La notizia è stata pubblicata da IL CORRIERE DEL TICINO, il 17 febbraio 2022 ed è rintracciabile in internet con le parole chiave: Davide Enderlin condannato in Italia per riciclaggio. Sarà possibile conoscere molti passaggi della vicenda, dalla lettura delle notizie pubblicate in Svizzera, nonostante il silenzio dell’informazione nazionale. La sentenza è stata emessa dalla Corte di Cassazione Italiana e il condannato è un ex assessore del comune di Lugano, Davide Enderlin. La segnalazione ci è stata inviata da un azionista Carige particolarmente attento a tutte le notizie che possono aiutare a capire cosa sia veramente accaduto negli intrecci che hanno accompagnato una delle più prospere banche nazionali al declino, azzerando fiducia e risparmi di chi aveva creduto in un sistema finanziario che li ha traditi.
Senza quella segnalazione, la notizia ci sarebbe certamente sfuggita e, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, conferma come tutti possano dare un contributo attivo al nostro lavoro, che sarebbe certamente meno efficace se svolto in mancanza di una disponibilità all’ascolto dei suggerimenti. La conoscenza dei fatti e degli sviluppi che hanno accompagnato il processo che vedeva coinvolti molti imputati, ci ha indotti a riservare una particolare attenzione alla segnalazione, perché emergono con chiarezza la mitezza delle pene attribuite ai veri responsabili del reato e la rigidità riservata ad un indagato che aveva la colpa di essersi reso disponibile a fare da intermediario per un’operazione di riciclaggio di denaro proveniente da operazioni illecite.
Che nel sistema finanziario europeo si siano inseriti personaggi di dubbia moralità, è fuori di dubbio da parecchio tempo. Che i controllori non riescano ad assolvere in modo efficace i loro compiti è sotto gli occhi di tutti. Che la giustizia, non riesca a fare opera di dissuasione dal commettere certi reati, è certamente confermato dal percorso giuridico di chi ha abusato dei risparmiatori che avevano creduto in Banca Carige. Il nostro compito non è quello di attribuire responsabilità a chicchessia, ma di dare evidenza alle ripercussioni che certi problemi possono avere sui risparmiatori, nell’auspicio che chi ha la competenza per farlo, vi ponga rimedio, perché il sistematico rimpallo di responsabilità tra sistema giudiziario e politica, ci lascia in un perenne immobilismo, in cui i furbi abusano delle persone oneste che, poi, perdono ogni fiducia nelle Istituzioni e in un paese che, a causa della mancanza d’investimenti, ha un’economia che cresce meno di quella dei suoi competitor.
I fatti che hanno portato alla sentenza di Cassazione.
Nel maggio 2014 l’ex presidente di Banca Carige e vice presidente dell’Associazione banche italiane (Abi), Giovanni Berneschi, viene privato della libertà e posto agli arresti domiciliari insieme all’ex amministratore di Carige Vita nuova, Fernando Menconi ed altri 5 indagati, 4 dei quali privati della libertà. I reati contestati erano: una ruffa presunta alla banca genovese, in particolare al suo comparto assicurativo Carige Vita Nuova e, tra le accuse, anche associazione a delinquere, intestazione fittizia di beni, nonché il successivo riciclaggio e reinvestimento dei profitti illeciti. Il coinvolgimento di un intermediario di Lugano, era dovuto al trasferimento in Svizzera di22 milioni di euro, parte dei quali utilizzati per l’acquisto di un hotel.
