Cosa era accaduto alla Cassa di risparmio della provincia di Teramo (Tercas) lo abbiamo descritto il 29 aprile 2019, pubblicando l’articolo “Da TERCAS a CARIGE” (www.vocedegliazionisti.it/da-tercas-a-carige/ )e, per non ripeterci, preferiamo riprendere la narrazione dell’accaduto, da dove ci eravamo interrotti. La Commissione Europea ha atteso l’ultimo momento utile e, a fine maggio 2019, ha impugnato la sentenza emessa il 19 marzo dal tribunale del Lussemburgo, con cui si stabiliva che l’intervento del Fondo interbancario tutela depositi (Fitd), nel salvataggio di Tercas, non potesse essere considerato aiuto di stato. Il tempo però era prezioso e l’impugnazione della sentenza lo dilatava talmente tanto, da rendere insostenibile la posizione della Banca popolare di Bari (Bpb). Infatti, l’istituto di credito aveva incorporato Tercas, contando sulla copertura della carenza di capitale da parte del Fitd; ma a causa dell’imposizione della Commissione, quel capitale non era più disponibile e lo stato patrimoniale della banca ne avrebbe subito le conseguenze.
La sentenza favorevole aveva fatto sperare che quel capitale potesse nuovamente tornare nella
disponibilità dell’istituto di credito; l’impugnazione del verdetto e il tempo necessario a ottenere un responso definitivo, rendevano necessarie e urgenti, nuove iniezioni di liquidità in Bpb.
L’operazione di salvataggio Tercas da parte di Bpb con la copertura del deficit di capitale a carico di Fitd, era stata autorizzata da Banca d’Italia e dopo la decisione del 23 dicembre 2015, con cui la Commissione europea aveva definito quel contributo come aiuto di stato, un effetto domino bloccò il salvataggio di molte banche Italiane: Banca Etruria, Banca Marche, casse di risparmio di Ferrara e di Chieti. Il loro salvataggio con il ricorso all’intervento dello Schema volontario d’intervento (Svi), appositamente costituito da Fitd, per contribuire a una gestione meno onerosa di una crisi bancaria, cercando di presidiare anche l’impatto sulla perdita di posti di lavoro, non poteva essere utilizzato e il danno che avrebbe penalizzato il sistema bancario, gli azionisti e gli obbligazionisti, sarebbe stato enorme e, soprattutto , inspiegabile. Si doveva attendere e subire, almeno sino a quando la Corte di giustizia non si fosse espressa sull’impugnazione della sentenza.
Nella prima metà di dicembre 2019 (proprio nel periodo in cui giungeva a termine l’aumento di capitale che avrebbe espropriato quasi integralmente gli azionisti di Banca Carige) Bpb, dai cui conti stavano emergendo problemi che aggravavano la situazione che si era manifestata a causa dell’incorporazione di Tercas, si trovò a dovere deliberare un piano di salvataggio. Banca d’Italia impose l’amministrazione straordinaria e la nomina di due commissari. Qualche settimana dopo il commissariamento, la procura di Bari aveva avviato un’inchiesta per accertare le responsabilità degli amministratori sull’improvviso azzeramento del patrimonio sociale. La banca, che aveva già deliberato aumenti di capitale nel 2014 e nel 2015, fu costretta a proporne un terzo, riservato a Fitd e a Medio credito centrale (Mcc) che avrebbero coperto le perdite e ricostituito un patrimonio netto positivo, perché i commissari avevano accertato essere scivolato in territorio negativo. L’impegno sarebbe stato portato a termine solo a condizione che l’assemblea convocata per il 29 e 30 giugno 2020 approvasse il bilancio al 31 marzo, prendendo atto delle perdite e deliberasse la conversione in società per azioni della Bpb.
Per ottenere l’approvazione in assemblea, fu utilizzato lo stesso meccanismo psicologico che aveva convinto gli azionisti di Banca Carige. In questo caso l’approvazione fu più facile da ottenere, perché la banca aveva un patrimonio netto negativo:
· coinvolgimento dei dipendenti per convincere i soci a conferire delega al rappresentante designato;
· azioni gratuite a chi avesse partecipato all’assemblea, come premio utile a raggiungere il quorum necessario per rendere valida la delibera;
· diktat mediatico “o si vota sì, oppure la banca sarà messa in liquidazione”.
L’impugnazione della sentenza emessa il 19 marzo 2019 dalla corte di giustizia europea, attuata dall’antitrust europeo, era stata respinta in modo definitivo il 2 marzo 2021 e la situazione di forte penalizzazione dei risparmiatori e del sistema bancario nazionale causato dal provvedimento della commissione europea, aveva getto ombre sull’intera Europa e sui meccanismi con cui venivano attribuiti incarichi di responsabilità, a livello continentale, senza tenere in debita considerazione le conoscenze che dovrebbe avere chi ha la possibilità di prendere decisioni che possano generare danni incomprensibili al risparmio dei cittadini.
