Le ragioni della lunga sospensione e della mancata esposizione di un valore, ci erano apparse incomprensibili. Inizialmente i commissari avevano dichiarato che il titolo sarebbe stato riammesso alla negoziazione di borsa ad aprile 2019 e, poi, non è accaduto nulla e nessuna spiegazione è stata diffusa. L’annuncio era stato ripetuto in una miriade di altre occasioni e tutte le volte avevamo assistito allo stesso spettacolo: promessa non rispettata e nessuna spiegazione. Ovvio che nel momento in cui la notizia avesse avuto il seguito comunicato, avremmo cercato una spiegazione alla sequenza d’occasioni in cui i fatti non avevano confermato le dichiarazioni pubbliche.
Finalmente, quando Cassa centrale banca (Ccb) ha annunciato di non avere più interesse ad esercitare l’opzione di acquisto, che gli consentiva di acquisire il controllo della Banca Carige a 0,53 euro per azione, abbiamo assistito ad un’improvvisa e frenetica attività per compiere gli adempimenti previsti dal regolatore, che avrebbero portato alla riammissione del titolo in 4 mesi. Come non ipotizzare, in considerazione dei fatti cui avevamo assistito, che il titolo era stato tenuto sospeso per soddisfare le esigenze degli attori che avevano sottoscritto un accordo quadro che, molto probabilmente, avrebbe portato al delisting della società. I fatti lo possono dimostrare: considerando la negazione quasi integrale del diritto d’opzione ai vecchi azionisti e la non trascurabile penalizzazione per chi avesse voluto sottoscrivere la quota a lui riservata nell’aumento di capitale, sarebbe stato molto difficile che il flottante restasse sopra il 10 % necessario per mantenere il titolo quotato, come ampiamente descritto nel prospetto informativo approvato da Consob, quando doveva dare il via libera all’aumento di capitale che era stato pianificato per il 4 dicembre 2019.
Infatti, chi avesse voluto sottoscrivere quell’aumento, avrebbe pagato 100 ciò che a Ccb era concesso acquistare a 53. Se ne deduce che la minoranza che avesse voluto mantenere la quota di possesso consentita, avrebbe dovuto pagare un premio del (47 : 53 x 100) = 88,7%, rispetto a chi si sarebbe impossessato del controllo della banca. Una domanda molto semplice: in quale altra nazione al mondo si potrebbe realizzare un aumento di capitale in cui il premio da pagare è a carico degli azionisti di minoranza e non di chi acquisisce la quota di controllo? Non è forse ugualmente palese che Ccb si era messa in gioco perché convinta che il delisting del titolo fosse quasi certo ed avrebbe potuto appropriarsi di una preda ambita a basso costo, con cui sarebbe stato facile fare una fusione e trarre tutti i vantaggi economici del caso? Non è altrettanto vero che una fusione con una società quotata avrebbe complicato il processo di aggregazione? Per ottenere il risultato desiderato, si contava proprio sugli assurdi meccanismi contenuti in un accordo che rendeva quasi impossibile la permanenza in quotazione del titolo.
C’era un però… Per realizzare il piano, che noi abbiamo ipotizzato fosse il risultato che si voleva conseguire con le machiavelliche clausole contenute nell’accordo quadro, si dovevano convincere gli azionisti ad approvare una ricapitalizzazione che li avrebbe praticamente espropriati. La campagna mediatica messa in campo per ottenere il risultato, era stata talmente determinata, diffusa e amplificata con il coinvolgimento di tutti i dipendenti, che anche quando era giunto il momento d’iniettare nuovo capitale, molti lo hanno fatto senza nemmeno provare a capire che i rischi descritti nel prospetto informativo erano reali. Le condizioni in grado di favorire il delisting, che avrebbe spianato la strada a Ccb, non avevano raggiunto il loro scopo, perché parte di coloro che erano stati convinti ad approvare la ricapitalizzazione, hanno ritenuto naturale sottoscrivere la quota riservata. Lo avevano fatto senza entrare nell’analisi di convenienza economica. A nulla era servito il dietrofront dell’associazione Azione Carige, che dopo avere sponsorizzato l’approvazione dell’aumento, aveva pubblicamente dichiarato che non sarebbe stato opportuno sottoscriverlo, creando condizioni che avrebbero potuto favorire esattamente ciò che Ccb si aspettava accadesse. Si è lasciato trascorrere il tempo nella speranza che qualcosa accadesse, facendo più volte riferimento ai problemi connessi alla pandemia. Poi Ccb ha offerto 1 euro per tutte le azioni possedute dal Fondo interbancario tutela depositi (Fitd) e Schema volontario d’intervento (Svi), purché il passaggio delle azioni fosse corredato da una dote da 500 milioni. Dichiarando di fatto che Carige valesse meno di zero. La nuova richiesta di sconto è stata respinta e Ccb ha rinunciato ad un’opzione che aveva la facoltà, ma non l’obbligo di esercitare.