Il percorso della vicenda giudiziaria avviata nel 2014 dalla Guardia di Finanza, è stato particolarmente tortuoso. I legali degli imputati avevano chiesto il trasferimento del contenzioso, per competenza territoriale a Milano. Ciononostante i processi di primo grado e d’appello si erano tenuti a Genova, con condanne di oltre 8 anni per i principali imputati. Quando si era fatto ricorso in Cassazione, le sentenze emesse sono state annullate ed il processo è stato trasferito a Milano per competenza, ed ha dovuto ripartire da zero. Dopo qualche mese tutte le accuse sono andate prescritte, ad esclusione di quella per associazione a delinquere. Una prima beffa per gli azionisti di Banca Carige che si erano costituiti come parte civile: avevano speso altri soldi e non potevano vedere riconosciuti i propri diritti, per mancanza di una sentenza, pur in presenza di una pena attribuita agli imputati, che avevano accettato un accordo transattivo, con riduzione della pena, per l’unico reato non prescritto, l’associazione a delinquere, che, però, non prevedeva alcun risarcimento del danno subito dagli azionisti.
In questi giorni abbiamo scoperto che anche l’intermediario che aveva ricoperto il ruolo di consulente pe il riciclaggio del denaro trasferito in Svizzera, aveva molte ragioni per non gioire a causa del trattamento ricevuto. Nonostante l’inchiesta sia pubblicamente emersa nel 2014, i reati contestati a Enderlin sono avvenuti nel 2005, quando la società assicurativa facente capo a Carige, con il coinvolgimento di imprenditori compiacenti, aveva acquistato immobili e quote societarie a prezzi gonfiati. I profitti illeciti realizzati dagli imputati, erano stati investiti all’estero con l’intermediazione del consulente svizzero, che aveva sempre sostenuto di avere svolto il proprio lavoro senza sapere che il capitale investito avesse una provenienza illecita. Nel processo d’appello avvenuto a Genova, il giudice gli aveva creduto ed era stato assolto. Nella convinzione di vedere riconosciute le proprie ragioni, non ha patteggiato, come hanno fatto gli altri attori coinvolti. La procura di Milano ha ritenuto vi fossero indizi sufficienti a smentire le sue affermazioni ed ha ottenuto la sua condanna nell’ultimo grado di giudizio in Italia. L’imputato ha comunque dichiarato che farà ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, per vedere riconosciuta la propria buonafede.
Le considerazioni che si possono fare sui fatti riportati, meritano di essere approfondite.
- Il passaggio giuridico che appare agli occhi di tutti, come necessario di immediato intervento legislativo, lo si percepisce con immediatezza. Il fatto che la competenza territoriale possa essere cambiata nel terzo grado di giudizio, annullando i due che l’hanno preceduto e facendoli ripetere in altra sede, è inaccettabile e incomprensibile per tutti, e a maggior ragione per chi ne ha subito le conseguenze. Infatti, esisterebbe una soluzione facile da applicare, che contribuirebbe a dare maggior efficienza alla giustizia, riducendo i tempi dei processi e i loro costi: la competenza territoriale viene definita immediatamente da chi ha la competenza di ultimo grado, e poi non sarà più possibile cambiarla. A sostegno dell’affermazione, riportiamo la dichiarazione dell’allora Procuratore di Genova, Francesco Cozzi: “C’è un sistema procedurale in Italia che si porta dietro questo rischio. Bisognerebbe riformare il sistema e rendere la procedura più veloce. Così si va contro la ragionevole durata dei processi e la stessa economia processuale”. E si rischia di avvantaggiare chi ha commesso un reato, danneggiando chi di lo ha subito, aggiungiamo noi.
- Anche l’analisi delle pene attribuite ai vari imputati sia alla fine del percorso giuridico, sia nel durante, non aiutano ad avere fiducia in un sistema giudiziario che, visti i risultati ottenuti, non può che confermare la necessità di una profonda revisione critica. La motivazione è più che ovvia, i cittadini si aspettano di vedere rispettate le leggi e attribuite le pene a chi le trasgredisce, in modo proporzionale alla gravità dei reati commessi. Constatare che in uno stesso processo, colui cui erano stati attribuiti tutti i reati contestati ha ottenuto una pena di 2 anni e 10 mesi e la confisca dei 21,9 milioni di provenienza illecita, mentre chi era stato coinvolto per l’investimento di quella somma, abbia ricevuto una condanna a a 3 anni e 4 mesi, non li aiuta ad affidarsi con fiducia ad un sistema giudiziario che deve giungere a simili sentenze. Precisiamo: non stiamo affermando che la sentenza emessa non rispetti le norme vigenti, ma che possa essere considerato normale un simile evento, senza che nessun correttivo sia proposto per evitare che possa ripetersi.