Il caso Carige, pur diverso in molti dettagli, se lo si espone in una sintesi schematica, appare come una fotocopia del caso Popolare di Bari. La vigilanza BCE impone vendita di crediti deteriorati e ricapitalizzazione a copertura delle perdite, ripete per tre volte l’operazione e, in tutti i casi, sul mercato è stata sempre diffusa l’informazione che l’aumento di capitale da approvare, sarebbe stato risolutivo. Alla quarta volta gli azionisti hanno chiesto informazioni per potere valutare se quell’aumento sarebbe stato veramente l’ultimo. La banca è stata sottoposta ad amministrazione straordinaria. Sono falliti vari tentativi di coinvolgere fondi internazionali e la regia è stata assunta dal Fitd che, congiuntamente ad altro soggetto, ha proposto un accordo quadro. I contenuti dell’accordo sono stati dichiarati riservati; il soggetto terzo ha rinunciato ad acquisire Carige, nonostante le condizioni favorevolissime, che erano state negate agli azionisti: i quali hanno scoperto di essere stati espropriati, con un piano di salvataggio approvato dalle autorità competenti, nonostante non prevedesse né vincoli, né penali.
Ora facciamo alcune considerazioni sui problemi che accomunano tutte le banche che abbiamo menzionato in questo articolo, e proviamo a domandarci cosa dobbiamo ancora attenderci prima che le autorità che ne hanno la competenza, si muovano per promuovere una riforma coordinata delle norme che regolamentano la finanza nazionale, europea e globale.
All’origine dei problemi di tutte le sette banche citate, c’erano buchi nei conti, che sono stati riscontrati troppo tardi, per porre rimedio, in modo non traumatico, ad una situazione in cui il controllo sui conti era sfuggito di mano. L’emersione del problema in una fase di mercato avversa, ha complicato ulteriormente la situazione, che è degenerata all’inverosimile. Quando l’inatteso degrado è emerso con chiarezza, non era più risanabile con interventi di gestione ordinaria.
Se i risultati sono quelli che emergono da queste constatazioni, ci domandiamo a cosa servano tutte quelle sovrastrutture, che, ovviamente, sono pagate in modo diretto o indiretto dagli azionisti. Persone fisiche e giuridiche che giustificano la propria esistenza con il presidio dei bilanci sociali: amministratori, collegi sindacali, revisori dei conti, organi di vigilanza e controllo, di supporto e consulenza e società di rating.
I problemi delle banche penalizzate dalle decisioni di autorità europee, sono iniziati ben prima che fosse emerso il caso Tercas, che li avrebbe resi ancor più gravi. Evidenziamo questa semplice verità, perché non avrebbe senso attribuire la responsabilità a chi aveva aggravato una situazione preesistente, perché i problemi possono essere risolti solo se affrontati nella completezza del percorso che ha concorso a generarli. Le banche senza scheletri negli armadi, non sono entrate, infatti, nell’orbita degli interventi europei e hanno superato il momento difficile con decisioni di ordinaria amministrazione o, al massimo, con qualche ricorso marginale al mercato dei capitali. Fatto fermo questo punto, la cui soluzione dipende essenzialmente da provvedimenti nazionali, che spettano ai nostri politici, alla Consob e a Banca d’Italia, analizziamo a fondo che cosa abbia permesso a funzionari europei di agire in totale autonomia, prendendo decisioni incomprensibilmente sbagliate, non importa se per errore o per dolo.
La decisione d’impedire che gli interventi del Fitd, potessero salvare banche in difficoltà con un costo molto più basso del denaro che si sarebbe dovuto rimborsare ai correntisti, contraddiceva ogni logica di civile convivenza, perché aggravava una situazione difficile, faceva perdere posti di lavoro, ponendo come unica motivazione un aiuto di stato, che non sarebbe stato sostenibile in sede giudiziaria. Soprattutto, quella decisione favoriva la competitività delle banche estere, comunitarie e non, perché imponeva al consorzio di garanzia di spendere molto più denaro per rimborsare i depositi, di quanto ne sarebbe servito per salvare le banche e i posti di lavoro. Di fatto indeboliva il sistema finanziario italiano, favorendo ingressi di altre banche che potevano fare acquisizioni a prezzi scontati. Possibile che per fermare una simile assurdità, una nazione debba attendere oltre cinque anni? Possibile che un sistema bancario di una nazione comunitaria debba subire la decisione di una carica pubblica, perché una materia di così ampia portata non è stata ancora presidiata da norme che possano bloccare la decisione di una Commissione che, per incompetenza o dolo, ha la possibilità di compromettere l’equilibrio economico di un sistema finanziario nazionale?