Riassumiamo schematicamente i fatti più significativi che sono emersi dopo l’annuncio che Ccb non avrebbe assunto il controllo della Banca Carige. Ci servono per arrivare alle conclusioni per cui abbiamo ritenuto fosse necessario dare evidenza a tutto ciò che avesse avuto attinenza con la riammissione del titolo alla negoziazione.
- Quattro mesi prima del ritorno in borsa del titolo, Ccb rendeva noto che a banca Carige attribuiva un valore simbolico di 1 euro, a condizione che Fitd gli riconoscesse una dote di 500 milioni. L’impatto di quella dichiarazione non poteva certo essere positivo sul valore con cui sarebbero passate di mano le azioni dopo il rientro in borsa.
- Nel prospetto informativo approvato per la riammissione alla quotazione si diceva che a fine 2022 poteva essere necessario versare altri 400 milioni di mezzi freschi. Ovvio ritenere che l’impatto sarebbe stato negativo sul valore di mercato del titolo.
- Il giorno della riammissione alla negoziazione, non era possibile inserire ordini di acquisto e vendita ad un prezzo superiore a 0,6318. Noi ed altri ci abbiamo provato senza riuscirci. Scontato si supponesse che il titolo non potesse valere più di quel prezzo.
- Dal secondo giorno non esisteva più quel limite e il tanto bistrattato titolo di Banca Carige iniziava a salire, peccato che sono stati diffusi gli stress Test della Bce. Impatto negativo sulla quotazione che dopo avere toccato un massimo a 1,45 euro prima della diffusione del comunicato, iniziava a scendere. Influenzato anche dalla paura della semestrale, toccava un minimo intorno a 0,95. Poi iniziava a risalire e per qualche giorno si stabilizzava tra 1,1 e1,15 euro.
- Una nuova notizia negativa influenzava la capitalizzazione della banca, che scendeva sotto 1,1: Codacons annunciava che stava organizzando una class action contro Carige e la paura di soccombenza in un nuovo contenzioso, non poteva che penalizzare il titolo.
- Considerati i cinque punti precedenti, la riammissione del titolo in prossimità del mese di agosto, quando i volumi sono i più bassi dell’anno, era improbabile che potesse avere un impatto positivo sulla capitalizzazione del titolo.
- Questo è un passaggio che non può essere noto a molti, ma lo citiamo per dare un senso compiuto al titolo di questo articolo. Il caso ha voluto che il titolo fosse riammesso dopo che gli attori avevano presentato le proprie memorie conclusive al tribunale di Genova. La tempistica di questa decisione ha fatto sì che chi aveva fatto ricorso per il riconoscimento del giusto valore attribuibile ad un’azione quotata, non potesse citare il prezzo di mercato a supporto delle proprie argomentazioni, che avevano dovuto fare riferimento alle norme vigenti, ma che avrebbero potuto trarre giovamento anche dal prezzo di mercato.
Come è possibile rilevare da quanto descritto, il caso non ha mai favorito gli sfortunati azionisti di Banca Carige. Quando, tra due possibili soluzioni determinabili dalle circostanze, l’esito è sempre favorevole ad una delle parti e i fatti attestano, sistematicamente, le ragioni dell’altra, noi cominciamo a nutrire dei seri dubbi che sia la casualità a determinare sempre situazioni a favore dello stesso soggetto. Un semplice esempio può aiutarci a capire, se assistiamo al lancio di una monetina ed esce sempre testa, dopo dieci o più volte, diventa naturale chiedere di controllare la moneta utilizzata, o la sostituzione della persona che effettua il lancio. I fatti, però, continuano a dimostrare la sussistenza di un’infinità di motivazioni a sostegno delle ragioni che hanno indotto i risparmiatori ad aprire un’azione di rivalsa. Nonostante tutti gli annunci che sono stati fatti su Banca Carige e che, certamente, hanno ridotto l’interesse degli investitori e penalizzato la capitalizzazione di borsa della banca genovese, gli scambi su un mercato regolamentato hanno permesso di fissare valori ben superiori a quelli concessi a Ccb per favorire la sua acquisizione del controllo sull’istituto di credito ligure.
