato l’esproprio della banca a favore di terzi e avrebbero perso il diritto di rivalsa nel caso in cui, con un ripensamento postumo, avessero deciso di rivalersi dei danni subiti.
Ora poniamo una domanda molto semplice: “Quanti fra le centinaia di dipendenti impegnati nella sollecitazione di deleghe hanno comunicato ai clienti che votando sì avrebbero perso il diritto di rivalsa”?
Se nessuno l’ha fatto, qualcuno ci potrebbe spiegare il perché?
Attenzione, la risposta non può essere che gli azionisti dovevano saperlo. Se così fosse, l’obbligo di sottoscrizione della MIFID non esisterebbe. La MIFID è stata istituita proprio per non lasciare i clienti meno preparati in balia d’intermediari che usano politiche commerciali aggressive. La risposta a questa domanda potrebbe aiutare a consigliare un percorso di rivalsa a chi ha votato sì in modo inconsapevole e sotto la pressione d’informazioni non complete o fuorvianti.
Nostro commento
Tenete presenti le semplici domande che sono state poste e leggete la risposta che è stata pubblicata sul verbale dell’assemblea 31 gennaio 2020.
Alla signora Adriana C. che pone una domanda in merito all’obbligo di informare gli azionisti circa l’assenza di diritto di rivalsa, come dice lei, in caso di voto favorevole in Assemblea, dico che, se con diritto di rivalsa intende riferirsi al diritto di impugnare le delibere Assembleari, questo esiste, è disciplinato, come sappiamo, tutti dall’articolo 2377 del Codice Civile che prevede che l’impugnativa possa essere esperita da soci assenti, astenuti, dissenzienti, in possesso di certa quota nel capitale, rispetto alle deliberazioni assunte nei 90 giorni dall’iscrizione delle delibere; con riferimento all’aumento di capitale il diritto di impugnazione in realtà non sussiste, poi, dopo l’iscrizione al registro delle imprese e all’esito della sua esecuzione, residuando comunque in capo agli azionisti l’azione risarcitoria, se vogliono esercitarla. Si tratta di diritti degli azionisti previsti dalla legge, tutelati dalla legge, che non riguardano in realtà gli obblighi informativi in capo agli intermediari, peraltro pienamente assolti dalla Banca in ogni fase dell’operazione.
E’ esattamente ciò che abbiamo detto noi per settimane, ma che altri avevano sottaciuto. Le dieci righe con cui si è cercato di dimostrare la correttezza dei dipendenti della banca quando hanno sollecitato le deleghe, possono essere riassunte in: “Esprimendo voto favorevole alla delibera assembleare, come tutti sappiamo, si perde il diritto di ottenere un eventuale risarcimento danni”. La domanda era se i dipendenti di Banca CARIGE che sono stati incaricati di prendere contatto con i clienti per indurli a votare, avessero detto loro che esprimendo un voto favorevole alla delibera, avrebbero perso il diritto di rivalsa, perché come precisato nella risposta, spettava solo a chi avesse espresso un voto diverso dal sì. O, in alternativa, avessero verificato se gli azionisti che stavano conferrendo delega, conoscessero anche la conseguenza derivante dall’esercizio di quel diritto, perché non è assolutamente vero che tutti lo sapevano.
Moltissimi degli azionisti convocati in banca, non avevano mai votato, avevano acquistato azioni su consiglio dell’impiegato con cui erano soliti interloquire e non era assolutamente corretto dare per scontato che conoscessero gli aspetti legali collegati all’espressione di un voto in assemblea, soprattutto perché espresso per delega e, quindi, senza la possibilità d’interloquire con altri azionisti che avrebbero potuto dare spiegazioni. Se avessero assistito agli interventi e ascoltato le risposte. avrebbero potuto esprimere un voto diverso. Se non bastasse, erano anche condizionati dalle spiegazioni di dipendenti soggiogati dalla paura di perdere il posto di lavoro, creata ad arte da articoli pubblicati sui quotidiani.
Sia chiaro, noi non stiamo dicendo che esista l’obbligo di comunicare quali siano i suoi diritti e a quali conseguenze si esponga esprimendo un voto a un azionista che partecipa abitualmente a un’assemblea o decida autonomamente di farlo in una particolare occasione. In questo caso sarebbe correttissimo ritenere che sia lui a doversi informare. Ciò che è avvenuto nelle settimane che hanno preceduto l’assemblea di Banca CARIGE, avvenuta il 20 settembre, è una cosa totalmente diversa e non è normale che un simile numero di azionisti abbia conferito una delega mediante un consulente finanziario con cui erano soliti interloquire. Se non bastasse, sono stati condizionati anche dalle azioni offerte in regalo e attenzione, le prime notizie che sono state diffuse dicevano che l’omaggio sarebbe stato collegato al voto favorevole.
Si consideri che chi aveva architettato quella ricapitalizzazione, aveva chiuso la strada ad ogni possibile soluzione alternativa, non perché non ve ne fossero, ma per costringere tutti a convergere sull’unica soluzione, dichiarando che la banca e i posti di lavoro si potevano salvare solo se la delibera assembleare fosse stata approvata. Immaginate le possibilità di scelta che restano a disposizione di un risparmiatore cui si dice che se non conferisce una delega con espressione di voto favorevole perderà tutto e il consulente che ha sempre interagito con lui, sarà licenziato, mentre se esprime voto favorevole, le sue azioni raddoppieranno (se ne possiede sino 500.000) e il suo interlocutore potrà continuare a seguirlo, senza comunicargli che la sua quota di possesso si ridurrà di quasi il 90% e il valore del suo investimento ancora di più e che, quando si accorgerà delle conseguenze di quel voto, avrà perso il diritto di richiedere un risarcimento danni per avere contribuito all’approvazione della delibera che lo ha espropriato.
Davvero vogliamo credere, come si pretende di affermare con la risposta, che una simile azione di convincimento di massa, la cui surreale anomalia è documentata dal numeri di adesioni alla raccolta deleghe della banca in 4 assemblee consecutive, possa essere considerata ineccepibile, alla luce di quanto denunciato in due esposti e descritto sopra? Le funzioni preposte ai compiti di sorveglianza e controllo possono davvero pensare che quei 16.517 azionisti potranno ancora esercitare serenamente il diritto di voto e magari intervenire in future assemblee di società quotate?