La sentenza definitiva ha fatto chiarezza su un punto: l’intervento di un consorzio di garanzia non può essere considerato aiuto di stato, se utilizza capitale liberamente versato da soggetti privati. Ciononostante, i problemi non risolti restano moltissimi. Si apre un ventaglio di ipotesi per i veri danneggiati, che sono gli azionisti e i soci delle banche a loro volta penalizzate. Sì, perché il semplice rimborso del danno agli istituti di credito, non sarebbe un atto di giustizia per molteplici ragioni, che non sarebbe facile esporre con chiarezza senza essere esperti di diritto europeo. Ogni banca ha avuto un’evoluzione diversa dalle altre e riconoscere il danno in capo alla società di capitale o all’istituto di credito cooperativo, non sarebbe corretto, perché soci e azionisti sono accomunati in un unico destino: se nel 2015 possedevano la quasi totalità del capitale, nella primavera del 2021, dopo la sentenza definitiva, erano tutti fortemente diluiti e danneggiati dalle imposizioni dell’Europa e dalle norme che imponevano delibere in grado di modificare l’assetto azionario.
Stiamo parlando di decine e decine di migliaia di soci e azionisti, molti dei quali hanno anche cambiato condizione da soci in una banca di credito cooperativo ad azionisti in una società di capitale. I soci della Bpb erano 70.000, provate ad immaginare la somma di soci e azionisti di tutte le banche danneggiate a quale totale potrebbe ammontare. Credo che possa essere utile porre in evidenza alcuni punti, per evitare ai risparmiatori di commettere errori che possano aggravare le perdite, anziché ottenere il giusto ristoro per un danno subito.
1. Il primo chiarimento necessario a prendere una decisione, dovrebbe essere quello di conoscere chi debba aprire il contenzioso contro la Commissione europea: lo Stato italiano e le sue istituzioni, le società danneggiate o i risparmiatori? Noi auspichiamo che ai risparmiatori sia evitato l’onere di dovere aprire cause collettive, perché in materia di diritto europeo non sarebbe facile scegliere a chi rivolgersi, per gestire con consapevolezza una causa talmente complessa da essere stata generata da errori giuridici di chi aveva responsabilità ai massimi livelli.
2. Sarebbe auspicabile che fosse aperto un canale pubblico da cui reperire informazioni e con l’incarico di diffondere comunicati, affinché le persone non siano lasciate in balia dei furbi che, quando si parla di finanza, non mancano mai. In questo caso dovrebbe essere istituita una funzione pubblica di coordinamento delle iniziative a garanzia che i diritti siano adeguatamente tutelati.
3. Se a fare ricorso fossero le società, anche a tutela degli azionisti e dei soci, sarebbe importante definire con trasparenza che i danni siano riconosciuti pro quota di possesso nel momento in cui si è verificato l’errore di funzioni con responsabilità a livello comunitario.
4. Nel caso i risparmiatori dovessero attivare un’azione risarcitoria in proprio, sarebbe utile un coordinamento tra tutte le associazioni, la scelta di uno studio legale con competenze di diritto europeo e una partecipazione di massa che dia peso politico alla causa e riduca il costo ad un livello sostenibile da tutti.
Nonostante quanto esposto nei quattro punti, noi riteniamo che, al di là dei percorsi giuridici, questo sia un problema che potrebbe essere trasformato in una grande opportunità per la politica europea e nazionale. Ammettere i buchi normativi, la mancanza di competenze e di norme a tutti i livelli, potrebbe essere un’occasione per trasformare la conflittualità in coesione d’intenti. Evitare i ricorsi giudiziari con una delibera di risarcimento danni europea, con integrazione a livello nazionale, potrebbe dare origine a una gestione coordinata di uscita da una situazione critica, restituendo credibilità al progetto di Unione Europea. La finanza ha bisogno di recuperare la fiducia dei risparmiatori e questo passaggio è indispensabile per una rinascita dell’economia, che da troppo tempo langue sotto il perpetuarsi di egoismi nazionalistici, anziché decollare verso una coesione d’intenti per la conquista della qualità della vita a livello europeo.
Un tempo, per difendere beni e persone, si costruivano fortezze facilmente difendibili, il forte Ratti della fotografia, è un esempio di come Genova abbia presidiato con abile pianificazione la tutela degli abitanti della città. I risparmiatori devono essere capaci di unirsi, questa è l’unica arma di difesa per documentare la massa critica della categoria, che, se continua ad agire frazionata, fa il gioco di chi li emargina. Uniti possono cambiare in modo determinante le regole d’accesso al potere, trasferendo le scelte su persone che perseguono il benessere comune e il rispetto dei diritti. Continuando a farsi coinvolgere da ideologie che non possono più avere alcuna incisività in un contesto economico globalizzato, si perpetuano i comportamenti cui abbiamo assistito negli ultimi lustri. Questo è un esplicito invito a tutte le associazioni di azionisti e risparmiatori ad unirsi per dare origine ad un interlocutore che cambi la propria ragion d’essere, da finanziatore inerme di un sistema che lo emargina, a interlocutore credibile e determinato nell’affermare la necessità di un cambiamento ormai irrinunciabile. Facciamo capire alla politica che se vuole i nostri voti, deve muoversi e fare in modo che si deliberi una soluzione di ristoro equa per tutti coloro che sono stati danneggiati dall’inefficienza nazionale ed europea.