Ora proponiamo un calcolo, precisando che ne esistono anche altri. Quindi le conclusioni cui giungeremo non vanno intese come una documentazione di valore assoluto, ma come la dimostrazione provata dell’assurdità di una business combination, che ha espropriato azionisti storici per favorire un soggetto che non aveva alcuna intenzione di portare a compimento un accordo, se non si fossero verificata le condizioni da lui auspicate. Anche se l’accordo reso pubblico non si fosse realizzato, lo scopo di espropriare chi aveva sostenuto la banca aderendo alle tre ricapitalizzazioni precedenti, sarebbe andato a buon fine. Lasciamo a chi ne ha la competenza la definizione, di cosa stia accadendo nella finanza italiana e auspichiamo interventi rapidi e risolutivi che la politica dovrebbe attivare per introdurre norme che possano evitare l’estinzione di un sistema finanziario che, proprio per la perdita di credibilità, negli ultimi lustri non è riuscito a sostenere lo sviluppo economico di un paese che ha potenzialità enormi. Le soluzioni possono essere efficaci solo se introdotte per il presidio degli aspetti legati all’etica e ai diritti, affiancate dal conferimento d’incarichi a persone autorevoli, con comprovata competenza e capaci d’imporre a tutti il rispetto dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione.
Per esprimere un ordine di grandezza sulla capitalizzazione di Banca Carige, nonostante la diffusione di notizie ad orologeria, che potevano affossare i corsi azionari, utilizziamo il prezzo massimo dal suo ritorno in borsa, trascurando di inserire nel calcolo le azioni di risparmio. I dati per determinare la capitalizzazione di borsa e il risultato sono: 755 milioni di azioni moltiplicato per 1,45 euro = 1.094,75 milioni. Evidenziamo che se Ccb avesse esercitato l’opzione di acquisto e la riammissione fosse stata deliberata dopo l’assorbimento dell’impatto degli stress test e della semestrale, la capitalizzazione poteva essere ben più elevata.
Premesso che Ccb aveva proposto di pagare per Carige un prezzo simbolico di 1 euro per acquisire l’80 % delle azioni, chiedendo di ricevere in cambio una dote di 500 milioni da Fitd. Senza entrare nel merito delle ragioni che avevano indotto il potenziale acquirente a fare quella proposta, vogliamo semplicemente evidenziare cosa avrebbe ottenuto in cambio di 1 euro: capitalizzazione di borsa milioni 1.094,75 + Imposte attive differite milioni 1.300 + dote da milioni 500. Per evitare sterili discussioni, non citiamo altri valori attribuibili a Carige, come il possesso quote Banca d’Italia, il possesso di un’ampia quota di controllo Banca del Monte di Lucca, il patrimonio immobiliare e il patrimonio artistico … Quindi, in cambio di 1 euro, Ccb avrebbe ottenuto: (80 % di (1.094,75 + 1.300)) + 500 = 2.415,8 milioni.
Ciò che è incontrovertibile, è che a prendere la decisione di proporre quel valore per l’acquisizione di Carige, sia stato un banchiere. Un soggetto che dovrebbe gestire il risparmio dei cittadini, la cui tutela è garantita dall’articolo 47 della nostra costituzione. Inutile fare ipotesi sul perché lo abbia fatto, ad essere grave, è il fatto che lo abbia potuto fare senza che si sollevasse un moto di sdegno a livello nazionale e questa costatazione ci indigna. Ancora più grave è che nessuno abbia preso aperta posizione contro una simile degenerazione. Noi lo facciamo e ci sentiamo in dovere di suggerire alla politica di proporre un esame d’abilitazione all’assunzione di responsabilità nella conduzione di una banca, teso ad accertare che i banchieri abbiano ben presente che il loro ruolo dovrebbe essere quello di generare ricchezza per la banca, favorendo lo sviluppo economico, riconoscendo una giusta remunerazione a chi mette a loro disposizione i propri risparmi, affinché siano immessi in un sistema finanziario regolamentato. La missione di un banchiere non può certamente essere quella di arricchire una banca sottraendo risparmi agli azionisti, con l’ausilio dei meccanismi rilevabili dagli approfondimenti fatti sul caso Carige e dai numeri esposti sopra.
La percezione che deriva dalla presa di coscienza su quanto descritto, può essere espressa con una considerazione che emerge spontanea: è una moderna evoluzione dello schiavismo, la cui applicazione è passata dall’uomo al capitale. Quando lo si è iniettato nel sistema finanziario, può succedere che i signori della finanza ne facciano quello che vogliono e chi si era sacrificato tutta la vita per accantonare una parte del proprio reddito, affinché gli garantisse una serena vecchiaia, è destinato ad incrementare il numero dei cittadini che la statistica considera nuovi poveri.