- Come possono sentirsi tutelati i risparmiatori che hanno dovuto subire quanto descritto? La sentenza della Corte di Cassazione documenta che un consulente è stato condannato per avere svolto il proprio lavoro di intermediario a favore di chi aveva necessità di riciclare denaro di provenienza illecita. Se lui fosse stato assolto, non potevamo dire nulla, perché non ci era dato di sapere quale fosse il contenuto dell’accordo transattivo, ma se l’intermediario è risultato colpevole, è implicito che anche gli altri lo fossero. Se la sentenza attesta la loro responsabilità, gli azionisti che si erano costituiti parte civile avrebbero avuto diritto ad essere risarciti. Ad impedire il loro risarcimento è stato l’errore di chi aveva deciso che il processo si svolgesse a Genova, come mai non esiste un automatismo che tuteli i loro diritti?
I fatti che abbiamo analizzato in queste righe, deprimono lo stato d’animo di chi aveva dato fiducia a chi non la meritava, ancora di più di quanto lo avesse fatto la perdita dei risparmi. Stiamo parlando di decine di migliaia di risparmiatori, che avevano acquistato azioni di Banca Carige nel periodo tra il 2005 e il 2014. Molti di loro avevano utilizzato una parte significativa della propria liquidazione, perché dipendenti, che, insieme ai normali investitori, si fidavano di quella banca, del sistema finanziario e dei numerosi controllori che avrebbero dovuto impedire che si prevaricassero i loro diritti.
Oggi vogliamo descrivere cosa hanno subito i risparmiatori che avevano investito nella banca genovese in quel periodo e che non avevano più potuto mantenere la propria quota di possesso, perché non avevano più risparmi da investire nelle quattro ricapitalizzazioni avvenute in seguito. Portiamo l’esempio di chi fosse in possesso di 20.000 azioni ad un prezzo medio di 1,25 euro, quindi, con un capitale investito di 25.000 euro. A fine 2014 le avrebbe dovute dividere per 100 a causa di una ricapitalizzazione iperdiluitiva. Le sue azioni sarebbero diventate 200. A inizio 2019 il titolo è stato sospeso e, prima della riammissione nel 2021, le azioni sono state divisi per 1.000, quindi, si sarebbe trovato in possesso di 0,2 azioni, che sarebbero state cancellate dal suo portafoglio titoli, con un accredito di pochi centesimi.
Se quell’azionista si fosse costituito parte civile nel processo penale contro Berneschi, avrebbe incrementato le proprie perdite di molte centinaia di euro a causa dei costi legali. Quell’azione di rivalsa sarebbe stata vanificata da un’errata attribuzione di competenza territoriale, a causa della quale i reati che avrebbero consentito il riconoscimento di un risarcimento, erano caduti in prescrizione. Beffa delle beffe, dopo 17 anni il fiducioso risparmiatore avrebbe scoperto che il reato per cui si era costituito parte civile, era stato confermato implicitamente da una sentenza della Corte di Cassazione, ma nessuno si è nemmeno lontanamente preoccupato di considerare quell’evento come straordinariamente grave, e talmente ingiusto da richiedere un’analisi approfondita per correggere il sistema, affinché non potessero più accadere simili eventi.
Ma vi sembra normale che, quando nella finanza accadono fatti straordinari e ai limiti della credibilità, a pagare siano sempre i piccoli azionisti? Possibile che nessuno proponga un risarcimento agli sfortunati risparmiatori che si erano trovati coinvolti in una simile sequenza di eventi sfavorevoli, che li avevano fatti sentire come avviluppati in un’inestricabile tela del ragno?